In Svizzera il tesoro dei sikh

In Svinerà SI tesoro dei sikh In Svinerà SI tesoro dei sikh Trovato dopo un secolo il conto dell'ultimo re LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Fra l'oro dell'Olocausto e i conti «dimenticati» degli ebrei nelle casseforti di Zurigo potrebbe anche celarsi il «tesoro del marajà»: le ricchezze, i gioielli, forse anche delicati e importanti documenti di Stato del marajà Duleep Singh, ùltimo re-imperatore dei Sikh. Morì in esilio nel 1893: non certo ricco, anche se non nelle strettezze dei suoi figli e delle sue figlie, morti senza lasciare eredi, scapoli e zitelle per mancanza di una fortuna adeguata al loro rango. Ed è proprio nel nome di una di quelle figlie che, rivelano le banche svizzere, c'è un conto che non è stato toccato dai tempi della guerra. d i b pgNella lista di 1872 nomi pubblicati due settimane fa dalle banche svizzere figura anche «Catherine Duleep Singh», residente a Perni, nel Buckingham- shire. Non Duleep ma Duleep, anzi la principessa Catherine Hilda Duleep Singh, nata nel 1871, educata a Oxford, morta in oscurità nel 1942. E attorno a quel conto, che può anche essere una cassetta di sicurezza e contenere chissà che cosa, si sta accendendo la fantasia della popolazione sikh. «Molti si faranno avanti adducendo legami di parentela», afferma Trilok Singh Wouhra, direttore di una importante ditta alimentare di Birmingham e fondatore del Maharajah Duleep Singh Project, che sta raccogliendo fondi per girare un film sulla vita del marajà. «Ma stiano tutti attenti - ammonisce - alla maledizione». La maledizione è quella pronunciata 300 anni fa da un santone sikh, il decimo guru Govind Singh, per chiunque avesse toccato il tesoro da lui sepolto. Fu il padre dell'ultimo marajà, Runjit, meglio noto come Ribelle alla Regina Vittoria era morto in apparente miseria Si cercano gli eredi «il leone del Punjab» a prendersi l'oro. E la maledizione non si fece attendere. Il marajà Duleep Singh aveva appena 8 anni quando gli inglesi gli presero il regno e le ricchezze, fra le quali il famoso diamante Roh-i-Noor che è ora incastonato nella corona di Stato della regina madre. Il piccolo marajà divenne uno dei favoriti della regina Vittoria e visse per molti anni a corte, a Londra. Gli era stato riconosciuto un appannaggio per quei tempi principesco, 50 mila sterline l'anno, e gli era stata assegnata una splendida tenuta nel Suffolk: Elveden Hall, tuttora meta di pellegrinaggio dei 250 mila sikh che abitano in Inghilterra. Ma poi Duleep Singh ebbe contrasti con Vittoria e con il governo: si dice che complottò con i nazionalisti irlandesi e con emissari dello zar per riavere il suo regno. Ero troppo giovane, spiegava, quando firmai il trattato. Si definì «implacabile nemico del governo britannico». / Prima di morire fu perdonato Un sikh con II caratteristico turbante (che i suoi correligionari non possono mai togliersi) vicino al Tempio d'Oro di Amritsar da Vittoria; ma intanto le sue ricchezze erano svanite. Ai due figli - i principi Victor e Frederick - lasciò poco più di 7 mila sterline. Entrambi morirono' negli Anni Venti, dimenticati e senza eredi. Le loro tre sorelle Catherine, Sophia e Bamba si erano adattate a una vita da zitelle. Catherine, morendo, lasciò i suoi pochi averi a Sophia, che a sua volta fissò lasciti per il canile di Battersea, la scuola di Ferozepore per ragazze sikh e l'ultima delle sorelle, Bamba. Del grande raj, quando anche costei morì nel 1957, non restavano che duemila sterline, ereditate da Rarim Baksh Supra, definito dalla principessa Bamba «fedele avvocato e amico per 51 anni». Ora la notizia del conto in Svizzera, forse con le ricchezze che il marajà riuscì a celare alla regina Vittoria. I sikh esultano. Novità dalla ricerca Bracco GERUSALEMME DAL NOSTRO INVIATO Passata con