IL RINASCIMENTO DI CARLO MARX di Franca D'agostini

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Franca D'Agostini QUANDO, nei primi Anni 70, Gilles Deleuze parlava di esistenza del virtuale, sembrava la bizzarria o il sogno neometafisico di un pensiero già postmarxista, ma che voleva conservarsi a ogni costo rivoluzionario. Oggi alla parola «virtuale» si associano ragazzini e tecnocrati, nonché la grande rete telematica che collega tutti ali over the world, e la virtualità scorrente al fianco delle nostre vite non sembra più avere alcun potere dissolutivo rispetto al semplice dato di quel che sprezzantemente Heidegger e altri chiamarono «coscienza obicttivante». Un saggio di Pierre Lévy del 1995, // virtuale, ora tradotto da Maria Colò e Maddalena Di Sopra (Cortina, p. I49, L. 27.000) è un'ottima introduzione all'argomento, ma è anche un riuscito tentativo di «allacciare» la nuova epistemologia che sorge dal dato di fatto della virtualità ad alcuni lati e aspetti delle epistemologie tradizionali. Inoltre - circostanza non trascurabile - Lévy continua a vedere nel virtuale l'opportunità di cambiamenti decisivi: l'idea heideggeriana e neomarxista di una nuova-antica ontologia forse non può che attraversare, oggi, questa idea di un possibile già attuale, di un altrove che è già presente. O sappiamo, lo vediamo: biografie e autobiografie, spesso lontanissime dal rivelarsi esemplari, continuano a invadere il banco del libraio. Se però il genere tira e il pubblico mostra di gradire, si faccia un po' di spazio al volume di André Castelot dedicato a Madame de Maintenon. Una donna di talento che a ottantatré anni, sul punto di chiudere gli occhi, avrebbe potuto legittimamente esclamare: quale romanzo la mia vita! E invece si rivolge con un lieve sorriso a chi le sta intorno e s'interroga sul destino d'oltretomba: «Tra un quarto d'ora, miei cari, ne saprò molto di più». Frangoise d'Aubigné, la futura marchesa di Maintenon e, ancor meglio, la futura sposa di Luigi XIV, nasce nella portineria di una prigione, a Niort, il 24 novembre 1635, giacché il padre Constant - fanfarone e puttaniere, falsario e autore di un delitto passionale - è rinchiuso in quel carcere nella vana attesa che il cardinale Richelieu si commuova alle suppliche della sventurata consorte. Turbolente le origini, ma non oscure, come dichiarava sdegnato il duca di La Force. Il nonno, Agrippa d'Aubigné, acceso calvinista, è un poeta di larga risonanza e la nonna, Suzanne de Lezay, vanta qualche titolo nobiliare; la madre, Jeanne de Cardilhac, è figlia del governatore del carcere di Bordeaux. La dolce Jeanne, diciassettenne, viene sedotta da Constant mentre costui sconta una delle sue periodiche condanne, fruendo a quanto pare di preziosi spiccioli di libertà. L'infanzia e l'adolescenza di Frangoise non potrebbero essere dunque più infauste. Genitori allo sbando, miseria che sconfina nell'accattonaggio, ricoveri in ospizi e monasteri, il rischio di essere buttata semiviva nell'oceano durante il tragitto da La Rochelle alle Antille, dove Constant sta conducendo la famiglia nel miraggio di rifondare la propria esistenza. E di nuovo in Francia, al servizio di dame pietose in grigie dimore di provincia e tiranniche educatrici che cercano di inculcarle la «vera» religione, ossia la cattolica romana, quando la fanciulletta sente vivissimo in sé lo spirito di nonno Agrippa e osa ribattere alle intimidazioni di un prete sbandierando la Bibbia: «Ne sapete più di me, signor curato, ma ecco un libro che ne sa infinitamente più di voi; perciò non vi piace che lo si legga!». Segue di lì a poco il primo degli incontri decisivi: suor Celeste, nel convento delle Orsoline, a Niort. Giovane, colta, affascinante e per nulla autoritaria, Celeste colpisce il cuore e la fantasia^ della ragazza. La quali comincia a distaccarsi dal protestantesimo dei d'Aubigné e a scoprire i doni (e le opportunità) della confessione dominante. Nell'autuuno del 1650 la tutrice di turno, Madame de Neuillant, la strappa alle grazie di suor Celeste e la conduce a Parigi, progettando di affidarla alle terribili Orsoline di rue Saint-Jacques. Frangoise ha appena compiuto il quindicesimo anno e possiede in egual misura bellezza, intelligenza e un alto senso della dignità che contribuisce a gelare qualsiasi