EVA & GINKO di Stefano Bartezzaghi

EVA & GINKO EVA & GINKO Amori e odi di un Diabolik quasi identico a Robert Taylor Le inislerio.se origini del Re del Terrore: a un (inno, unico superstite di un naufragio, fu allevato su un'isola dal bieco King che poi uccise per mettersi in proprio SAI LMS IO KKSnI MENTO/QUELL'IN-j CI DENTE LE E" STATO FATALE/ j j GLI inizi, Diabolik si teneva molto sulle sue, faceva il misterioso, preferiva rubare e, casomai, ammazzare quelli che si meritavano d'essere ammazzati al chiacchierare sul suo passato. Ma poi, a sette anni dalla pubblicazione del primo episodio, capitolò in circostanze drammatiche. Lui e il suo avversario ispettore Ginko si trovavano intrappolati da dei criminali senza la minima speranza di salvar la pelle. Cosi l'ispettore, a un certo punto si rivolse al Re del Terrore, quasi a esprimere l'ultimo desiderio di condannato a morte: «Stiamo per morire e... questo è il momento della verità... Diabolik, chi sei?...». Diabolik reagì dapprima con un desolato: «Non so chi sono...» che pareva una resa totale al silenzio, invece, poi attacco a parku'e: «Qualcuno mi ha raccontato che in un'alba livida d'autunno...». Ricordò un naufragio che non poteva ricordare, parlando per sentito dire. Un naufragio con unico superstite un bambino: «Quel bambino ero io... Mi dissero che avevo circa un anno e fui portato sull'isola in fin di vita, ma il destino volle che sopravvivessi...». Il destino volle anche qualcos'altro, dato che quell'isola apparteneva a un certo King, capo di una grossa organizzazione a delinquere che operava in tutto il mondo, ma lui, Diabolik, non poteva fare il dipendente, e così sui vent'anni aveva ammazzato il capo per mettersi in proprio. Diabolik continuò a parlare a lungo, non la smetteva di parlare, come la principessa Shahrazad per tener lontana la morte. E la morte non venne per quella volta né per lui, né per Ginko. Le sorelle Giussani avevano voluto che Diabolik fosse bello come un attore cinematografico americano che andava ancora di modaRobert Taylor. Ne tenevano il pic Mario Gomboli nel suo recentissimo Diabolik uno strano soggetto (Sperling & Kupfer, 1997) offre un prezioso Glossario Diaboliko per i lettori non abituali in cui, oltre alla voce ufficiale sul titolare affermante: «Professione ladro. Ruba soprattutto gioielli preziosissimi ed enormi cifre di denaro. Nonostante svolga un'attività decisamente illegale, è dotato di sani e radicati princìpi etici (l'onore, la tutela dei più deboli, il senso dell'amicizia e della riconoscenza, il rispetto degli animi nobili) e perciò odia mafiosi, narcotrafficanti, strozzini e aguzzini», si possono incontrare voci più virtuali come: Clerville, inesistente città mitteleuropea, teatro principale della Diabolik S- Co. Architettonicamente simile a Parigi (non a caso il nome echeggia la «Ville Lumière») con le aggiunte di volta in volta richieste dal soggetto» e Ghenf: secondo scenario delle avventure Diabolike, città (inventata quanto Clerville) che per le sue caratteristiche portuali è confrontabile a Marsiglia o a Genova (nomen omen). Le sorelle Giussani avevano voluto che Diabolik fosse bello come un attore cinematografico americano che andava ancora di moda: Robert Taylor. Ne tenevano il piccolo ritaglio di una fotografia nell'unica stanza della prima redazione della casa editrice Astorina. Prima del soggetto veniva il personaggio, nel caso in questione rigorosamente, persino esageratamente definito nelle caratteristiche fisiche e psicologiche. Come lo erano, del resto, gli altri comprimari: «Eva Kant, la compagna di Diabolik in tutte le sue imprese criminali con pari dignità, diciamo così, professionale, in grado di conciliare le debolezze (e il fascino) della femminilità con la coerenza di un femminismo maturo. Ginko, l'ispettore di polizia di Clerville, naturale avversario di Diabolik, mtegerrimo, geniale e coraggioso che aveva fatto della caccia al criminale lo scopo della sua vita, riconoscendo al suo nemico pari intelligenza e persino onestà morale. Altea, duchessa di Vallemberg, eterna fidanzata dell'ispettore, e per questo superesposta ai guai, scontrandosi frequentemente con Diabolik ed Eva». Tutti gli altri personaggi, gente