il fiato sospeso la «domenica del terrore» nel timore di un imminente nuovo attentato, Yasser Arafat e Benjamin Netanyahu affilano le armi in vista dell'arrivo del mediatore americano Dennis Ross. Il duello a distanza fra i due partner-avversari nel processo di pace è politico ma le parole non lasciano nulla alla fantasia. Yasser Arafat ha riunito ieri d'urgenza a Gaza tutti i principali leader palestinesi per «discutere ha detto il suo portavoce - la strategia nei confronti di Israele». Subito dopo ha inviato a segretario generale dell'Orni, Kofi Annan, un telegramma denunciando la «dichiarazione di guerra di Israele nei confronti dei palestinesi». E quindi ha parlato a lungo con il re giordano Hussein, che ha poi detto di «non dubitare dell'impegno di Arafat nella lotta al terrorismo e contro Hamas». Benjamin Netanyahu invece ha prima riunito il suo consiglio dei ministri e quindi si è incontrato con il capo dell'opposizione laborista Ehud Barak per serrare le fila in vista degli incontri con Ross. Ma Barak non gli ha risparmiato nulla: «Combatte il terrorismo solo a parole, la sua strategia non fa altro che rafforzare Hamas». Ci ha pensato comunque lo stesso Netanyahu a riassumere la posizione con la quale riceverà l'inviato di Clinton: «Arafat sa bene che gli accordi di Oslo si basano sull'impegno alla reciproca sicurezza, se lui viene meno a questa pre-condizione anche Oslo non ha più alcun valore». E' stato poi l'ambasciatore all'Onu Dorè Gold a duellare con il palestinese Saeb Erkat, dato da molti in ascesa fra i favoriti di Arafat. «Se vogliono salvare Oslo devono combattere il terrorismo e limitare la libertà del capo della polizia Ghazi Jabali, che vi è implicato» ha depto Gold. «Nessun negoziato è possibile con le attuali misure repessive, la chiusura dei territori, le confische dei terreni, i nuovi insediamenti» gli ha replicato Erkat. E' fra queste due posizioni che Dennis Ross dovrà tentare di ricucire entro la fine della settimana per salvare ciò che resta degli accordi di Oslo e quindi permettere al presidente Clinton di inviare nella regione il Segretario di Stato Madleine Al bright per far ripartire il negozia to di pace. E non sarà facile. Non a caso ieri Sandy Berger, consiglie re per la sicurezza della Casa Bianca, ha invitato le parti ad evitare «pericolosi passi unilaterali» nelle prossime ore. Polemica anche sull'incontro fra il capo dei servizi israeliani, Amy Ayalon, e il palestinese, Taofik Tarawi, ricercato per duplice omicidio. «E' una vergogna» ha detto Benny Begin, avversario del premier all'interno del Likud. L'allarme terrorismo resta alto: sono saliti a 160 i pale stinesi arrestati da giovedì scorso, le soldatesse pattugliano le spiag ge e là polizia setaccia mercati e stazioni di autobus temendo nuo vi attentati. Si cercano anche eie menti a conferma della «pista estera» per l'attentato di Gerusa- sperperi. Ma fuori, nella centralissima piazzamercato, si parla solo dei 356 milioni di dollari andati in fumo. «Speriamo che ora Arafat rimetta le cose a posto» dice un commerciante. «Noi sapevamo quello che succedeva da molto tempo» aggiunge un passante che dice di aver studiato in ItaLia. Per tutti comunque «questi ministri se ne devono andare» ed Arafat «deve creare un nuovo gabinetto più onesto ed energico». Con il Consiglio legislativo chiuso per ferie, a dar voce alla protesta è rimasto nel suo ufficio Fares Radura, deputato neanche quarantenne con alle spalle 14 anni di carcere in Israele a causa del ruolo di spicco che aveva in Al-Fatah. «E' venuto il momento di cambiare - dice - non si può più aspettare». Per Radura «bisogna recuperare i leader dell'Intifada, della lotta all'occupazione» perché «chi ha siglato gli accordi di Oslo non serve Scoperto a sorpresa durante le ricerche bancarie sui beni dell'Olocausto