Ma la Natura è innocente

Non paragonatela ai killer che uccidono con i sassi Non paragonatela ai killer che uccidono con i sassi Ma la Natura è innocente L* ALTRO giorno sul Monte Bianco, oggi sul Gran Zebrù. Montagne maledette? Alpinisti imprudenti? Giornate nere per il caldo umido di questi giorni? No, non montagne maledette: la natura non è mai colpevole di nulla; è meno colpevole di uno che gettando un sasso al di là di un muro colpisce l'amico più caro. E anche gli alpinisti sono più preparati e meglio attrezzati che non una trentina di anni fa; non solo come equipaggiamento, ma ancor più come ramponi, piccozze, chiodi, coi de. (Le pesanti corde di canapa dei miei tempi lontani e quelle leggere e sicure di fibre sintetiche di oggi!). E poi ogni Sezione del Cai ha la sua palestra, gli istruttori; si fanno escursioni preparatorie e ginnastica. Forse sono giornate nere per il caldo umido che agisce sul fisico. L'altro giorno, durante un'escursione compatita con l'età, osservavo dalle mie montagne i gruppi Adamello-Ortles e li ve- devo ben carichi di neve che presumevo fresca e facevo delle considerazioni: abbiamo avuto un marzo e un aprile molto secchi, ma poi a maggio è sempre piovuto. Sopra i 2700 metri era tutta neve. Le montagne dal Silvretta al Gran Pilastro erano un orizzonte candido. Oggi questo caldo ha certamente rammollito la neve e tra le tante cordate che in questi giorni salgono le Alpi gli incidenti sono possibili. Forse inevitabili. In settembre e ottobre sono meno probabili perché la neve primaverile si è sciolta e quella di fine autunno non è ancora caduta: le pareti sono scaricate e i crepacci sono ben leggibili. Ed ecco in questo pomeriggio d'agosto le tristi notizie. Un'ora fa la prima: quattro alpinisti sono morti stamane in Alto Adige. Sul Gran Zebrù. Dopo pochi minuti si precisa che sono quattro vigili del fuoco di Reggio Emilia; l'incidente è avvenuto sopra i tremila metri; non si conosce la dinamica e a dare l'allarme è una guida alpina di illustre schiatta: Hermann Pinggera. E dopo mezz'ora ecco l'altra notizia: sulla stessa «normale» è la stessa guida che ha dato l'allarme a cadere, o meglio la sua cordata dove era legato con due clienti. Come è possibile? Era pratico e conosceva molto bene quella «sua» montagna. Il Gran Zebrù è una gran bella montagna, forse la più bella del gruppo: Kònigsspitze lo chiamano i locali: Cima del Re. «Nobile montagna, si eleva con forme eleganti sulla cresta principale, all'unione delle valli di Solda, di Cédec, di Zebrù», così Gino Buscai- ni nell'ottima guida grigia Ortles-Cevedale. Le sue vie di salita sono quelle classiche di ghiaccio e roccia, «le miste», alcune considerate grandiose e di grande impegno, come la Nord. Ma anche la via «normale» è di tutto rispetto. Sale per la Spalla e la cresta SudEst e fu salita la prima volta nel 1854 da Stefan Steinberger. «L'itinerario nel complesso è abbastanza esposto, con tratti debcati che richiedono attenzione»; i pendii sono ripidi dai 30° ai 50°. Se gli incidenti di oggi sono avvenuti attorno ai 3700 metri è da presumere che gli alpinisti, salito il ghiacciaio, si siano troppo avvicinati a qualche cornice di neve verso la parete Est-Sud-Est? Ora non possiamo saperlo. La montagna ha tante domande alle quali non sapremo mai rispondere. Ma è certamente meglio cadere in montagna che morire su un'autostrada schiacciato da un tir. Mario Rigoni Stern

Persone citate: Gino Buscai, Hermann Pinggera, Mario Rigoni Stern, Solda, Spalla, Stefan Steinberger

Luoghi citati: Reggio Emilia