MAGRIS ALLA RICERCA DELL'EPICA PERDUTA

LA LETTERA LA LETTERA di Claudio Gallone NELL'articolo Neoilluministi per il 2000 apparso sul Tuttolibri di giovedì 3 luglio il prezzo indicato per i singoli volumi della collana «L'uomo e la Ragione» di Claudio Gallone Editore è di L. 99.000. Tale prezzo si riferisce in realtà esclusivamente ad un'operazione promozionale rivolta a coloro che intendono sottoscrivere presso l'editore l'abbonamento all'intera collana di 12 libri (Gallone Editore, via Palestra 6,20121 Milano; tel. 02 783879; fax 02-76023279). Il prezzo di copertina dei singoli volumi distribuiti in libreria è invece di L. 130.000. EL corso delle più recenti ispezioni è emerso il dato sorprendente che al primo posto delle tipiche malattie dei piedi si collocano quelle catalogabili come piede piatto o piede valgo. Ad esempio tra cento coscritti della leva 1936 si sono riscontrati non meno di 37 o 38 soggetti inseribili in questa categoria», così denuncia allarmato un professore in ortopedia sulla Frankfurter Zeitung. Che cosa stava accadendo agli arti inferiori di giovanetti e giovanette in quello scorcio degli Anni Trenta? La risposta la dava lo stesso luminare osservando che «le estremità degli scolari sono sottoposte a sollecitazioni eccessive». Non aveva torto l'illustre studioso a sottolineare l'eccesso di allenamento poiché, per i ragazzi irreggimentati nella Hitler Jugend, erano previste, come fondamentali attività di studio, non solo l'esercitazione «con armi di piccolo calibro», ma anche la «marcia in assetto completo». Ovvero 30 chilometri al giorno con 10 chili sulle spalle: da qui la deformazione delle affaticate estremità. Un difetto questo - assurdità della propaganda - comunque condannato, anche se nato da uno sforzo compiuto in nome del Fùhrer, quasi quanto il «camuso naso ebraico» o le «labbra negroidi». Non solo violenze ma anche tante, incredibili incongruità, dominano nella Germania nazista: a raccontarle è una testimone d'eccezione, la figlia di Thomas Mann, Erika, ne La scuola dei barbari: l'educazione della gioventù, nel Terzo Reich. Si tratta di uno splendido saggio del 1937 con la prefazione del celebre scrittore, fino a oggi inedito in Italia, che uscirà a giorni con la postfazione di Marisa Margara. Nata a Monaco nel 1905, Erika, fondatrice del satirico cabaret «I macinini del pepe», era stata costretta a fuggire in Svizzera con la famiglia nel marzo 1933. Era poi emigrata negli Stati Uniti dove, proprio per far conoscere al mondo la vergogna che stava vivendo la Germania, si era dedicata all'appassionata denuncia della costruzione del «nuovo spirito tedesco». «Si tratta di un popolo - dice Mann padre nell'introduzione - spiritualmente umiliato e impoverito, moralmente diminuito che vuole dominare il globo terrestre... Il regresso scientifico della Germania, il suo rapido aver la peggio in tutti i settori dello spirito è oggi già un segreto di pulcinella. Finirà funestamente e si giungerà a sviluppi di enorme e irrimediabile portata». Gli imperativi assoluti della politica nazista sono al primo posto e il salto dai piedi piatti al passo dell'oca è breve: i ragazzi che zampettano con la svastica sul petto sono culturalmente impoveriti, sono dei miserabili che saranno perfetti soldati automi. Per forgiare la tempra dei combattenti delle aquile nere si comincia sin dalle prime nozio- La gioventù hitleriana rende omaggio al Fùhrer A destra: Erika, la figlia di Thomas Mann GEORGE MOSSE // vero uomo LO stereotipo del «vero uomo», quello educato a non batter ciglio mentre la morte avanza, a controllare le passioni, ad avere cura del proprio corpo come specchio di una integrità interiore. E' l'uomo nuovo, nato dall'ideologia settecentesca che trova nel nazionalsocialismo, nel fascismo e nei socialismi reali il suo ruolo d'appoggio e di consolidamento all'idea di nazione. Con L'immagine dell'uomo George L. Mosse, storico all'Università ebraica di Gerusalemme, pubblica da Einaudi un saggio sull'importanza della mascolinità come «forza politica e sociale», «simbolo degli ideali e delle aspirazioni della società». Eroi, ginnasti, decadenti, guerrieri, pensatori, Mosse esamina l'educazione all'uomo «positivo» e «negativo» cercando nell'oggi la continuità e le incrinature dello stereotipo, servendosi delle immagini pubblicitarie e la capacità dei movimenti giovanili, dalla «beat generation» in avanti a scardinare o ad essere integrati al modello sociale. Così il modello «androgino», che nell'Ottocento era una minaccia all'identità sessuale, diventa moda capace di influenzare una diversa visione della virilità. Lo stereotipo maschile, dunque, deve sempre confrontarsi con il contemporaneo, con la velocità delle mode. E questo confronto testimonia, oggi, nel desiderio di integrazione un certo smussamento del modello forte, una «maggiore flessibilità». ni: «Fatevi raccontare la guerra da vostro padre - recita il manuale scolastico che è il vademecum sui banchi delle aule dominate dal ritratto del Fùhrer -, portate in classe ogni oggetto della guerra che avete a casa: schegge di granata, proiettili. E parleremo del loro uso bellico». La seguente ora di lezione è dedicata alla storia della prima guerra mondiale. Si insegnano