Un filo nero corre sui binari di Filippo Ceccarelli
Un filo nero corre sui binari Un filo nero corre sui binari Tra scandali e delitti, tanti potenti rovinati LA MALEDIZIONE DELL'ENTE E ROMA la jella? Chi se la sente di escludere che un filo nero colleghi le vergogne di questo agosto ferroviario ad altre disgraziatissime giornate? Come non accorgersi che qualsiasi potente che viene a contatto con i treni finisce sempre male? Un sortilegio di Palazzo, si direbbe, tante sono le analogie, e tutte pessime, negli ultimi dodici anni, fra scandali, sperperi, morti ammazzati, megalomanie, latitanze, galere, bombe ai cantieri dell'alta velocità, corruzione all'ultimo stadio, intercettazioni a base di turpiloquio, disastri estivi... Come se la legge di riforma, relatore Ligato, varata nel lontano 1985 riforma «moralizzatrice», s'intende, e adeguatamente pubblicizzata a colpi di spot: «Signori, si cambia!» - avesse trovato il suo più inglorioso compimento, la sua grottesca colonna sonora nei fischi delle locomotive che di notte, con impietosa regolarità, salutavano il detenuto Lorenzo Necci. Da Villa Patrizi, perciò, sede del nuovo ente, fatta ristrutturare da Ligato tutta in tulle e marmi rosa per 4 miliardi e 878 milioni, a Villa Andreini, casa circondariale di LaSpezia, dove s'infranse il sogno tecnocratico di «Lorenzo il Magnifico», l'imperatore filosofo delle Ferrovie, e di Chicchi Patini Battaglia. In mezzo, un'epopea di così ripetute nequizie da rendere plausibile il sospetto di un qualche malocchio, appunto, o - per i più raziocinanti e scientifici - l'ipotesi di un Dna perverso definitivamente impossessatosi delle Ffss. E quindi riaffiorano alla memoria, alla rinfusa, le venti lettere anonime che tra il 1988 e il 1990 riceveva quotidianamente il commissario straordinario Schimberni - pure lui finito agli arresti, nel 1993, anche se per altre faccende (Montedison). Oppure pare di rivedere l'elicottero con cui, viste le brutte, scappò l'«imprenditore» Elio Graziano, presidente dell'Avellino Calcio, ma soprattutto produttore di quelle ormai proverbiali «lenzuola d'oro» - «effetti letterecci», in realtà, nello straordinario gergo burocraticometafisico che ne valutò pure la consistenza di «tessuto non tessuto» - da cui, per sintomatica assonanza, derivarono «coperte d'oro», «pasti d'oro», «vagoni d'oro», «calcolatori elettronici d'oro», «impianti di riscaldamento d'oro», «consulenze d'oro», «stipendi d'oro». Tutto insomma sembra destinato a diventare d'oro, alle Ferrovie, nell'epoca in cui Rocco Trane, segretario del ministro Signorile e amministratore delegato della cosiddetta (da Formica) «Sinistra ferroviaria», veniva immortalato in una celebre foto in calzoncini corti, a coscetta, zoccoli, ed enorme pancia. Rocco e i suoi fardelli. Nella seconda metà degli Anni Ottanta, il primo, estesissimo consiglio d'amministrazione dell'azienda che in teoria doveva far viaggiare meglio gli italiani si trasformò esso stesso in un'aurea bri- gata di gaudenti purtroppo dotati di carta di credito. Per anni i giornali hanno campato descrivendo con golosa pignoleria che cosa ci facevano, i consiglieri, con le loro magiche tesserine. «Spese di rappresentanza - ha pei pensosamente scritto il magistrato Paraggio destinate ai bisogni della vita». Basti pensare che, con quelle carte di credito, il comunista Caporali si fece installare una cassaforte in casa; il socialista Ravenna acquistò anche pellicce; il de Merli Brandirli fece addirittura la carità, mentre il socialdemocratico Mazzuolo si pagò le vacanze in Norvegia e il consigliere Manzari in Centro Africa. Il repubblicano Trezza si specializzò nei ristoranti, alcuni puntarono sulle cartolerie, altri sulle profumerie, altri ancora sui viaggi. Per quest'ultimo scopo venne messo in atto il più intenso e gioioso sfruttamento della Cit, fino a far riecheggiare nei corridoi di Villa Patrizi il grido: «Cit Cit, hurrah. E se un po', adesso, verrebbe anche da sorridere, di quel consiglio di allegri spendaccioni poi decimato dagli arresti, beh, il sorriso sfiorisce subito, e anzi sopraggiunge una piega amara di fronte all'orrida istantanea scattata nell'agosto del 1989 sotto il portico di una villetta di Boccale, costa calabrese: appena sfiorato da una pianta di pitosforo c'è Ligato, steso per terra a braccia aperte, torso nudo, i jeans sbottonati. Ventisei pallottole, gli avevano sparato, dieci in faccia, da tre di¬ verse rivoltelle. Ligato, uomo in¬ telligente e spregiudicato messo lì dai demitiani, era figlio di un ferroviere. Si dimise dal vertice dell'azienda qualche mese prima di venir trucidato ancora non si sa bene da chi. Aveva fondato trenta società private. Sui treni rimane questa sua sconsolata ammissione: <Avevo una mia utopia». Ecco dunque, di nuovo, l'incantesimo nero del binario, autentico cimitero di carriere, peggio dei servizi segreti. Tutti quelli che vogliono sistemare le Ferrovie, sono le Ferrovie che sistemano loro. Tanto più ambiziosi i progetti, c'è anche da dire, tanto più miserabile la conclusione. Il ministro dei Trasporti Signorile si fece mettere a punto un piano dal Nobel Vassili Leontieff, sognava treni che da Otranto s'inoltravano nell'Europa, o da Brindisi sbarcavano in Oriente. Trane o non Trane - che per un soffio non divenne deputato - ha comunque smesso di fare politica. Come quell'altro potente doroteo veneto, Carlo Bernini, di cui ancora si favoleggia che avesse un servitore, detto «il Forfora», addetto a spazzolargli il soprabito. «Co' 'e ciacole no se impasta fiìtoler. pure lui vagheggiava una linea ad alta velocità Torino-Venezia. Niente, è finita nel 1993 con il suo segretario ricercato per «traversina d'oro». Quando si dice la maledizione, appunto. Anche se poi, per chi viaggia male e quasi sempre in ritardo, questa maledizione di Palazzo di solito non è nemmeno consolante. Filippo Ceccarelli Claudio Signorile (psi), ex ministro dei Trasporti. Affidò l'ambizioso piano di rilancio delle Ferrovie al premio Nobel Vassili Leontieff
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