Così l'azienda è diventata un malato in coma di Francesco Grignetti

Popolari e Cdu «E' troppo comodo accusare la de di tutte le inefficienze» RETROSCENA Così l'azienda è diventata un malato in coma Grandi progetti con una tecnologia da inizio secolo ALLE ORIGINA m UN DISASTRO LROMA A drammatica realtà era nascosta sotto gh spot di Celentano, che gli italiani ricorderanno bene». A Botteghe Oscure c'è un dirigente, Giordano Angelini, che si occupa dei trasporti e che oggi maramaldeggia. Celentano & le Ferrovie. Come dire: una strana coppia, il Molleggiato & il Brontosauro. Solo che il cantante era il belletto. E il pachiderma - che tra parentesi è la più grande impresa pubblica italiana - era il malato. Malato gravissimo, se si scopre dalle candide parole deU'amministratore delegato Giancarlo Cimoli che «stiamo costituendo un'unità di crisi che prima nelle ferrovie non c'era, in modo che in situazioni di questo genere ci siano dei punti di riferimento certi». Ecco, nell'Italia del Duemila che aspira all'Europa e si appassiona di Internet, le Ferrovie dello Stato non avevano mai pensato all'unità di crisi. Detto questo, tutto il resto è relativo. O immaginabile. Anche le accuse più feroci, come quelle del sindacalista Armando Romeo, leader del sindacato autonomo Fisafs: «L'innovazione tecnologica non è mai arrivata. Tutto è fermo all'inizio secolo. Hanno provato la scorciatoia dei treni veloci Eurostar. Ma voi la mettereste una Ferrari a correre per una stradina di montagna?». Gli fa eco un leader dei macchinisti di Roma, Bruno Salustri: «Nell'industria, a un certo punto, sono arrivati i computer e i robot per sostituire la manodopera. Operazione dolorosa, ma indispensabile. Anche alle Ferrovie dovevano risparmiare: hanno mandato via centomila persone e poi hanno incrociato le dita». Il resto è un lungo, mterminabile càhier de doléances. Da una nota della Cgil: «Aumentano i guasti di linea, al sistema di segnalamento, agli equipaggiamenti di bordo». Da un'altra nota, del Comu, coordinamento macchinisti: «Sono spariti i controlli diretti del personale, è scomparso il "guardalinea" che controlla a vista i binari, la manutenzione dal '90 è fatta ciclicamente lungo la rete da "carrozze oscillografiche"». Fa sapere l'Unione dei capi stazione: «La pota- tura di centomila posti di lavoro ha abbassato il livello di sicurezza e la qualità del servizio». Legambiente, che è una sostenitrice accanita del traffico su rotaia, lamenta: «Su sedicimila chilometri di ferrovia, i due terzi sono a binario unico. Il 40 per cento non è elettrificato. Nella sola Lombardia, in un anno, ci sono 20 mila guasti». Altri amanti delusi al Wwf : «La trentennale politica di MILANO DAL NOSTRO INVIATO «Chiedo scusa ai passeggeri» mormora l'ingegner Giancarlo Cimoli, voce flebile che si perde nell'assedio dei cronisti. L'hanno stretto nel vano della finestra, a Palazzo Lina, quartier generale delle Ferrovie a Milano: splendida sequenza di saloni, tavoli presidenziali e poltrone di velluto, giusti per una conferenza stampa. Ma l'animmistratore delegato delle Fs commette l'errore di alzarsi e finisce nell'angolo: sei, sette microfoni sotto il naso, telecamere minacciose e l'abbraccio soffocante di chi vuol sapere il come e il perché di tanto pandemonio. Cimoli stavolta parla come Lorenzo Necci, il suo predecessore: sottovoce. E dice quasi le stesse cose. E' il rituale di ogni presidente, di ogni amministratore, da Lodovico Ligato in poi: noi stiamo lavorando, le colpe sono di chi c'era prima. «E' stato un episodio grave - ammette l'ingegnere - che dobbiamo abbandono e di sprechi è la causa