I fiori della noia alla Pellerina

I fiori della noia alla Pellerina I fiori della noia alla Pellerina diolina all'orecchio (ma il campionato non è finito? Quali avvenimenti sportivi imperdibiU ci sono, a luglio), l'infante che. strilla. Tuz tuz. Ragazzini impunturati di brufoli, con l'oleosa coda di cavallo che scopre un insospettabile taglio militaresco e scarpe da ginnastica in decomposizione. Ragazzine con permanenti all'henne, i fianchi strizzati in pantaloni a quadri e le unghie che balenano fra le scrostature dello smalto mai rosso. Tuz tuz. Eppure, un parco in cui non entrano il rumore del traffico e l'odore del cemento... colme di spirito bucolico, non desistiamo dai nostri intenti e approdiamo alla pista di pattinaggio - un rettangolo delle dimensioni di una stanza, e come una stanza pavimentato di piastrelle. Grige e sghembe, naturalmente. Infiliamo i pattini, sedute sull'unico ritaglio di prato disponibile, fra un paio di coppiette in flagrante petting e una banda di adolescenti raccolta intorno a un mini-midi-maxi che ci bombarda con le dolenti note di un tormentone estivo. In un attimo siamo in pista: nostro malgrado, pattiniamo al ritmo delle dolenti note e dribbliamo, nell'ordine: una specie di robocop composto di casco gomitiere ginocchiere e rollerblades su cui ovviamente non sa andare; due aspiranti skaters in cui l'acquisto di maxi bermuda e maxi t-shirt ha preceduto quello dell'equilibrio sugli skateboard; due o tre bambini che sfoderano pattini anteguerra da allacciare sulle scarpe e il cui unico scopo nella vita sembra essere quello di piombare addosso a noi; altrettante genitrici comprese nel loro ruolo che ci accusano di ergerci come iceberg sulle rotte dei loro figli. Dopo una mezz'ora di guerriglia, alziamo bandiera bianca e decidiamo di prendere un ghiacciolo (un stick, secondo la signora del chiosco) e di passeggiare per il parco. Scartiamo i sentierini infrattati che, sulle prime, ci avevano attirate: ogni panchina è presidiata da una coppia di minorenni impegnati in incontri sessuali più o meno simulati, e i nostri commenti sprizzano acido e invidia. Optiamo per lo stradone principale, in pieno sole: succhiando il stick, osserviamo il prato, equamente diviso fra chi gioca a calcio e chi prende il sole un'esposizione di biancumi, scosci, trippe vibranti, shorts abbinati a calzini rigorosamente corti; un afflato di sudori, umori e odori, un contrappunto occhi spalancati. Pronti a svolazzarvi addosso, piantandovi gli artigli nella carne, beccandovi ogni parte del corpo. A quel punto probabilmente distoglierete lo sguardo da dove l'avete posato, rivolgendolo al secondo ambiente, all'apparenza semivuoto. La luce che filtra debole da una qualche apertura vi incoraggerà a recarvi laggiù, al sicuro. Invece che da fantasmi di animali, vi ritroverete circondati da cianfrusaglie impolverate. Vecchi mobili. Scatole. Cassoni. E' facile che in quell'istante l'occhio vi cada sul contenuto di una cassa di legno che deve aver conosciuto tempi migliori. Dentro noterete alcuni recipienti di vetro. Barattoli. Simili a quelli usati dalla vostra mamma o nonna per contenere la marmellata fatta in casa, in campagna. Esitando, infilerete la mano tra quei barattoli, estraendone uno che vi incuriosisce in modo particolare, dato che a prima vista non si capisce di quale natura sia il suo contenuto. Una strana forma biancastra galleggia al suo interno, immersa in un liquido trasparente. In un angolo del recipiente, un cartellino ingiallito dovrebbe aiutarvi a capire, ma la calligrafia che ha classificato l'oggetto nelle vostre mani risulta ormai illeggibile. Allora vi dirigerete verso quella parvenza di luce che giunge dalle vostre spalle. Guarderete meglio. Scoprirete che non si tratta di una semplice forma biancastra. Dentro il barattolo, a pochi centimetri dal vostro volto, riconoscerete sezionata la metà di un altro volto, e precisamente la parte destra della testa di un neonato. L'unico occhio, chiuso. Che però vi sta fissando. Non lo dimenticherete mai. Giuseppe Culicchia di «ziofanale», «basta'», urla di bambini. Ma allora può essere soltanto questo, la natura in città? Non un'oasi idilliaca, ma un controsenso, una calamita (o calamità) di brutture, di tutto quello che non vorremmo mai diventare e probabilmente diventeremo, di tutti gli sfortunati che sono costretti al cemento anche nel dì di festa, anche in tempo di ferie? Ci sediamo su una panchina miracolosamente deserta a finire il ghiacciolo, che si è trasformato in una melma dolciastra che ci appiccica le dita. Quasi subito, mi arriva una pallonata in testa: ma chi... un adolescente mi corre incontro. Non un brufolo, capelli lavati di fresco, scarpe sì da ginnastica ma di recente acquisizione. Recupera la palla, mi sorride - un sorriso tiepido come questo pomeriggio d'estate, e di estate profuma la sua pelle. Quindi vale la pena che ci sia questo parco, quindi non è vero che la natura in città è destinata a diventare un alpitour a basso costo per turisti di serie B: esistono i fiori nel deserto, esiste questo Tadzio torinese, esiste il polmone verde della Pellerina a far respirare la città... «Mi scusi, signora» dice il fiore nel deserto. Cortese, e più crudele di un orco delle fiabe. Ma come? Avrò a dir tanto dieci anni più di lui, sono perfino travestita da ragazzina... e mi dà del lei - peggio: mi chiama signora?? Ragazze, torniamocene a casa, per oggi ne ho subite abbastanza. Alessandra Monti-ticchio :■ 1 : 1 ■ 1. :■ ■ ■ ■ : ■:: : ' ■■ ■: ■ ■. ,. ■■■■■■ ■ ■ ■ ■ .

Persone citate: Alessandra Monti-ticchio, Cortese, Giuseppe Culicchia, Ragazzini