«Football americano, sport rissoso» di Alberto Gaino
«Football americano, sport rissoso» L'accusato della morte di Abdellah era in una squadra torinese. Un giocatore: «Uno è carogna anche se fa danza classica» «Football americano, sport rissoso» Così il giudice sul buttafuori dei Murazzi in carcere Di Andrea Demartis, 28 anni, buttafuori da otto, in carcere per la morte di Abdellah Douimi, si conosce ormai quasi tutto. Anche dei suoi trascorsi sportivi in una squadra torinese di football americano. Uno dei suoi vecchi compagni ammmette al telefono: «Dai e dai, mi ero detto: sta a vedere che, per questa storia di Andrea, tirano in ballo pure noi». Non è proprio così, ma nell'ordinanza con cui il gip Ombretta Salvetti ha spedito in carcere Demartis vi sono tre righe anche per il football americano. Nel tratteggiarne la personalità, il giudice accenna al «passato» dell'indagato «in una disciplina caratterizzata dalla rissosità dei giocatori, tanto più che egli ne ha conseguito addirittura il soprannome di Boscimane». Ricordato che si tratta di tre righe in un documento di sette pagine, resta la curiosità per il collegamento «giudiziario» fra uno sport e la personalità di un'indiziato di omicidio. Marco Ferrari, 1,86 di altezza per 105 chili, ha giocato per anni con Demartis, lo difende («Non è il tipo da fare una cosa simile») e difende lo sport che pratica da 17 anni. Altri ex compagni di squadra del «Boscimane» hanno preferito tagliar corto al telefono: «Sì, sono io. Demartis? No, guardi, ha sbagliato numero». Invece, Ferrari, reduce dal ritiro della «Nazionale» a Bolzano, si accalora sull'argomento: «C'è questo luogo comune sul nostro sport. E io me lo sentivo che sarebbe saltato fuori con la storia dei Murazzi e dell'arresto di Andrea. Mi scusi la parola, ma mi pare proprio una fesseria. Sa perché? Il football americano è conquista di terreno. La leggenda, ma non è poi tanto una leggenda, lo fa derivare dai pionieri americani che nel West cercavano spazio. Lo scontro fisico c'è e ci deve essere. Ma non ci si fa male per cattiveria. Anzi, le dico, che nel calcio dilettantistico, in cui c'è forse più agonismo che tecnica, ci si fa altrettanto male. E, poi, chi è carogna lo rimane, che pratichi il football americano o la danza classica». Ferrari dice di aver imparato «due cose» dal suo sport: a stare bene con i compagni di squadra e la grinta. «Che non è la violenza. Guardi, io faccio il rappresentante di prodotti farmaceutici e combatto tutti i giorni la mia battaglia per fare accettare i miei prodotti». Lei parla di combattere, non è un po' improprio? «E' la grinta che mi fa dire così. Io ce la metto tutta, e lo devo al mio sport. Se a 33 anni continuo a giocare è per la passione. Da noi, i soldi non sono nemmeno soldini». La determinazione c'è e si nota: «Il football americano, verso il 1982 e l'83, era in crescita da noi; m Italia c'erano almeno cento squadre. A Torino abbiamo vinto lo scudetto con i Giaguari e portato più di mille persone al Comunale, a vederci. Adesso siamo Tigers e giochiamo a Vinovo, abbiamo sponsor piccoli piccoli e i caschi, per esempio, ce li compriamo noi. Quando va bene i giornali ci regalano due righe, e invece, per storie come questa, giù con i titoli grossi. Alla faccia dei luoghi comuni». Alberto Gaino «Nelle nostre partite lo scontro fisico è una necessità inevitabile» Andrea Demartis, il buttafuori con la passione dello sport
Persone citate: Abdellah, Abdellah Douimi, Andrea Demartis, Demartis, Marco Ferrari, Ombretta Salvetti
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