Il tramonto della superpolizia di Francesco La Licata

RETROSCENA RETROSCENA LA CALDA ESTATE IN VIA PRISCILLA JQ ROMA LTRI carboni ardenti si agS^k giungono alla torrida estate del ministro Giorgio Napolitano. Certo, non deve essere disagio di poco conto ritrovarsi improvvisamente con il direttore della Direzione investigativa antimafia - il fiore all'occhiello (per molti ormai «ex») dell'intera polizia italiana - sospettato di corruzione ed omessa denuncia di reato. Anche se la vicenda della corruzione riguarda un periodo antecedente al suo arrivo alla testa della Dia, il gen. Giovanni Verdicchio è indagato per aver taciuto ai magistrati particolari importanti (reati) ed utili all'inchiesta in corso. E questo quando era già direttore della più famosa struttura investigativa antimafia. Come a dire, più omertoso che poliziotto. Saranno le indagini dei giudici di Perugia a dire la parola definitiva sul coinvolgimento di Verdicchio. H ministro, tuttavia, non poteva comprensibilmente attendere la fine dell'inchiesta per rimuovere una così grave «anomalia», in un meccanismo tanto delicato qual è il «motore» di tante indagini sulla mafia e sulle deviazioni istituzionali in direzione di Cosa nostra. A controprova del disagio ministeriale, la lunga gestazione che ha preceduto la notizia ufficiale, di ieri pomeriggio, della rimozione di Verdicchio. E poi il «giallo» delle date. Quando sono arrivate le dimissioni? Non ieri, dice il comunicato del ministro Napolitano, ma il due di agosto, due giorni dopo la deposizione presso la Procura di Perugia. Ma forse neppure di dimissioni si tratta ma di una informale «richiesta di congedo». Aveva già subito un duro colpo all'immagine la «superpolizia», così non senza qualche punta di acredine la Dia viene chiamata, soprattutto dagli investigatori di altre strutture. Tutta colpa del col. Michele Riccio - capocentro di Genova - e dei suoi metodi un tantino sbrigativi, anche se certamente non acquisiti durante la sua permanenza alla Direzione investigativa antimafia, ma in altre strutture che di quei metodi sbrigativi non hanno mai reso conto a nessuno. Eppure, nell'era della comunicazione veloce, inevitabilmente si finirà per chiedersi sbrigativamente: ma con quali criteri vengono arruolati gli investigatori di via di Priscilla? Insomma, la calda estate della Dia potrebbe assumere i contorni del prologo di una «fine annunciata». Un lento tramonto, iniziato non ieri con il mandato di comparizione per il gen. Verdicchio, né con l'affaire Riccio, né con l'arresto di un altro colonnello della Guardia di Finanza, coinvolto anch'egli in storie di corruzione che nulla hanno che fare con la Dia. No, il declino della «superpolizia» va forse ricercato in una sorta di «esaurimento della spinta propulsi¬ va» seguita alla punta più alta dell'emergenza mafia. E forse anche in una sorta di virus che la Dia si porta dentro sin dalla nascita. Il virus della gelosia tra Corpi diversi, della difesa del proprio spazio. Va ricercato nel loro malsopportare qualunque tentativo di coordinamento. Vale la pena di ricordare con quanto scetticismo, nel '91, venne accolta la decisione di creare una struttura investigativa specializzata, pensata a sostegno delia Direzione nazionale antimafia, struttura parallela della magistratura. Un progetto fortemente voluto dall'asse Falcone-De Gennaro, tra l'avversione di tanti. Come non ricordare critiche e maldicenze riservate al sen. Pino Arlacchi, «architetto» del nuovo organismo. Si disse addirittura che da Guardia di Finanza e Carabinieri, chiamati a fornire uomini, sarebbero arrivati solo gli scarti, perché mai e poi mai avrebbero accettato di «collaborare» col ministero dell'Interno. Eppure la Dia, come si dice, decollò. Probabilmente perché c'era dentro, e in posizione preminente, chi l'aveva voluta. C'era una squadra affiatata, compreso l'attuale «vicario», il questore Pippo Micalizio, rimasto, anche dopo lo smembramento del team cominciato col trasferimento di Gianni De Gennaro, a garantire una difficile continuità. Le mai sopite faide ministeriali, le gelosie di carriera, pian piano hanno rifatto capolino. E non c'era più il gruppo. Quello che aveva realizzato l'operazione di via Ughetti, a Palermo, aprendo la strada alla soluzione dell'inchiesta sulla strage di Capaci e al pentimento di gente come Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera. Quello della cattura di Leoluca Bagarella, quello dell'indagine Andreotti. Il gruppo, emigrando altrove, portò altrove buoni risultati, come la cattura di Giovanni Brusca. Ma il gruppo non era più nella Dia. Quelli rimasti si sono dati da fare, specialmente a Palermo. E' della Dia il ripescaggio delle indagini sulla morte di Calvi a Londra, si deve alla Dia la cattura di più di im latitante. E', la Dia, un punto di riferimento per la Procura di Giancarlo Caselli. Si fennerà il declino? Sulla «superpolizia», già da tempo, meombe un progotto di ristrutturazione molto vasto, che coinvolge carabinieri e Finanza. Lo chiamano «progetto Sinisi», dal nome del sottosegretario all'Intorno. Obicttivo, manco a dirlo, è quello di «migliorare il coordinamento» fra le tre Armi. La Dia? Sarebbe destinata ad un ruolo di intelligence e quindi non più con compiti operativi. Ma in queste decisioni, francamente il gen. Verdicchio e le sue disavventure giudiziarie c'entrano ben poco. Francesco La Licata I guai di Verdicchio e l'affaire Riccio sono solo la spinta decisiva alla fine della creatura di Falcone e De Gennaro Il tramonto della superpolizia Affondata dal virus della gelosia tra Corpi diversi

Luoghi citati: Capaci, Falcone, Londra, Palermo, Perugia, Roma