degli incidenti e dei disagi di queto ultimo week-end». Ma come si è arrivati a questo punto? Come è possibile che si sia alzato all'improvviso un coro di gente che-lei-l'aveva-detto? Bisogna fare un passo indietro. Anzi due. Ricominciare da Lodovico Ligato, ammazzato sulla porta di casa sua, in Calabria, nell'agosto 1989. Le ferrovie (e Ligato) erano considerare con attenzione, ed è quello che stiamo facendo, però bisogna separare la situazione dell'incidente da quella che è la situazione delle Ferrovie». E ricorda che le conseguenze sono state ingigantite perché in questi giorni mezza Italia è in viaggio: «L'incidente è avvenuto in una giornata di grande traffico, in due giorni abbiamo mosso due milioni di passeggeri». Brutto periodo per le Ferrovie: l'anno scorso la vicenda-Necci, poi l'incidente del Pendolino, le accuse appena uscite dal ciclone Lenzuola d'oro. Il quale scandalo altro non era che un antipasto di Mani pulite. Di gran carriera, a sostituire Ligato, era stato chiamato Mario Schimberni, gran manager della chimica, ma caduto in disgrazia. Schimberni resse un anno. Nel giugno 1990, Schimberni sbatteva la porta e un altro disoccupato eccellente, anche lui proveniente dalla chi¬ mica, Lorenzo Necci, gli subentrava. Di Schimberni una sola cosa si seppe: che considerava assurda l'alta velocità in un sistema ferroviario scassato come quello italiano. Necci, che forse aveva più fiuto, considerava invece eccellente l'alta velocità in un sistema ferroviario migliorabile come quello italiano. E durò alla grande finché non si misero di traverso le microspie della Fi¬ nanza. Il resto è un diluvio di Chicchi Pacini Battaglia, Rocco Trane, Emo Danesi, Phoney Money, trattative per un costituendo governo Maccanico e quant'altro. Le ferrovie, intanto, sotto la guida di Necci, a tutto pensavano meno che ai treni. Si allargava a dismisura lo spettro degli interessi. Si puntava all'immobiliare con la società Metropolis. Si compravano linee di pullman e di traghetti. Si sognavano alberghi e reti telematiche. L'avvocato Necci scriveva «Reinventare l'Italia» raccogliendo applausi da tutte le parti, giornali compresi. Quanto alle Ferrovie, incentivano l'esodo di centomila ferrovieri. Una incredibile cura dimagrante che dimezza quasi gli impiegati. «Ma questo - dice ancora Romeo, della Fisafs - è il guaio. Così tante espulsioni hanno creato una crisi del sistema. Dov'è però l'evoluzione tecnologica che avrebbe dovuto accompagnare, e anzi precedere, questa rivoluzione?». 1 sindacalisti fanno l'esempio dell'Eurostar, i treni veloci che percorrono l'Italia da Nord a Sud sostituendo i «rapidi» di vecchia concezione. Treni ottimi. Peccato che l'infrastruttura che li accoglie è vecchia. Spiegazione tecnica dell'esperto: «Le linee di alimentazione, aeree, cedono di continuo. La nostra linea è pensata per treni che al massimo in qualche punto raggiungevano i 150 chilometri orari. Gli Eurostar vanno a 250. Per cui, delle due l'una: o si abbassa la velocità o cedono le linee». La soluzione, temono quelli della Cgil, è che si «pensi definitivamente a una piccola ferrovia». Ma all'orizzonte, forse, c'è un'altra soluzione, che non piacerà lo stesso ai sindacati, ma chissà, magari funziona: lo sbarco in Italia del treno svizzero. Che, se permettete, è sinonimo di puntualità. Ieri mattina Cimoli ha firmato un accordo con le Ferrovie federali Svizzere per il trasporto merci, direttamente dai porti italiani al Nord Europa grazie ai ferrovieri di Lugano. E noi passeggeri? Francesco Grignetti L'ingegner Giancarlo Cimoli amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato