Lotta di classe a borgo S. Paolo di Piero Soria

Lotta di classe a borgo S. Paolo Lotta di classe a borgo S. Paolo sua fabbrica del ghiaccio e dei camion. Con la sua storia, i suoi negozi e le sue abitudini: Vieccaper l'abito della domenica. Viola per il vassoio di paste ostentate dopo la messa. L'Eliseo per un film tutti insieme, in famiglia. Lì, da sempre, si votava comunista e persino il parroco di San Bernardino - un frate scalzo perennemente ringhioso - non ammetteva che il suo gregge si rassegnasse a un'onesta e dignitosa povertà, visto che anche il Signore aveva avuto le sue belle ambizioni. Quei giovani di Lotta Continua, di Potere Operaio o di una qualsiasi delle mille isole dell'arcipelago rosso avevano i capelli troppo lunghi e un linguaggio troppo disinvolto - soprattutto le ragazze - per non far nascere sospetti in chi pensava che la lotta di classe fosse un'esclusiva di masse con le unghie nere e non di una sfaccendata élite di studentelli e professorini. Sara sembrava non stare più nella pelle. All'improvviso aveva dimenticato tutto: era con i suoi amici più cari. E c'erano quei suoi vent'anni da festeggiare. - Su, cos'aspettiamo? Allo spaccio li attendeva un'austera signora con un piccolo cane in braccio. Indossava un grembiule nero e troneggiava sul suo bancone come un arcigno San Pietro con le chiavi del paradiso appese alla cintura. Tutt'intorno, l'aria era piena del profumo di erba medica e di frutta macerata nell'alcol. Bassa bassa, una radiolina trasmetteva una canzone di Paoli. - Vorremmo visitare la distilleria. - Perché? - E' la mia festa. Lelouch e il Professore lasciavano sempre andare avanti lei, forse perché ne erano segretamente innamorati. E Sara non li deludeva mai. Era un capo. Un capo forse un po' romantico, ma che sapeva pensare. Che li affascinava con la marea delle sue inflessibilità e dei suoi cedimenti. Ma quella donna era un osso duro. Aveva un pesante accento astigiano e traduceva in italiano ciò che dentro sgorgava istintivamente in dialetto. - A me non mi prendete in torta, neh. Voialtri avete in testa qualcosa. Soprattutto tu, ragazzina. Il commendatore mi tiene perché sono un'apri-l'occhio. Se no, che cosa ci farebbe qui una vecchia contadina come me? Sara aveva sorriso. Le era risultata istintivamente simpatica. Era sorprendente quel suo amore per Sapore di sale: parlava con lei ma con l'orecchio non perdeva una nota, ondeggiando lentamente la testa, come se il mare fosse rimasto un sogno lontano per chi era cresciuto nell'arido biancore del tufo. - Sia gentile... - Io vi conosco: siete venuti qua per piantare bordello. Qui c'è un padrone e per voi i padroni sono tutti uguali. Ma il commendatore è uno con ori, settebello e primiera. Ce ne fossero come lui... - No. Io voglio solo festeggiare un po'. - E allora vatti a comprare due bignole. Qui si fanno sciroppi. - E' proprio per questo. C'è una storia divertente sui suoi sciroppi: è vero che colorano l'intestino? - Balle. Se uno mangia asparagi poi non deve pensare di profumare di violetta quando, parlando con pardon, orina. No, no: qui si usa solo roba buona. Fornivamo i Savoia, quando c'erano... - Ma il Professore... - Chi è? Uno di quei mammalucchi che ti pendono dalle labbra? Quello con la faccia di chi ci piace la menta? - Perché, che faccia hanno? - Da pel ambotijà, sempre parlando con pardon. L'impalpabile idea di una pallida flatulenza in bottiglia aveva provocato un irrefrenabile scoppio di risa. E tutti gli occhi si erano automaticamente girati verso il Professore. Lui si era stretto nelle spalle e stava per ribattere a tono quando, dalla ripida scala di legno che portava agli uffici, lassù sul ballatoio, era giunta una voce stentorea. - Lina, falli salire... Il commendatore si nascondeva dietro a due folte sopracciglia corrucciate e a dei cespuglietti pelosi che uscivano minacciosi dalle orecchie. Ma, quasi a contraddire la luciferina austerità di quella prima impressione, mulinava con gentilezza due piccole mani bianche, da cherubino. - Accomodatevi e lasciate stare in pace la Lina. Non si sa mai con lei, ha i suoi anni. Aveva sentito tutto. Sull'immensa scrivania in noce aveva preparato, con cura, un lungo centrino di pizzo. Sopra aveva sistemato un servizio di bicchierini con un filo d'oro zecchino sul bordo e una dozzina di boccette medicinali dalla grande pancia e dal becco stretto. Tutte piene di sciroppi dai colori sgargianti. - Auguri, signorina. Le posso offrire un'amarena millefleurs o vuole assaggiare uno dei nuovi mélanges che stiamo provando? Sa, è proprio arrivata al momento giusto con i suoi amici. Ho così bisogno di qualcuno, come dire, prevenuto, che assaggi. I nemici sono sempre stati i miei migliori consiglieri. E così, quella che si era annunciata come una sorte di dissacrante spedizione punitiva, si era trasformata lentamente in una gioiosa scorribanda tra i tenui profumi degli estratti e i languori delle essenze. Una vera festa, come Sara non aveva mai avuto. Conclusasi in quella zuccherosa ubriachezza che sapeva di china e di genziana, ultima invenzione della Rea! Casa: l'amaro Boterò. Così, la lingua lievemente impastata e la mente leggera d'alcol, alla Lancia erano arrivati tardi, a pomeriggio inoltrato. Ma sempre in tempo per essere travolti da una carica della Celere che si era abbattuta sui loro riflessi annebbiati. E sul ginocchio di Lelouch che da allora aveva smesso di funzionare, rendendolo zoppo per tutta la vita. Piero Soria [Da «Kodachrome», ed. Mondadori per gentile concessione dell'autore]

Persone citate: Lelouch, Savoia