Inventario

meritorio LUI è un tipo mediamente alto, porta mediamente gli occhiali, e mediamente indossa pantaloni color beige e camicie a quadri. Dimenticavo: mediamente porta con sé una cartella di cuoio nero di quelle con la chiusura lampo, dalla quale fuoriescono alcuni lembi di carta spiegazzata. Lui frequenta con regolarità alcune tra le librerie del centro, in particolar modo quelle dove è permesso prendere i libri e sfogliarli: evita con cura le altre, nelle quali il cliente viene di solito preso di mira dal libraio appena varcata la soglia, con i soliti «desidera», «cerca qualcosa» o «posso aiutarla». Lui però non si limita a prendere i libri in mano e neppure semplicemente li sfoglia. Lui per la verità non si accontenta nemmeno di leggerli in silenzio. Lui li legge ad alta voce; ma non solo. Oltre a leggerli, parla con loro. Discute con l'autore. E siccome nella stragrande maggioranza dei casi non è soddisfatto delle scelte da questi operate, glielo dice chiaro e tondo, senza esitazioni. «Eh no, caro mio», lo si sente esclamare, mentre strabuzza gli occhi su una pagina dell'Ulisse di Joyce «qui ci sono troppe ripetizioni, troppi elenchi, bisognava tagliare, tagliare, tagliare». Oppure, se per caso si imbatte ne I duellanti,, rimprovera Conrad: «Ci voleva di Giuseppe Culicchia meritorio più respiro, più respiro, come romanzo è troppo corto, come racconto è troppo lungo, che diamine!». Spesso scuote la testa, tra l'ironico e l'adirato: «Ma bravo», dice, rivolto a Shakespeare, soppesando II sogno di una notte di mezza estate, «che bella bravata far arrivare Ermia a questo punto, proprio quando c'è Lisandro. Che cos'è? Una telenovela?», prosegue, paonazzo. Le persone attorno a lui lo osservano con discrezione. Ma lui non fa loro caso; si gratta la testa, nervoso, serrando le mascelle per la rabbia, talvolta mettendosi addirittura a urlare: «Questa poi! Il forzato Magwitch non poteva anche essere il padre di Estella!», si infuria con Dickens, trattenendosi a stento dal gettare a terra e calpestare Grandi speranze; «Troppo facile, caro Charles, troppo facile!». In genere dopo aver litigato con due o tre autori, si passa una mano tra i capelli, calibra meglio l'inforcatura degli occhiali, stringe al petto la cartella di cuoio nero e se ne va. I presenti alzano le teste e si guardano. Nessuno fa in tempo a dire niente che lui torna sui suoi passi, sparato, rosso in Aluglio, un torinese può: a) andare in vacanza; b) godersi i parchi, i lungofiume, i dehors, gli spettacoli e i concerti che trasformano Torino da città in evento. La Bruna ha scelto a), la Rossa e la Bionda b), e così una sera decidono di sperimentare la cucina indiana ai giardini reali. Ora, la prima incognita di chi va ai giardini reali è il parcheggio, e infatti si può: c) perdere mezz'ora tornando a piedi da un posteggio lontano; d) perdere mezz'ora cercando un posteggio vicino; e) perdere un'ora perché, dopo mezz'ora di ricerca, si è parcheggiato a mezz'ora a piedi dai giardini. Alle Spies tocca la e), per cui arrivano ai giardini nervose e affamate: paziènza, si rifaranno mangiando. E si prova la cucina indiana, si possono chiedere \fl piatti tipici; g) piatti vicini al gusto occidentale. La Bionda detesta i gusti piccanti (infatti non si capisce perché sia qui), la Rossa soffre di colite, quindi optano entrambe per g): ordinano pollo in salsa delicata, e ricevono un piatto che consta di: riso scondito; verdure; pollo in salsa piccante quella delicata, si scopre, è finita. Massi, con la fame che hanno l'importante è mangiare: e tutte e due si tuffano sul cibo. La verdura è ottima; il riso scondito, bè, sembra cartone, ma pucciano nella salsa... la carne, ahimè, è fuoco vivo: la Bionda la tocca appena/la Rossa, eroica, la mangia tutta: bevendo ettolitri d'acqua, tossendo e piangendo, ma tutta. Il piatto è finito: la Rossa continua a bere, la Bionda conta le macchie di sugo sulla camicia... che fare? Possono: h) uscire; i) prendere il dolce. Scelgono i), e cioè un budino di ris» che in bocca è una delizia e nello stomaco è cemento, poi accettano di masticare certe spezie che, secondo il cameriere, rinfrescano la bocca. Le Spies Girls guardano i semi che hanno in mano: l) mangiarli, oppure m) nasconderli in borsa? Vada per l): si buttano i semi in bocca, masticano. Risultato: la Rossa lacrima, la Bionda avvampa, e nessuna delle due riesce a parlare. La Bionda trova nella borsa un notes e una biro: «Si può ingoiare?», scrive; «Ma non ti va nei denti?», domanda la Rossa; «Sa di lavanda», commentano entrambe. Soluzione: uno sputo discreto nel tovagliolo. E finalmente, le due Spies pagano (poco, in effetti), escono e vanno a sciacquarsi la bocca con una birra. Comunque, prima o poi bisognerà provare anche la bruschetteria dei giardini reali, e allora sì che si sarà da ridere: né la Bionda né la Rossa digeriscono l'aglio... volto, sudato. «E che nome, Estella! Come ti è saltato in mente di chiamarla Estella?». Dopodiché, visto che Dickens tace, se ne esce nuovamente in strada, borbottando «pazzi, pazzi, è pieno di pazzi, d'estate poi non c'è niente da fare, vengono fuori a frotte». Lei aspetta un treno per Milano alla stazione di Porta Susa. Stranamente, sul marciapiede non ci sono molti altri aspiranti viaggiatori, chissà, forse qualcuno è già partito per le vacanze e il numero dei pendolari si è ridotto, almeno per un po'. Lungo i binari spira una leggera brezza; nonostante il caldo della fine di luglio si sta bene e non c'è neanche troppa umidità. Lei fuma tranquilla; anche il rumore del traffico giunge attutito e non si sente nemmeno l'abituale cataclisma di clacson. Protendendosi leggermente dalle braccia di sua madre, una bella bambina bionda le sorride. Al che giunge il convoglio partito da Porta Nuova, in perfetto orario. Lei spegne la sigaretta sul marciapiede, schiacciandola sotto la suola della scarpa destra, e si avvia verso la porta del settore fumatori dell'ultimo vagone. Afferra la maniglia. La porta non si apre. Lei riprova. La porta non si apre. Lei si aggrappa letteralmente alla maniglia. La porta resta chiusa. Un controllore le corre incontro e fa per aiutarla. Lei non dà lui modo di inteivenire. «Secondo il regolamento delle Ferrovie dello Stato tutte le porte dei treni in viaggio devono essere perfettamente agibili! Nel caso non lo fossero sta a voi darvi da fare! Ma qui tutti se ne sbattono! Le farò rapporto, sa? Le pare il modo di lavorare?». Il controllore fa per aprire bocca, ma non ci riesce: «E non mi venga a dire che si tratta di un guasto imprevisto o qualche altra cazzata del genere! Questa è negligenza bella e buona, e non mi interrompa. Non pensi di potermi dire quello che vuole soltanto perché indossa una divisa, e non urli!». Gli altri passeggeri nel frattempo sono saliti sul treno e osservano la scena dal finestrino. «Possibile che nessuno a questo mondo sappia più fare il proprio lavoro?», sbotta lei, inarrestabile. Il controllore approfitta del punto di domanda per chiederle a sua volta: «Mi perdoni, signora, ma lei che lavoro fa?». Lei lo fissa con evidente stupore. «Come? Che lavoro faccio?». Il controllore annuisce con un cenno del capo, invitandola a rispondere. «Io sono un'insegnante, caro lei, un'insegnante. Perché?». ORMAI l'amatissima città nostra si divide in due parti diseguali e distinte, zona blu e zona non blu, la seconda da taluni definita non ancora blu, quasi che il blu fosse immanente ed imminente anche per essa. Ogni città ha le sue zone di colore speciale, e prima per la verità c'erano altre zone blu, magari non a Torino, indicavano un centro con circolazione limitata delle auto, e le si chiamavano anche zone bianche, intendendo come tali le zone in cui i pedoni coman-' davano e questo bastava forse a dare il senso di un certo eco-nitore. La zona blu di Torino, per delimitare e intanto propiziare i posteggi, è pioniera in Italia: anche nei prezzi discreti, a Milano costa di più, idem a Roma, con tanto che siano arrivate dopo, quando - si presume - almeno la vernice blu, finalmente prodotta all'ingrosso, deve costare di meno. La zona blu ha cambiato i nostri dialoghi e pure le nostre situazioni vitali, essendo che l'auto ormai è insieme sergente e foce della nostra esistenza, e il suo poter posteggiare è sintomo di onesto riposo, di accumulo di salute, lei e noi, noi e lei, per le future fatiche congiunte che sosterremo. Tu sosti nella zona blu? Io sì ma ho l'abbonamento gratuito da residente, benino. Io ci lavoro, mi costa oh se mi costa: e da qui a parlare della zona blu come di un'amante foriera di impegni economici pesanti il passo è brevissimo. Si discute sul colore, non è il sindaco che sceglie, ma l'assessore al Traffico. Non poteva andare sul verde? Sembrava un voler a tutti i costi creare l'effetto erbetta, una squallido volere e non potere. Rosa, allora. Fa omosessuale, e poi la zona rosa in tutte le città di lingua castigliana è la zona dei negozi eleganti, cosa c'entrava? Rosso neanche parlarne, fa comunismo e Toro, bianco e giallo c'erano già e non scucivano un baffo. Blu va bene, forse un po' meno elettrico ma ci pensa la pioggia a slavarlo. Fine l'idea dei tagliandmi «gratta e posteggia» in tinta, o quasi. Milano ha taghandini sul rosso mattone e zona blu, un orrore. Milan deve fare i danè, mica ha tempo da perdere in certe cosucce. Comunque anche la zona blu è una di quelle cose che sono state ideate ed applicate a Torino e che altri ci copiano, ci portano via? Sarebbe bello, stavolta sarebbe bello, dice l'automobilista non residente che in realtà altro non è che la protesi dell'auto sua, e che la zona blu sta portando all'indigenza.

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