UN VAMPIRO NEL METRO'

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Gaetano Cappelli ALAIN De Botton è nato in Svizzera nel '69, vive a Londra e scrive romanzi che sarebbero piaciuti a Truffaut, come questo Cos'è una ragazza (Guanda, '97). Già, ma cos'è veramente una ragazza? Per andare a fondo nella questione, e riscattarsi così dall'accusa d'indifferenza rivoltagli dalle sensibili fanciulle di cui s'innamora, il protagonista decide di scrutare la vita della sua nuova fiamma Isabel, con lo stesso zelo di un biografo di professione. Di Isabel, dunque, sapremo tutto: dal casuale concepimento, ai più remoti ricordi d'infanzia, all'intero elenco dei suoi amori diligentemente diagrammato in base ai vari livelli di conoscenza carnale. Apprenderemo inoltre quali sono i suoi gusti musicali, gastronomici, letterari abbastanza mediocri, in verità -; e ancora, le sue abitudini minime: dallo stile di nuoto che predilige, al modo in cui firma, o, addirittura, risponde al telefono. Com'è ovvio, l'io narrante scoprirà l'effetto ugualmente disastroso di un tanto esasperato desiderio di conoscenza, non senza comunque prima averci regalato uno quei racconti lievi, curiosi, pieni di humour, ben adatti a riconciliarci con il mondo. niero, il giovane Theodore, modesto contadino, il quale fa notare la rassomiglianza nella foggia tra il mostruoso elmo e quello della statua del vecchio duca Alfonso il Buono (si sarà compreso che Manfred è il cattivo) conservata in chiesa. Manfred fa catturare Theodore, imprigionandolo sotto l'enorme elmo. Di più: dal momento che la moglie è sterile, decide di divorziare e di sposare proprio Isabella. A questo punto si presenta il confessore di Hippolyta, padre Jerome, che coraggiosamente affronta l'ira di Manfred. Seguono portenti, si scatenano le passioni, e per fatale errore Manfred uccide con il pugnale la figlia. Un misterioso cavaliere sfida Manfred, e si scoprirà trattarsi del Marchese di Vicenza. Ecco la sorpresa: Theodore è figlio di Jerome e discendente di Alfredo; dunque, l'erede alla signoria di Otranto. Tra le nuvole appare persino la figura di San Nicola e, se Theodore diviene signore di Otranto, mentre Manfred e Hippolyta si ritirano a vita monastica, egli resterà costantemente preda di una insopprimibile malinconia. La conclusione offre una chiave di lettura che vale la pena di prendere in considerazione anche oggi. Walpole rivendica i diritti della fantasia, dell'irrazionale, persino del sovrannaturale, in un momento di apparente trionfo delle concettualizzazioni razionali, ma soprattutto come reazione all'avvento della società industriale e del danaro che si affermano in Inghilterra prima ancora che nell'Europa continentale. Di qui la scelta di una terra remota, q»»asi esotica, in larga misura ancora feudale ma d'altronde incontaminata, e tutto sommato misteriosa. Otranto, punta estrema del reame di Napoli, si affaccia a sua volta sull'ignoto. Che cosa si trova dall'altra parte del mare? Può darsi che il giovane Theodore, che giunge praticamente dal nulla e che nessuno conosce, sia il frutto di un mondo altro e diverso? Chiedere a Walpole di giungere fino alle estreme conseguenze sarebbe stato, ai suoi tempi, davvero troppo, e dunque scorgere nel giovane contadino un leggendario individuo arrivato dall'altrove e rifugiatosi a Otranto sarebbe impensabile, anche se il suo mistero non viene mai sciolto e rimane probabilmente uno dei motivi dell'immenso e inaspettato successo del romanzo nei decenni che seguirono la sua pubblicazione. Walpole doveva per forza di cose legittimare Theodore e fornirgli nobili antenati. Ma si tratta di un'operazione a freddo, e l'ambiguità continua ad aleggiare attorno al giovane, nuovo signore di Otranto, caratterizzando la sua inguaribile, quasi ossessiva malinconia, quasi che egli metta