Cortili come scrigni

Cortili Cortili come scrigni LE nostre città hanno la caratteristica di mescolare in se stesse luoghi tra loro diversissimi, anche - se non soprattutto - per il tipo di emozioni che possono suscitare in chi li attraversi o li osservi. Così, grigi angoli male illuminati, senza vita apparente, convivono con vie caoticamente popolose, rumoreggianti di vita quotidiana. E desolati fari che proiettano la loro luce sugli asfalti rappezzati di periferici cavalcavia, in una città devono essere considerati come parenti dei lampioni in elegante metallo lavorato che illuminano in grande quantità portici lussuosi sotto cui trascorrono con agio i passanti. Ma sono soprattutto i cortili a rappresentare, per antonomasia, la fitta rete di rapporti misteriosi, di segrete consonanze che vibrano dietro il volto quotidiano che la città mostra ai suoi abitanti. I cortili sono luoghi che non sembrano partecipare del mutamento che la città, in quanto organismo vivente, perennemente patisce. Naturalmente, questa è un'illusione: anche i cortili cambiano e invecchiano e muoiono mentre altri ne nascono. Però il tempo dei cortili sembra comunque scorrere in modo diverso da come scorre fuori, in città. L'impressione che nel continuo reimpastarsi del tessuto urbano i cortili siano come bolle, come teche in cui si racchiude il loro personale spazio, è netta, vivida. h dii d i i tili i p pC'è un'anima che è condivisa da tutti i cortili, in tutte le città: riguarda lo spazio, sottratto al movimento cittadino, salvato dalla dissipazione e deviato lungo un binario temporale differente. h l diff h d i gpCi sono però anche le differenze che rendono i cortili luoghi dalla forte, singolare personalità. E ci sono le somiglianze, come tra parenti: i cortili di Genova, i cortili di Milano... I cortili di Torino. Anche il più misero, invaso dai box auto, contornato dai drammatici balconi inter¬ ni degli edifici, con il cemento intriso di carburanti, svolge la sua funzione spaziale. Mentre ci muoviamo per la città, i cortili sono l'ultima cosa che notiamo: bisognerebbe camminare lanciando occhiate laterali, che penetrino negli androni e sbuchino nei cortili, oppure deviare dal percorso e introfularsi tra le case. Per il solo gusto di far visita a un cortile. Ma ci sono, a Torino, cortili che sono scrigni, e quindi conservano gioielli e preziosi. Questi bisogna visitarli, occorre ritagliare dal nostro tempo metropolitano qualche quarto d'ora che ci consenta di prendere visione di quegli spazi, a loro volta ritagliati dallo spazio urbano. Magari programmando in anticipo, nei nostri percorsi, quelle deviazioni. Uno straordinario aiuto può fornircelo il volume fotografico «H Grande Libro dei cortili a Torino» di Dario Lanzardo, edito da Lindau. Sono 130 splendide immagini, in cui Lanzardo riesce a fermare la caratteristica essenza scenografica del cortile torinese, senza turbare il suo strano silenzio, anzi ribadendolo con i tagli di luce, con i contrasti delle ombre oblique, con i giochi tra la profondità delle prospettive e la bidimensionalità delle facciate. Appuntiamoci qualche indirizzo, in modo da sfruttare l'occasione di un tempo morte, di una pausa mentre passiamo nei dintorni: piazza San Giovanni Battista 1, via Stampatori 4, via della Consolata lb, corso Regina Margherita 164, via Alfieri 15, via Maria Vittoria 4, via Po 17, via Bonsignore 7, corso Vittorio Emanuele 90, via Duchessa Jolanda 19, via della Rocca 41, via Verdi 9... Curiosare nella propria città, come se fossimo visitatori di passaggio, è un piacere tonificante e misterioso. Dario Voltolini fin qualche consolatorio ovile. Spesso immersi, torno a Mompracem, in una boscaglia fitta di odorosi caprifogli, spumeggianti ciliegi, contorte sofore piantate da prozii con il pallino dell'Oriente. La collina, a Torino, c'è tutto un segreto catalogo di torrette, falsi fondali, archi, canili, fienili e cortili, bizzarrie carloalbertine, portici e terrazze. Primo e Secondo Impero e meridiane, altane e fontane, cappelle, conventini, scalinate, viottoli, pergolati, e immancabili statue e lapidi che a Torino abbondano di qua e di là dal Po. Sdoppiarsi, ma anche specchiarsi, in questa città è uno sport sanissimo, altamente consigliabile ai biliosi (fermi ai semafori di corso Vittorio in attesa che quel cretino della macchina davanti si dia una mossa), agli agorafobici in crisi di panico in mezzo a piazza Omero, agli accidiosi che già andare a piedi da piazza Arbarello all'anagrafe è un viaggio. Magari perdersi - come stiamo facendo Emilio ed io - tra San Vito e la Maddalena alla scoperta di intatti colori e odori che mi riportano potenti ai miei sette anni in campagna da mia nonna. In questi giardini in fondo democratici - spesso non capisci dove finisce la proprietà privata e dove inizia un bel terreno libero dove farci, come una volta, una regolamentare merenda a base di uova sode e formiche - si può ritrovare, pensate!, persino una dimenticata lietezza del vivere. Chi poi sa apprezzare le stravaganze della topomastica come può non lasciarsi rapire dalla Strada vecchia dei Morti, o da quella della Viola? E l'estasi che procurano i vari Tetti Goffi, il Bric delle Ghiaie e le Ca Brusà di Reaglie? Eh? Il tutto condito da un dovizioso corredo di manierati iris (liberty pure loro), primule quand'è stagione, gracili non-ti-scordardi-me, violette (del pensiero e non) e spallette di ribes, pruni e spiree, ma anche, qua e là, oneste zucche e febei piantagioni di fagiolini, e ancora ortensie, narcisi e opulente peonie in vaso poggiate, lì, sul pianoforte a mezza coda, che bisogna prima o poi decidersi a far riaccordare (con tutta l'umidità che c'è quassù, ah!). In certe case annegate tra edere e roseti bicentenari incontri stanze fresche, gatti sonnacchiosi su cuscini elegantemente sdruciti, operose fantesche alle prese con il clafouti di pere (sì, va be' il clafouti si fa con le ciliege, ma provatelo con le pere), ritratti di languide zie amicissime di Gozzano, cantine, rimesse, vetrinette periodicamente saccheggiate dai ladri, seggioline di nndollino, busti corrosi, canapé, papier-peint ed esoterici guéridon. E quel profumo di mele messe a maturare in penombra o quello struggente della legna umida, in dicembre. Massi, che vadano un po' sulla beata le beghe di condomiò, il disagio giovanile, la ZTL. Massi, chi se ne impiccia della metropolitana che non c'è, delle impasse della giunta, deU'Irpef! (E dell'Iciap che rompe i ciap tutti i lugli che Dio manda in terra). Per una buona mezz'oretta Emilio ed io ce ne stiamo qui (veniteci anche voi qualche volta) a rimirare questa palma, disquisendo in santa pace se poi è una cycas o addirittura un banano. Poi, un attimo prima di svanire risucchiato da un momentaneo oblio, Emilio mi indica l'orizzonte regalandomi il riverbero di antiche illustrazioni d'infanzia. Abbasso gli occhi: laggiù scintilla come una visione, stretto tra i Murazzi, il Brahamaputra. Gianni Farinetti IH

Persone citate: Bric, Dario Lanzardo, Dario Voltolini, Gianni Farinetti, Massi

Luoghi citati: Genova, Gozzano, La Maddalena, Milano, Torino