approccio irriguardoso. Non meraviglia che il poeta Paul Scarron - gaudente esangue, fisicamente ripugnante - se ne inna- Le nozze morganatiche con il re, gli amori, la passione, il lutto, la solitudine e la morte a 83 ami mori alla follia e la chieda in moglie. Dovrebbe semmai meraviglare la decisione di Frangoise, ben consapevole del deserto coniugale che l'attende. Sta di fatto che nel pari e dispari (o quella «sintesi di rovine umane», come Paul stesso si definiva, o il convento) prevale il terrore del convento. Nozze a sorpresa che producono ilarità nei circoli della capitale e spingono il sacerdote incaricato di benedire la coppia a formulare la delicata domanda: «Sarete in grado, signor Scarron, di consumare il matrimonio?». E il rattrappito poeta: «Non farò sciocchezze con madame, ma gbene insegnerò». Non potendo fare «sciocchezze» e, dubitando di ottenere successo in qualità di ludico maestro, si ubriaca, bestemmia, si torce dalla gelosia al pensiero che l'incantevole partner trovi le giuste occasioni per cedere. Chi sarà il fortunato? Forse il marchese di Villarceaux? Il biografo, che rigorosamente si affaccia nelle varie alcove, tenderebbe a escluderlo. Nel migliore dei casi, c'informa, trattasi di amor platonico. Non saranno, allora, più congeniali a Frangoise gli amori saffici, tenendo ^ ^ i i Frangoise d'Aubigné e (sotto) Luigi xrv visto da Levine A sinistra: Richelieu conto dell'amicizia che la lega per un certo periodo alla cortigiana Ninon de Lenclos, e della forte attrazione che esercita su Cristina di Svezia, nota per le sue ambivalenze? O, più semplicemente, dovranno parlare di algida femminilità? André Castelot aggira quest'ultima ipotesi; eppure tutto il seguito della parabola (balzo avventuroso a corte con l'aiuto della marchesa di Montespan, il lungo, esasperato corteggiamento di Luigi XIV, gli scrupoli dietro cui si trincera per sottrarsi all'assedio del Re: scrupoli di natura etico-religiosa che la portano a detestare l'adulterio...) lascia intuire un troppo rigido controllo di malizia e di virtù. Il Re Sole arde per lei e lei ha il potere di turbarlo, di sconvolgerlo, negandosi. Negandosi almeno fino a che la mite Maria Teresa non toglie il disturbo e il vedovo più potente del globo non le propone di diventare sua moglie, sia pure una moglie morganatica. A circa metà del volume, dopo che la cerimonia è stata celebrata, la notte del 9 ottobre 1683, a lume di candele, il biografo assicura che Frangoise non ha deluso le aspettative del sovrano. Attendibile o no che sia la ricostruzione del faticato amplesso, quel che emerge con chiarezza è il carattere intransigente, pungente, e insieme generoso di una protagonista immune da meschini protagonismi che andrà via via sublimando in fervore spirituale le lusinghe del mondo. Né va trascurata la vena speculativa che attraversa l'epistolario e l'ironia, il distacco, la finezza del linguaggio che entusiasmano, tra gli altri, Madame de Sévigné, Napoleone e SainteBeuve. Quando Luigi XIV si spegne, il 1° settembre del 1715, Frangoise si ritira a Saint-Cyr, l'istituto che ha creato per soddisfare i suoi impulsi caritatevoli non meno che le sue attitudini pedagogiche. Vestita a lutto, simile nell'aspetto a una badessa, si congeda un po' al giorno dagli affanni terreni (com'è lunga la vita!», si affligge) rileggendo e bruciando nel caminetto i bigliettini dell'augusto compagno, Unica residua golosità degli antichi piaceri: una tazza di cioccolata all'ora di cena. Giuseppe Cassieri m La caduta del Muro di Berlino, spartiacque di una nuova era IL RINASCIMENTO DI CARLO MARX L Italia e il «dopo Muro» STORIA DEL MARXISMO ITALIANO Paolo Favilli Franco Angeli pp. 496 L. 65.000 STORIA DEL MARXISMO ITALIANO Paolo Favilli Franco Angeli pp. 496 L. 65.000 burrascosi anni tra. il crollo del Muro di Berlino e la'dissoluzione dell'Urss sono passati nella vulgata politico-giornalistica (e talora anche storiografica) come gli anni della «fine del comunismo». Allora fu una facile gara nello sparare cannonate contro il padre di quell'ideologia, colui la cui immagine e il cui nome venivano ufficialmente santificati nelle sale del potere sovietico. Il vecchio Carlo Marx passò dagli altari alla polvere: non era la prima volta, e non sarebbe stata sicuramente l'ultima, in un'altalenante fortuna