radici anomale nei suoi possedimenti. In altre parole, la sua qualità di altro persiste e sanziona la conclusione del romanzo, acquistando una valenza singolarmente moderna. Ma un'altra figura si impone all'attenzione: padre Jerome. Non c'è dubbio che per il protestante Walpole, egli rappresenti il carattere quasi magico del cattolicesimo romano e incarni la forza indomita di una spiritualità assoluta, capace di sfidare il potere e di predicare la verità, la Alessandro Manzoni E' come trovarsi ai confini del mona): lì, nella lotta tra bene e male, il mistero, le forze incontrollabili ed il terrore hanno dimensioni non solo reali, ma ossessive giustizia. Non arriverei a sostenere che si tratti di un Wojtyla del suo tempo, ma un manzoniano frate Cristoforo, sì. Manzoni, durante il suo soggiorno a Parigi, leggeva avidamente le traduzioni francesi dei romanzi «neri» inglesi, e nei Promessi Sposi non riesce difficile imbattersi in prestiti piuttosto evidenti. Tanto per fare un caso, l'intero episodio della mula sulla quale Don Abbondio si avvia al castello dell'Innominato sembra preso quasi alla lettera da un passo dei Mysteries of Udolpho, il podero¬ so romanzo di Ann Radcliffe, apparso nel 1794. Ora, si legga la scena cruciale del Castello di Otranto in cui padre Jerome tiene un intemerato discorso al tiranno Manfred («Persino io, un povero frate, posso proteggerla dalla tua violenza, io, peccatore quale sono...») e verrà quasi istintivo riandare allo scontro tra il manzoniano Cristoforo e il signorotto don Rodrigo. Manzoni teneva sicuramente sul tavolo il romanzo di Walpole, e lo piegava alla sua visione provvidenziale. Come ha bene scritto Romolo Runcini nel primo volume del suo fondamentale La paura e l'immaginario sociale nella, letteratura, era la paura del presente a indurre Walpole a una riappropriazione del passato. Ecco allora la scelta non casuale, a parte il nome, di Otranto, una comunità rurale nell'Italia meridionale, ove lo scontro tra bene e male si radicalizza fino alla sofferta vittoria del primo, ma dove, bisogna insistere, sembra di trovarsi al confine del mondo, dove il mistero, l'apparizione di forze incontrollabili, conferiscono alla paura una dimensione concreta, quasi ossessiva. Quando Isabella, alla fioca luce della luna, incontrali giovane Theodore, sfuggito alla prigionia dell'elmo, prova la paura dell'incontro con lo sconosciuto e lo crede un fantasma. Ma il giovane la rassicura, e a lui Isabella si affida con fiducia. Lo «stranger», lo straniero che singolarmente ci trasporta in una temperie anche verbalmente contemporanea, diviene l'amico rassicurante, spezzando un consolidato tabù. A sua volta, lo straniero sa di essere rifiutato, e gli toccherà per riuscire, conquistare la fiducia della gente. La sua estraneità non scomparirà neppure dopo la sua vittoria, lasciandogli il fondo di malinconia e di solitudine anche nel potere. Parliamo pure di combinazione, nella scelta del nome di Otranto, ma soltanto per questo. L'inglese Walpole, trasferendosi con la fantasia sulle sponde dell'Adriatico, aveva già compreso molte cose che forse ci riguardano. Claudio Gorlier UN VAMPIRO NEL METRO' // tunnel di Skipp & Spector IN FONDO AL TUNNEL John Skipp Craig Spector Einaudi tascabili Vertigo pp. 386 L. 16.000 IN FONDO AL TUNNEL John Skipp Craig Spector Einaudi tascabili Vertigo pp. 386 L. 16.000 A metropolitana di New York deve certamente avere qualcosa di terribile e inquietante se un mucchio di scrittori di horror l'hanno utilizzata per ambientare le loro storie. Nel romanzo di Skipp c Spector le gallerie sono infestate da topi (abbastanza normale) e vampiri (meno). Anche uno dei più bei racconti di Clive Barker, Macellerìa ambulante di mezzanotte, si svolge proprio li. Il protagonista, Leo Kaufman, dovrà prima fare i conti e poi prendere