Vattimo-Dummett la disputa che viene da lontano di Franca D'agostini

Società discussione. Fra continentali e analitici, una storia di scontri e incontri Vattimo-Dummett, la disputa che viene da lontano Il libro di Franca D'Agostini Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trentanni (Cortina) ha acceso un dibattito sul ruolo della filosofìa contemporanea. Cominciata su Tuttolibri, che aveva pubblicato in anteprima la prefazione di Gianni Vattimo al volume, la discussione è stata rilanciata dal Sole-24 Ore con un intervento di Michael Dummett ed è proseguita sulla Stampa con Vattimo, Severino, Bencivenga. Dopo l'articolo di Vattimo apparso ieri, abbiamo chiesto il parere dell'autrice. ELLE discussioni sbocciate in questi giorni sulle pagine del Sole e della Stampa a proposito del Itema «filosofia analitica filosofia continentale» e che hanno coinvolto due eminenti pensatori dell'una e dell'altra tendenza - rispettivamente: Dummett e Vattimo - vanno distinte due questioni, che meritano un trattamento separato: a) la utilità e la sensatezza della stessa dicotomia (di largo uso nella comunità filosofica internazionale a partire dalla fine degli Anni Cinquanta) «analitici / continentali»; b) le affinità e le dissimiglianze tra il modo di concepire la filosofia di Vattimo e quello di Dummett. Sgomberiamo subito il campo da una prima ambiguità: la distinzione analitici / continentali, come qualsiasi altra dicotomia o coppia concettuale, non resiste a una accurata indagine empirica, e neppure a una approfondita analisi teorica. Come ho cercato di mostrare nel libro, e come ha ricordato Maurizio Ferraris, la distinzione ha un valore anzitutto storiografico: è un modo di definire una vecchia contrapposizione (l'inizio delle ostilità si può far risalire al secondo Ottocento, e all'antagonismo tra la scuola storica di Dilthey e quella logicopsicologica di Brentano), che in varia forma ha influito nella cultura filosofica degli ultimi trent'anni, coinvolgendo altre tematiche, come il rapporto tra la filosofia e la scienza, o la disputa su «spiegazione» e «comprensione». In senso lato, è anche in gioco l'antagonismo tra cultura scientifica e cultura umanistica, o quello tra «filosofie dell'essere» e «filosofie del divenire», tra logica e retorica, teoria e storia (i primi termini di tutte le coppie citate riguarderebbero gli analitici). Una seconda ambiguità è quella a cui fa riferimento Ermanno Bencivenga sulla Stampa del 29 luglio: la questione non riguarda «la» filosofia in generale, ma solo la filosofia «accademica». Ciò è abbastanza vero, ma conviene intendersi. E' ovvio che il filosofare comune, quello per così dire del taxista o del libero pensatore, non è toccato dalla questione, ma (come tra l'altro il dibattito tra Dummett e Vattimo dimostra) il filosofo «professionale» e -soprttutto quel tipo di filosofo che riflette («storicamente», «logicamente») sul proprio lavoro, e che considera tale riflessione un elemento tematicamente decisivo, si trova prima o poi ad affrontare il problema. In effetti, l'alternativa si presenta (si è presentata ai miei occhi, e suppongo a quelli di molti altri) anzitutto su un piano pratico. Qualunque studioso di filosoifia che voglia affrontare un autore o un problema, e che non intenda muoversi in modo del tutto arbitrario, prescindendo dalla letteratura sull'argomento, si troverà di fronte alle due linee di ricerca che si svolgono parallelamente, su riviste diverse, e che spesso si ignorano a vicenda. Così se voglio occuparmi, poniamo, del problema della verità dovrò notare che nell'ultima importante sintesi sull'argomento prodotta in area analitica, quella di Horwich (tr. it. Laterza) non si accenna neppure alla elaborazione esistenziale, kierkegaardiana e heideggeriana, del problema della verità mentre nell'area continentale, in un importante convegno tra filosofi tedeschi e italiani su «La verità e l'Occidente» svoltosi a Torino nel giugno scorso, non si è parlato di teorie della verità molto note in ambito analitico, come quella della «ridondanza». Oggi questa situazione è meno definita e lampante di quanto fosse negli anni passati. Molti studiosi lavorano sistematicamente su testi delle due tradizioni, ed esistono riviste (in Italia per esempio Iride, Teoria, Discipline filosofiche) che per esplicito programma ospitano contributi dell'una e dell'altra tendenza. D'altra parte, i passaggi, le defezioni, gli incontri, le occasioni di dialogo non sono mancati, soprattutto per quel che riguarda la filosofia morale, l'etica, la politica. Tutto ciò ha portato a un certo riaggiustamento di posizioni, ma la coppia «analitici / continentali» non cessa di esibire i suoi meriti e le sue colpe. E con ciò si giunge alla questione Vattimo-Dummett. Va riconosciuto ad Armando Massarenti