che dura dalla morte del fondatore del «socialismo scientifico». Negli ultimi tempi sembrerebbe di scorgere i sintomi di una sia pur modesta Marxrenaissance. Del resto, dopo la vittoria di Jospin in Francia, il leader del postcomunismo italiano affermò che «il marxismo non è un cane morto». Ora, sia chi condivide quest'aurea sentenza, sia chi la respinge potrebbe documentarsi sul marxismo mode in Italy grazie ad una robusta ricerca di Paolo Favilli, uno studioso specialista delle vicende politiche e ideologiche del sociali¬ smo. La storia della diffusione ùolle idee di Marx (e di Engels, suo fedele collaboratore e, soprattutto, divulgatore, anche a prezzo di qualche semplificazione) nel nostro Paese, è un fiume di portata non straordinaria, ma neppure così meschina, lungo il cui corso numerosi affluenti recano acque ora torbide, ora limpide. Favilli, da pazientissimo esploratore, percorre ad uno ad uno questi fiumicelli, che talora sono solo dei rivoletti, setacciandone le acque, con un minuzioso lavoro. Egli va alla ricerca sia della congruenza tra ciascuno di questi filoni di pensiero con la «casa madre» (ossia la teoria marxiana), sia dell'autonomia dell'elaborazione compiuta da diversi pensatori, o dagli innumerevoli gruppi che a partire dal decennio del Capitale (gli Anni Sessanta dell'Ottocento) si sforzano di dare uno statuto teorico all'azione delle classi subalterne. Ma non è solo storia di idee, questa: la realtà elementare, sottesa alle idee, è data dai livelli di vita dei proletari italiani, i cui salari e dunque la cui esistenza rimangono largamente al di sotto dei minimi di sussistenza almeno fino all'inizio del '900 e oltre. «Fame!» è il grido che percorre l'universo operaio, e, quindi il Leitmotiv sottinteso all'elaborazione dei teorici. Una testimonianza vuole che lo stesso Marx, a chi gli parlava dell'entusiasmo suscitato fra i proletari della sua dottrina, solesse replicare: «Essi hanno un solo desiderio, assai comprensibile: quello di uscire dalla loro miseria, ma pochissimi capiscono come possono riuscirci». Anche in Italia numerosi intellettuali, schierandosi a fianco della classe operaia, provarono, variamente applicando Marx (Favini usa la categoria del «marxismo diffuso»), e talora addirittura «inventandolo», a fornire soluzioni, in un ricettario impregnato ora di positivismo, ora di idealismo, talvolta all'insegna di un cauto riformismo, talaltra di un catastrofismo rivoluzionario. In una lenta carrellata in cui fa uso di tutta la sua capacità di analisi (malauguratamente non sempre sorretta da uno stile limpido), l'autore ci fa passare sotto gli occhi non soltanto i grandi nomi come Antonio Labriola e Filippo Turati - ossia la via teorica e quella pratica al socialismo, che per ambedue è comunque sinonimo di marxismo -, ma anche i minori, talora di notevole rilievo (da Osvaldo Gnocchi-Viani a Ettore Ciccotti, da Carlo Cafiero a Rodolfo Mondolfo). Con essi interferiscono, in posizione variamente critica, i massimi esponenti delYintelligencija borghese. Croce e Gentile, innanzi tutto, i quali collaborarono entrambi alla diffusione del pensiero di Marx, dal cui fascino furono variamente sedotti (per Croce si deve parlare di vera adesione giovanile, grazie soprattutto alla mediazione di Labriola). Partiti, giornali, riviste, gruppi sfilano nel percorso; ortodossi, dogmatici, revisionisti, intransigenti, riformisti, utopisti, pragmatici si contendono la bandiera marxista, in una costruzione collettiva certamente disomogenea e spesso lontanissima dalla lettera e, talora, dallo spirito stesso dell'opera dell'autore del Manifesto del Partito Comunista. Basti ricordare che anche il giovane Mussolini fu «marxista»... Eppure si trattò di un edificio nell'insieme non spregevole, se, nella fase successiva alla Grande Guerra, vi troviamo aggregato un nome come Antonio Gramsci. Di là incomincia un altro pezzo di storia del marxismo italiano di cui qualcuno (Favilli è ovviamente il candidato naturale) farà bene ad occuparsi. Chissà che non si giunga a sciogliere il nodo dei rapporti che la sinistra italiana ha intrattenuto con il marxismo - da Berlinguer a D'Alema, da Nenni a Craxi (ebbene sì, si tratta di un contenitore quanto mai ampio e assortito...). Potrebbe essere una storia assai istruttiva. Angelo d'Orsi