LA STORIA ROVESCIATA di Massimo Giannini

La Cei: Tangentopoli meno grave del terrorismo. Costa: non scordare gli altri delinquenti LA STORIA ROVESCIATA congresso del pds in poi ha iniziato a premere sul «suo» sindacato, la Cgil, tentando di rimuoverne le antiche incrostazioni massimaliste, sulla flessibilità del lavoro e del salario, sulla mobilità e sullo Stato sociale. Dall'altra parte c'è un segretario generale della Cgil, Sergio Cofferati, che, forse persino suo malgrado, appare come uno dei soggetti sociali più ostinati e resistenti al cambiamento. Così, al contrario di quel che accadde nei primi Anni Ottanta, abbiamo il più grande partito della sinistra italiana che avverte l'urgenza di modernizzazione e il più grande sindacato della sinistra italiana che - pur avendo un merito enorme, cioè quello di aver pilotato insieme a Cisl e Uil le enormi ristrutturazioni industriali e il calo di potere d'acquisto dei salari reali senza un'ora di sciopero - oggi tira il freno delle riforme. Lo scontro di ieri tra lo stato maggiore del pds e Cofferati sul tema dei salari d'ingresso nel Mezzogiorno segna dunque il riacuirsi di una conflittualità carsica, destinata a protrarsi e se possibile a inasprirsi in autunno, quando sul tema del Welfare State non ci saranno più margini di ambiguità, e bisognerà scegliere da che parte stare: se cioè dalla parte di chi vuol rimettere in moto un mercato del lavoro cristallizzato intorno a chi vi è già dentro e vuol riequilibrare un sistema di tutela sociale e assistenziale pensato per escludere le future generazioni, e chi invece vuole il mantenimento dello status quo. Proprio a rileggere i fatti di oggi alla luce della lezione dell'Ottanta, si può dire che nella «resistenza» di Cofferati c'è un elemento positivo, di continuità rispetto a Lama, e un elemento negativo, di forte discontinuità nei confronti della linea del grande «padre». L'elemento positivo è l'autonomia: con la polemica di ieri, Cofferati consuma forse in via definitiva un «divorzio» dal partito in cui nessuno - soprattutto dopo le incredibili scuse che D'Alema gli aveva fatto pubblicamente subito dopo il congresso pidiessino - aveva mostrato di credere. Invece è così: «A ognuno il suo mestiere», come il Cinese ha intitolato il suo bel libro. La «cinghia di trasmissione» si è rotta qualche anno fa, e oggi nessuno vuole rimetterla insieme. Ma a parte questo, resta l'elemento negativo, di discontinuità, che è rappresentato da un istinto alla conservazione che in un «moderato» come Cofferati si sta rivelando più tenace di quanto non fosse lecito immaginare. E' probabile che ad una linea così oltranzista il leader della Cgil si sia persuaso dopo le ultime, -dure sortite confindustriali sui licenziamenti, sugli ammortizzatori sociali e, in prospettiva, sul doppio livello contrattuale che tornerà fatalmente in discussione in autunno, con la verifica degli accordi sul costo del lavoro del luglio del '93. E' dunque altrettanto probabile che in tutto questo Cofferati veda il rischio di una caduta delle garanzie complessive, che possa preludere ad una «americanizzazione» del mercato del lavoro, e quindi in prospettiva ad un graduale ridimensionamento, se non addirittura ad una sostanziale scomparsa, del sindacato. Ma se è così, il Cinese farebbe bene a non sottovalutare un altro pericolo: che cioè il sindacato finisca col relegarsi sempre più ai margini dei processi di cambiamento, si logori in una battaglia di pur nobile retroguardia, e alla fine scompaia per sua propria consunzione. Sarebbe un errore strategico imperdonabile. Sotto questo profilo, non è rassicurante leggere, ancora nel libro di Cofferati, quei passaggi nei quali, ricordando l'oceanica mobilitazione del 1994 contro la riforma delle pensioni del governo Berlusconi, il leader dice che mai e poi mai il sindacato potrà fare o decidere alcunché senza il previo consenso dei suoi iscritti. Ci sono momenti della storia, invece, nei quali un leader deve avere la saggezza e il coraggio della «svolta», anche se questa disorienta la sua base. Lama, nell'Ottanta, questa saggezza e questo coraggio li ebbe. Pagò un prezzo anche caro, nel pei di Berlinguer, che da allora lo isolò ogni giorno di più. Ma rese un grande servizio prima di tutto alla sua Cgil, e poi al Paese intero, che altrimenti sarebbe morto di scala mobile. Cofferati, oggi, ha l'opportunità di rinnovare quella tradizione di saggezza e di coraggio. La colga: non perché glielo chiede D'Alema, questo ormai è chiaro, ma per il bene della sua Cgil e soprattutto per il bene di questo Paese. Proprio come fece il grande «padre» Lama. Massimo Giannini