il posto di un feroce serial killer che cerca le sue vittime nella sotterranea e ci nutre i padri fondatori della città (esseri schifosi, non-morti che vivono sotto terra, zombie affamati di carne umana). La bella Nancy Kincaid, la protagonista de L'ora delle bestie di Andrew Klavan, si ritroverà alla ime del romanzo ad avanzare nelle tenebre del tunnel di New York in pre- Clive Barker Clive Barker da alla follia e all'amnesia, tra topi e barboni, con una pistola stretta in mano. Perché proprio la metropolitana? Credo perché somiglia a un sistema circolatorio in cui scorre umanità invece di globuli rossi, perché è il regno delle tenebre, perché un mostro ci può fare la sua casa e nessuno si prenderà la briga di andarlo a stanare, perché ò un supermarket pieno di carne umana pronta da essere sbranata. E soprattutto perché nella metropolitana si è sotto terra, sepolti come i cadaveri. Si è ciechi, sordi e muti. Nella metropolitana ci si rinchiude in se stessi come paguri, ci si barrica dietro ai libri, ai giornali, ai walkman. Nella metropolitana si sta stipati uno addosso all'altro come bestie da macello, si trattiene il respiro, ci si tappa il naso, ci si azzera. La metropolitana è quel breve spazio nero, quel trattino, che divide il lavoro con la casa, la vita con la vita. Mi ricordo di una volta ad agosto, a Londra, avevo sedici anni e addosso quella brutta senzazione, tipica del turista, di non afferrare mai completamente le cose (e se ho sbagliato direzione?), e il treno si fermò così in mezzo alla galleria, senza una spiegazione, senza un annuncio. Si spensero le luci. La carrozza era piena di gente, io stavo in piedi, immerso neh' indù ostro ansimante. Faceva un caldo che si schiattava. Rimanemmo così un sacco di tempo, più di tre quarti d'ora e giuro che là sotto tre quarti d'ora non finiscono mai. Avrei voluto urlare, avrei voluto chiedere che stava succedendo ma non lo feci. Invece feci come tutti gli altri, mi annullai. E quando finalmente i neon si riaccesero e il treno si rimi- Quandoera horrd'America Quando rimirar era horror: storie d'America Anni 80 rimirar r: storie Anni 80 se in movimento feci di nuovo come tutti gli altri, tirai un lungo sospiro di sollievo. Tutto il trono tirò un lungo sospiro di sollievo. E basta. Nessuno disse mente. Nessimo si cercò con gli occlù, nessuno sorrise. Credo che se le porte si fossero aperte e fosse salito Rudy Pasco, il terribile vampiro di Skipp e Spector, ci saremmo lasciati succhiare il sangue e la vita senza ribellarci, senza opporre resistenza, come un branco di stupide pecore. Sto continuando con questa storia della metropolitana e dei miei ricordi di adolescente mentre volevo parlare d'altro, non è questo il centro e la cosa più interessante di In fondo al tunnel. Quello che mi è piaciuto di più ò la figura del vampiro. Non ha niente di affascinante, è l'opposto di quei vampiri romantici e fighetti di Anne Rice. E' un povero zombie, un morto vivente sfigato, un tossicodipendente solo e reietto. Un mostro da massacrare, da inchiodare a mia parete come mio scarafaggio infetto. L'horror non è mai stato tanto horror. Skipp & Spector, nella seconda metà degli Anni Ottanta, hanno rinnovato e dato sangue a un genere che rischiava di morire. E la cosa più bella è che mentre lo scrivevano questi due bastardi si divertivano come pazzi, come ragazzini che fanno a gara a spararla più grossa. Rùigrazio Daniele Brolli, il curatore di Vertigo, la nuova collana di Einaudi, di essersi preso il compito di ritirare fuori libri come questo senza i quali il colosso chiamato Horror sarebbe zoppo ed eunuco. Niccolò Ammaniti Limina Pietro Dotti La lunga corsa di Ercole Il ciclismo come metafora della vita. La storia di un uomo che è il più grande avversario e il più grande tifoso di se stesso. pp. 132 lire 25.000