Alle belle Alpi di Messner serviva l'aggancio con la cronaca d'estate di Alessandra Comazzi

Alle belle Alpi diMessner serviva l'aggancio con la cronaca d'estate TIVÙ'& TIVÙ' Alle belle Alpi diMessner serviva l'aggancio con la cronaca d'estate LE immagini sono bellissime, forse un poco cartolinesche ma molto suggestive. Però fa effetto vedere un programma che si intitola «Le Alpi di Messner», autore Carlo Alberto Pinelli, in onda su Raiuno. Si parla naturalmente di montagna e di alpinismo, e tutto questo risulta stonato, in questi giorni di estate in cui stanno perdendo la vita tante persone. Da un mezzo veloce come la televisione, ci si poteva aspettare qualche .chiosa, qualche commento, qualche suggerimento, e non una messa in onda astratta, come se nulla fosse successo. Ma tanto è estate, non vale la pena fare qualche piccolo sforzo. Sappiamo bene che non si deve generalizzare e identificare immediatamente i massicci del mondo come possibili portatori di morte, però è inevitabile correlare. E il bello diventa meno bello. Detto questo resta l'interesse intrinseco, anche educativo, del programma: che mette in guardia dalla faciloneria, indicando sempre le vette come qualcosa da conoscere e da I rispettare, prima di intraprenI dere qualsiasi impresa. L'altra sera si parlava dei Walser, una popolazione di origine tedesca che vive sul Monte Rosa. Messner individuava pure un parallelismo tra i Walser e gli Sherpa dell'Himalaya. Anche gli Sherpa avevano valicato le montagne prima di stabilirsi, anche loro avevano la «valle perduta», il paradiso che erano convinti di aver raggiunto, mentre gli europei pensano che la «valle perduta», il paradiso fantastico delle leggende preistoriche, sia ancora da scoprire. E proprio per scoprirlo un gruppo di giovani, oltre un secolo fa, si mosse da Gressoney per compiere la prima escursione in cordata sul massiccio del Rosa. «Se i luoghi selvaggi hanno un messaggio autentico da trasmetterci, possono farlo soltanto quando rimangono selvaggi»: questa frase didascalica posta lì al centro del documentario dovrebbe mettere in guardia il pubblico televisivo dalla tentazione di facili avventure in quota. Resta il fascino delle inquadrature, i ghiacciai perenni, e le nevi, e l'atmosfera rilassata dei rifugi. Una suggestione che per l'appunto, anche alla luce dei tragici epi¬ sodi di questi giorni, porta soprattutto ad una semplice riflessione: le montagne sono là, noi siamo qua, massimo rispetto reciproco, ma debita distanza. Meno male che c'è la tele a fare da surrogato. Tutti coloro, sempre più numerosi, che sono convinti della primazia degli spot sulla fiction, almeno televisiva, dovrebbero considerare un appuntamento fisso quello in onda intorno alle 11 di sera su Telemontecarlo. E' un programma cortissimo, di Lillo Peni e Mila Vajani, che si intitola «Dottor Spot». Trasmette, ogni sera su un tema diverso, i piccoli filmati del mondo. L'altra sera, a esempio, si parlava di alcolismo, e degli slogan inventati da americani, norvegesi, cinesi, per creare una sensibilità sociale non soltanto sulla malattia, ma anche sui pericoli che ne derivano, specialmente sulla strada. Belli, realizzati benissimo: sono i migliori in circolazione, certo, non sono lo standard, ma restano un bell'esempio di uso appropriato del video. Alessandra Comazzi

Persone citate: Carlo Alberto, Lillo Peni, Messner, Mila Vajani, Walser