Callas i prodigi della sconosciuta

21 Mezzo secolo fa il debutto all'Arena: bocciata dall'America, si giocava tutto in Italia Callas, i prodigi della sconosciuta Aveva 24 anni, viaggiò su un cargo russo fino a Napoli Nel 55 alla Scala trionfò nella «Traviata» dell'amato Visconti EI faccia prima un nome in Italia», le dissero dopo un'audizione al teatro dell'Opera di San Francisco; anche al Metropolitan di New York era andata male. E malissimo, un'autentica bancarotta, finì l'avventura di una sedicente Compagnia degli Stati Uniti che doveva debuttare a Chicago in una Turandot mai andata in scena, ma di cui resta qualche ritaglio di giornale con il suo nome storpiato: Marie Calas. Aveva ventiquattro anni, una f amiglia faticosa e infranta, non era una donna di seduzione, la sua voce irrequieta nessuno, ancora, la capiva: Leonora, nel Fidelio di Beethoven o Butterfly («Così poco si adattava al mio fisico com'era»), Norma o Santuzza o Isotta, come lei stessa credeva, confondendo le proprie dimensioni con i ruoli possibili? E l'Italia - indispensabile davvero, allora - la scoprì il 1° agosto del 1947, cinquant'anni fa. Il critico del Gazzettino aveva seguito le prove e scriveva quel giorno, creando l'attesa alla vigilia del suo debutto all'Arena: «L'artista americana Maria Callas ha rivelato qualità vocali d'eccezione e un temperamento drammatico notevoli... con buon affidamento per un grande successo della serata inaugurale della stagione». Generoso, non rivelò che durante una delle ultime prove era caduta in palcoscenico, complice la sua miopia. Cantò Gioconda, ed era stato Giovanni Zenatello, anziano tenore amato da Puccini, a volerla portare qui, dopo averla ascoltata una notte a New York, in un'audizione privata. Rinunciò all'idea di scritturare per la stagione estiva due dive come Herva Nelly e Zinka Milanov e scelse quella voce brutta, come alcuni non smisero mai di rimproverarle. L'estetica del bello mal si concilia con la presenza del mistero, non ne tollera l'imponderabile che l'accompagna. Ce ne fossero ancora, di così vere, arcaiche, assolute - «Se non avesse cantato, avrebbe recitato Sofocle, Euripide», immaginerà Montale - invece di tante vocette bravebelleben educate che cantano e cantano e cantano, e così poco fanno sentire. Zenatello capì tra i primi che aveva di fronte a sé, viva, una favola senza tempo, un'essenza e un corpo vocali da tutti ritenuti perduti e compianti. Un prodigio che, poco dopo, Francesco Siciliani definì esattamente: «Riviveva una voce scomparsa da oltre un secolo, quella di soprano drammatico di agilità». La greca mai esule dalla propria essenza restituiva alla voce, al suo gesto e alla sua presenza scenici, una tragicità cupa e luminosa, capace di inverare il senso della parola musicale. Non si potrà mai dire di lei «voce di paradiso»: altri abissi le appartenevano, quelli che, nella sillaba¬ zione stenta, spezzata come frammenti di delirio, accompagnata ad uno slancio vocale mordente e imprevedibile, dove trovava luogo anche l'abbandono patetico, la fecero, da allora e per sempre, l'interprete di riferimento di chi chiede al melodramma anche il sacrificio di incontrare la modernità. «La più sensazionale cantante-attrice che conti oggi il teatro lirico», sintetizzò Fedele D'Amico raccontando la Traviata scaligera del 1955, inventata da Visconti. «Ne era perdutamente innamorata e Luchino, malvagio come tutti i Visconti, giocava con lei come il gatto col topo», ricordava Gianandrea Gavazzeni. La stessa dedizione, anche ingenua, regalerà a Pier Paolo Pasolini: il problema mai risolto del padre assente (non una notizia di lui dal 1938 al '44) potrebbe autorizzare un non banale tentativo di psicobiografia dell'artista, per provarsi, per quanto serve, a comprendere il motivo del suo eccellere in quei ruoli dove l'assenza diventa dolore e il dolore foiba. Ne tenterà un racconto, servendosi di appunti giovanili anche inediti, la lunga serie di trasmissioni, curate da Jacopo Pellegrini, che Radio Uno dedicherà alla Callas a partire dal primo settembre. Non più (i nemici - ne ebbe sem¬ pre - dicono «soltanto») di una decina i ruoli da lei testimoniati, e tra questi anche Gioconda. Un'edizione registrata alla Rai di Torino nel 1952, una seconda del 1959 alla Scala, ambedue con la direzione di Antonino Votto, ne dicono la credibilità tragica. Quell'estate del 1947 viaggiò su un cargo russo fino a Napoli, poi un treno la portò a Verona. Non conosceva, non conoscerà mai, l'inganno dell'autocompiacimento: «All'Arena non fu un grande successo, ma il buon maestro Serafin mi aiutò». Sapeva che in quei suoi primi giorni italiani giocava tutto quello che possedeva, in un periodo in cui, come scrisse Nicola Rossi-Lemeni, «i critici e gli impresari americani non volevano sentir parlare di lei». C'erano fragilità private, che chiedevano di venire protette: a quei giorni data il primo incontro con Giovanni Battista Meneghini che trasmise al suo italiano il proprio accento veneto, costringendola poi a faticare quando l'interpretazione del testo lirico le chiederà di insistere sulle doppie consonanti. Restò in Italia, Serafin la propose alla Fenice. I responsabili dei nostri teatri d'opera, che allora erano musicisti, compresero (quasi tutti) il dono che avevano ricevuto. Sandro Cappelletto Durante le ultime prove cadde in palcoscenico per colpa della miopia STASERA A VERONA VERONA. Raina Kabaivanska ricorda la Divina: stasera in Arena la cantante dedicherà alla Callas la sua ultima Butteifly e lunedì parteciperà a un convegno sulla diva, ricevendo nella Loggia di Fra Giocondo il «Premio Callas». Maria Callas verrà ricordata a Verona anche nel Giardino Giusti con Medea Pasolini Callas di Bruno Tosi, presidente dell'Associazione Callas. Protagonista Piera Degli Esposti, regia di Alberto Casari. A sinistra, Maria Callas A destra, la Divina con Tullio Serafin STASERAVERONA. ricorda la Arena la canla Callas la e lunedì pavegno sullala Loggia «Premio Caverrà ricordnel GiardinPasolini Capresidente Callas. ProtEsposti, reg A sinistra, Maria Callas A destra, la Divina con Tullio Serafin