forse date, nozioni? No, si fa lettura collettiva di epistole (false) di soldati tedeschi al fronte in cui si descrive la vita come «incredibilmente piacevole... spariamo poco e siamo poco bersagliati dal fuoco... la nostra attività consiste principalmente nel dormire, mangiare, fumare, giocare a scacchi...». I libri consigliati per i giovinetti ariani sono poi quelli che sceglie Julius Streicher, personaggio molto ben visto nelle alte sfere del regime, che però ha a suo carico varie condanne (mai scontate) per truffa e varie violenze. E' anche l'uomo, racconta la Mann, che «costrinse 250 ebrei a strappare l'erba con i denti alle porte di Graz». Seguendo la sua ispirazione didattica i bambini fanno esercitazioni in classe su titoli come «Gli ebrei sono la nostra disgrazia». Lo svolgimento eseguito dal più meritevole viene pubblicato sul giornalino scolastico e così svi¬ luppa: «Gli ebrei li odiamo come si meritano, assomigliano agli scarafaggi e noi li ammazziamo». Allo scopo di forgiare i ragazzi si fomenta persino l'odio tra genitori e figli: ancora la Mann riferisce da tragiche vicende in cui il bambino denuncia al partito che la mamma è andata a fare acquisti in un magazzino gestito da ebrei. L'elenco delle nefandezze del Reich in ambito educativo, la sua capacità di disseminare il terrore non solo fisico ma psichico, diventa così un ampio ritratto in cui è disegnata tutta la vita quotidiana della società all'insegna della svastica. In questa società non si la¬ sciano in pace nemmeno i morti. Erika, privata nel 1935 della cittadinanza e singolarmente definita la «iena pacifista dai piedi piatti», dà notizia dell'ordinanza del borgomastro di un paese che comanda di privare i defunti di ogni cosa: «Nelle autopsie è stato ripetutamente osservato che i deceduti vengono inumati con corredi preziosi... Ritengo sia dovere di ogni nostro connazionale evitare inutili sperperi». Giusto consiglio subito recepito: avvedutamente nei campi di sterminio gli ebrei verranno fatti spogliare prima di essere avviati ai forni. Mirella Serri MAGRIS ALLA RICERCA DELL'EPICA PERDUTA EPICA SULL'ACQUA Ernestina Pellegrini Moretti & Vitali pp.213, L 25.000 N'appassionata e attenta lettura dell'opera di Claudio Magris viene ora tracciata da un bellissimo saggio di Ernestina Pellegrini, Epica sull'acqua, che privilegia i testi di invenzione rispetto agli studi del germanista. i gSin dal primo libro, Il mito asburgico (1963), che era la sua tesi di laurea e ha poi aperto la strada alla moda della letteratura mitteleuropea in Italia, Magris si rivela «un grande scrittore imprigionato in una gabbia saggistica» e questa interpretazione trova conferma in Danubio ( 1986), la sua opera di maggior successo, autobiografico vagabondaggio sulle piste della cultura europea dove la scrittura diventa cartografia di storie, luoghi e personaggi. La curiosità di Magris per i binari morti della storia, il suo gusto per le microstorie, per i d dettagli minimi del vissuto, che non hanno nulla a che vedere con il minimalismo, con l'indifferente confusione delle superfici, affiorano già nel suo esordio narrativo, Illazioni su una sciabola (1984), che parte da un fatto storico, l'odissea dei cosacchi in Carnia nell'in¬ verno del '44-'45, per raccontare «una storia di confini spostati», la ricerca di una patria perduta dove il generale Krasnov insegue l'utopia di far rivivere le steppe russe sulle montagne del Friuli. i i gL'attenzione ai frammenti, alle piccole schegge del quotidiano, al fluire degli attimi nasconde per lui una nostalgia della totalità, dell'unità epica perduta: i grandi momenti della storia sono spesso meno importanti, per la vita di un uomo, dell'aria pulviscolare di un bosco sloveno o della luce chiara del mare istriano, del sorriso su un volto o di una storia sentita per caso. Di qui il suo «vivo interesse per i destini minimi, per le esistenze marginali e anonime, cancellate dalla storia». Una vera e propria idrofilia pervade molti suoi racconti, bagnati dall'acqua dei fiumi, del mare, della pioggia. Il mare è per lui, da un lato «abbandono, riposo nelle braccia del mondo, unità col tutto», dall'altro «la sfida, l'ostacolo da affrontare, la vita che bisogna attraversare». Un altro mare (1991) è «la storia di un uomo che non aveva voluto avere storia, che aveva svuotato la sua vita come un trasloco» si- A Claudio Magris è dedicato il saggio di Ernestina Pellegrini «Epica sull'acqua»: una vera e propria idrofilia pervade molti suoi racconti, bagnati dall'acqua dei fiumi, del mare, della pioggia no a raggiungere il nulla, come il Bartleby di Melville o il Wakefield di Hawthorne. Il Conde (1993) narra l'avventura di un barcaiolo, pescatore di cadaveri di annegati in un fiume del Portogallo, e l'incontro con una polena, «Ofelia di legno», misteriosa regina di morte e sirena ammaliatrice. Sono personaggi alla deriva, che vogliono sparire, diventare invisibili, far perdere le proprie tracce, svuotare la vita del superfluo, come don Guido, il vecchio prete che racconta la storia dei cosacchi in Carnia, consapevole che «anche un pomeriggio in più al caffè San Marco è poca cosa rispetto all'eternità ma pur sempre qualcosa, e forse non tanto poco». Giuseppe Romita