il merito di aver stimolato un confronto tra due pensatori che oggi sono i principali teorici di un'idea di filosofia «pura», o «metafilosofia», nelle due tradizioni. E il confronto è particolarmente interessante perché Vattimo e Dummett divergono su alcuni punti, ma sono affini su altri, e particolarmente sul ruolo che entrambi assegnano al linguaggio - dunque entrambi sfuggono alla grande vague neo-cognitivista a cui accenna Dummett nel suo primo intervento, e che oggi interessa in forme diverse tutte e due le tradizioni. Tanto per Dummett quanto per Vattimo il linguaggio è il terreno su cui si muove la filosofia, ma per Vattimo si tratta di un linguaggio-essere, per Dummett di un linguaggiopensiero. La distinzione ha aspetti e riflessi che non è il caso di sottolineare qui, ma conviene fare un breve rilievo sulle posizioni sostenute dai due pensatori nei giorni scorsi. E' risultato evidente che le differenze non riguardano la questione della storicità della teoria - entrambi in vario modo ammettono che la verità è «in cammino», e ciò dà ragione a Severino, teorico dell'eternità dell'essere, nel chiamarsi fuori dalla disputa (salvo poi rientrarci dentro inavvertitamente, in qualità di pseudo-analitico, come ha osservato Vattimo). Neppure si tratta realmente, come è sembrato a un certo punto, di una eventuale fiducia di Dummett circa l'esistenza di una verità sovrastorica, a cui pervengano progressivamente le magnifiche sorti dell'umanità. E' stato anche smentito con una certa chiarezza, credo, un erroneo pregiudiuzio dei filosofi analitici: quello per cui i continentali (in questo caso Vattimo) farebbero un tipo di filosofia «suggestiva», retoricamente efficace, ma poco rigoro¬ sa. Al contrario si è visto che il terreno dell'argomentazione unisce tanto Vattimo quanto Dummett, con differenze metodologiche, però, sulle quali merita riflettere. L'ultimo intervento di Vattimo chiarifica molto i termini in gioco. Sembra infatti che quel che Vattimo considera determinante sul piano metodologico, cioè per esempio il fatto che la «logica» della filosofia è costitutivamente impura, compromessa da effetti di densità storica, culturale e sociale, è considerato da Dummett un aspetto di rilievo unicamente tematico (questo è sostanzialmente il senso anche di una celebre polemica di Dummett con Donald Davidson). D'altra parte, quelli che Dummett considera assunti metodologicamente significativi, per esempio il fatto che l'esistenza o il numero siano «proprietà di generi di cose» e non proprietà di cose, o che le relazioni non possano in nessun caso essere trattate come cose, per Vattimo sono tesi e teorie storicamente determinate, che conviene considerare tematicamente, per evitare di rimanerne prigionieri. Quel che dunque in un caso vale come metodo, nell'altro vale come tema e oggetto, e viceversa. La scelta su quale soluzione adottare è abbastanza libera (da un punto di vista continentale, le circostanze di tempo e luogo, di storia e territorialità, sono determinanti, e decidono ben al di là del singolo arbitrio soggettivo). Franca D'Agostini Due scuole contrapposte che si ritrovano sul ruolo assegnato al linguaggio Società litici, una storia di scontri e incontri ett, la disputa a lontano Due scuole contrapposte che si ritrovano sul ruolo assegnato al linguaggioin area analitica, quella di Horwich (tr. it. Laterza) non si accenna neppure alla elaborazione esistenziale, kierkegaardiana e heideggeriana, del problema della verità mentre nell'area continentale, in un importante convegno tra filosofi tedeschi e italiani su «La verità e l'Occidente» svoltosi a Torino nel giugno scorso, non si è parlato di teorie della verità molto note in ambito analitico, come quella della «ridondanza». Oggi questa situazione è meno definita e lampante di quanto fosse negli anni passati. Molti studiosi lavorano sistematicamente su testi delle due traGianni Vattimo: sua la prefazione al libro di Franca D'Agostini «Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent'anni» UULLLLLSXJf *» ^ K sa. Al contrario si è visto che terreno dell'argomentazionunisce tanto Vattimo quantDummett, con differenze metodologiche, però, sulle quali mrita riflettere. L'ultimo intervento di Vattmo chiarifica molto i termini igioco. Sembra infatti che quche Vattimo considera deteminante sul piano metodologco, cioè per esempio il fatto chla «logica» della filosofia è cstitutivamente impura, compromessa da effetti di densistorica, culturale e sociale, considerato da Dummett uaspetto di rilievo unicamentematico (questo è sostanziamente il senso anche di una clebre polemica di Dummett co Gianni Vattimo: sua la prefazione al libro di Franca D'Agostini «Analitici e continentali. Guida alla filosofia degli ultimi trent'anni»

Luoghi citati: Cortina, Italia, Torino