Si dimette il gruppo pds, salta il ribaltone

Si dimette il gruppo pds, salta il ribaltone Si dimette il gruppo pds, salta il ribaltone CATANZARO. Svolta nella crisi della regione Calabria. Il gruppo del pds ha deciso di dimettersi rendendo quindi di fatto impossibili le ipotesi di «ribaltone» che erano state avanzate nei giorni scorsi, dopo che 7 «transfughi» dal centrodestra avevano fatto vacillare la maggioranza del Polo. La svolta nella vicenda legata alla crisi della giunta di centrodestra, guidata da Giuseppe Nisticò, è stata motivata dai leader calabresi del pds con la necessità di dare al più presto una soluzione alla crisi «dopo il fallimento clamoroso del Polo». Soluzione che dovrà, essere attuata non oltre il 12 agosto e, comunque, passare attraverso l'approvazione del bilancio. Il presidente dei senatori di Forza Italia, Enrico La Loggia, ha apprezzato la decisione del pds definendola «un gesto di chiarezza». «Quando un Consiglio regionale va in crisi in maniera così evidente ha detto La Loggia - non è mai una cosa positiva. Ma se si tratta di scegliere fra il ribaltone e le elezioni, non ho dubbi: gli elettori hanno dato mandato a una coalizione, e la cosa più logica è che si rimetta la decisione agli elettori stessi». Anche il coordinatore di Alleanza Nazionale Maurizio Gasparri ha detto di apprezzare 1' iniziativa del gruppo del Pds di dimettersi dalla giunta in Calabria. «E' una decisione - ha detto Gasparri - giusta, da apprezzare e un' iniziativa nel segno della chiarezza. O si riesce a rimettere in piedi la coalizione che ha vinto le elezioni in Calabria oppure si torna alle urne». [r. i.] Comune. Hanno rubato gli attrezzi dei giardinieri della villa comunale (gran lavoro, guadagno presunto irrisorio) e contemporaneamente hanno distrutto gli impianti di irrigazione delle aiuole. Era un vanto del Comune aver restituito il verde. I «teppisti» hanno riportato le aiuole al giallo di sempre. Nella notte tra il 7 e l'8 luglio, nella sua casa del centro di Reggio, dove il padre aveva la bottega di fabbro e vive ancora la sua mamma nata prima del terremoto, Falcomatà ha ricevuto una telefonata: «Esci a vedere come ti stiamo bruciando la casa. La prossima volta bruciamo te». Bruciava il portone e un fumo nero ha riempito le scale ed ha incominciato a intossicare i riflessi di una famiglia. Tre giorni dopo telefonano in Comune: «Alla posta c'è un pacchetto per il sindaco». C'era. Un po' di gelatina esplosiva, tre proiettili, una lettera, minacce a lui e a Marco Minniti, alter ego di D'Alema nel tabernacolo di Botteghe Oscure e sponsor politico dell'«operazione Falcomatà». Rieletto in primavera, per la prima volta con la nuova legge elettorale, è passato al primo turno. Cinquantatré per cento dei voti in una città di destra dove però 13 mila persone che hanno votato Polo hanno deviato la scelta del sindaco sul professore del pds. E lui ha fatto una giunta, per la prima volta nella storia di Reggio Calabria, fuori dalle compensazioni di gruppi e di partiti. L'ingegner De Luca, assessore ai Lavori pubblici, per esempio, è un consulente della Procura. Ma le pallottole, anche se in busta chiusa, pesano per tutti. Falcomatà ci racconta che aveva deciso di lasciare. Paura? Paura. «Pensavo che non fosse giusto sconvolgere la vita della mia famiglia». La moglie, due figli, le abitudini, come quella di trasferirsi al mare, d'agosto, nel monolocale in residence acquistato 16 anni fa: «Pensavo si dovesse privilegiare l'umanità della persona, la vita della propria famiglia». Falcomatà dice che aveva in mente un ritornello mille volte ascoltato: «Chi ti ha messo nel mirino e non ti ha ammazzato vuole che te ne vai. Se tu provi a resistere, sarà una lunga storia e quando ti accorgerai che hanno rovinato la tua famiglia, sarà tardi». «Sì, avevo deciso di smettere»... Come poi non sia accaduto è una di quelle cose che il sindaco non vuole raccontare in «dimensione epica» e che dunque sfuma nella cronaca delle solidarietà che gli sono piovute addosso come mai era accaduto a Reggio dove ogni minaccia nasconde un sospetto prima di tutti sulla vittima. E invece è venuto D'Alema a rovesciare la minaccia sui mafiosi: «Non accetteremo colpi di stato nei confronti di un sindaco eletto dalla maggioranza assoluta dei reggini». Poi gli ha telefonato Berlusconi, mentre Amedeo Matacena (deputato di Forza Italia e indiziato di collusioni con la 'ndran gheta) sparava a zero contro il sindaco. «Berlusconi - ci dice Falcomatà - è stato cordiale, m'ha dato stima, solidarietà, mi ha invitato a resistere». Anche gli ex missini sono andati in piazza. Falcomatà è oggi il sindaco-simbolo del Sud minacciato di mafia. Saliamo verso Gambarie e l'Aspromonte per andare a vedere le prove della guerra dell'acqua che da settimane si sta rivoltando contro il sindaco. «Menti raffina¬ te» sono forse dietro ai martelli che scardinano i tombini. Un sindaco si combatte mandandogli una busta di proiettili, ma anche esasperando quelli che l'hanno votato, sabotando la raccolta rifiuti e deviando l'acqua. Alla fonte di Vinco l'acqua gorgoglia sonante, ma si si perde per strada e non arriva a Cannavo, qui dove vive il fantasma dei Libri, boss con villa fortificata c blindala, Così sicura che quando l'hanno sequestrata, ci hanno fatto un fortino della Guardia di Finanza. Ma i fantasmi di Reggio non si l'anno sequestrare. Martellano i tombini e seminano indizi. Cesare Martinetti presidente della Camera Luciano Violante E' ancora scontro sull'indulto. Fra chi propone di «chiudere» gli anni di piombo e chi non pensa sia ancora il momento di «perdonare» i colpevoli. In prima linea, ieri, le famiglie delle vittime di una delle stragi: quella alla stazione di Bologna. Che - in occasione del 17° anniversario - hanno ribadito il loro «no» a qualsiasi forma di indulto e l'amarezza per le molte verità ancora nei cassetti. «Da più parti si propone di chiudere gli anni di piombo con provvedimenti quali l'amnistia o l'indulto: gli anni di piombo si chiudono colpendo i mandanti e gli ispiratori politici, impedendo loro di riutilizzare le stragi e il terrorismo - ha detto fra l'altro Paolo Bolognesi, presidente dell'Associazione familiari delle vittime dell'attentato -. Anche la classe politica attuale sembra rinunciare a consegnare alle generazioni future coloro che hanno pesantemente condizionato la nostra democrazia nelle sue libere scelte». Parole che Romano Prodi non ha lasciato cadere. «Le cose promesse sono state mantenute», ha detto nel suo intervento. E alla domanda dei cronisti se la sua presenza in piazza fosse la testimonianza dell'impegno del governo, ha ribadito: «E' più che Diviso il mondo politico. Prodi: «Mantenute le promesse». Allo studio la riforma del segreto di Stato