per bene e gente per male potevano mutare anche vertigino¬ samente. Ma quelli del quadrilatero dovevano tener testa a qualsiasi involuzione. Diabolik Eva Ginko e Altea non avevano il diritto di cambiar le carte in tavola. Glielo imponeva la legge della grande narrativa popolare da cui le sorelle Giussani erano partite con accattivante innocenza. «Quando nel '62, mia sorella Angela ed io ci imbarcammo nella folle avventura di Diabolik», scrive la superstite Luciana Giussani nella postfazione del già citato libro di Gomboli, «non immaginavamo certo che, dopo trentacinque anni, il nostro Re del Terrore avrebbe ancora cavalcato l'onda del successo. Per la verità, non avevamo neppure previsto un successo così immediato e dirompente che ci spingesse a passare, nell'arco di poco più di un anno, dalla periodicità bimestrale alla mensile e poi alia quindicinale. Non ci fu bisogno di raffinate indagini di mercato per capire che quel risultato era stato determinato soprattutto dall'originalità e vivacità delle "storie" e parallelamente non impiegammo molto a capire che da sole (oberate da tutti i problemi redazionali e imprenditoriali di una casa editrice nuova di zecca) non avremmo potuto inventare e sceneggiare tutti gli episodi che il pubblico clùedeva insistentemente. Così, esaurita rapidamente la fonte primaria degli spunti (il feuilleton francese in generale, Fantomas in particolare) e terrorizzate dall'idea di ritrovarci, prima o poi, a guardare panicando un foglio terribilmente bianco, ricercammo la collaborazione di "giallisti" professionisti e dilettanti. Molti furono i chiamati, pochi gli eletti...». Le sorelle Giussani avevano avuto l'ùnpressione agli inizi che nessuno potesse entrare nello spirito di Diabolik, un personaggio che ritenevano di essere solo loro a capùe. E in questo convincimento accumularono montagne di correzioni, ripensamenti, rifacimenti altrui sino a riconoscere che i contributi esterni non cambiavano ina arricchivano anzi esaltavano la figura di Diabolik, componendone la più viva presenza. E Angela e Luciana, comunque, avevano continuato a vigilare, rivedendo tutti i soggetti e scrivendo materialmente tutte le sceneggiature, per garantire una coerenza stilistica che i lettori hanno mo- Nelle immagini: Diabolik, l'amata Eva Kant. strato di apprezzare. E' stato un lungo tirocinio quello delle sorelle Giussani. «Ma tutto questo è teorizzazione a posteriori, giusto adatta a una postfazione», scrive ancora Luciana Giussani. «Allora si andava a braccio, tutta la redazione della Casa Editrice stava scomodamente in una sola stanza e si lavorava in modo a dir poco uiformale. L'entusiasmo, la curiosità, la fantasia di quelli che, come lo sbarbatello Mario Gomboli di allora, ci portavano idee e trame, erano contagiosi, fornivano "naturalmente" linfa vitale a noi quanto al personaggio. Proprio l'esigenza di essere noi per prime soddisfatte o addirittura conquistate dalle proposte dei collaboratori ha fatto nascere uno stile originale nella redazione dei soggetti che si sono trasformati da semplice fase di lavorazione della catena di montaggio in veri e propri racconti. Quelle dieci cartelle di testo dovevano dare anzitutto a noi le stesse emozioni, le medesime apprensioni che il lettore avrebbe provato, sfogliando l'alilo a fumetti. Noi per prime dovevamo pensare che Diabolik non ce l'avrebbe fatta, che era spacciato... dovevamo "sentire" Eva a un passo dalla catastrofe e Ginko convinto della vittoria. Oggi Angela non è più accanto a me per leggere i nuovi soggetti. Ma l'atmosfera non è cambiata. Ci divertiamo ancora, quando arriva un soggetto nuovo (soprattutto, e non lo dico condizionata da questo contesto, se è di Mario Gomboli) a leggerlo tutto d'un fiato, a chieder lumi su problemi di chimica, meccanica, fisica o di elettronica (se un "trucco" non è chiaro a noi, come potremmo spiegarlo al lettore in sceneggiatura?), a fermarci per considerare se mi certo comportamento è coerente al personaggio o risulta forzato... insomma, se il pubblico apprezzerà questa storia come ha fatto per le centinaia che l'hanno preceduta. Tutto questo mi entusiasma ancora...». Luciana Giussani è sicura. Chissà dove è finito quel ritaglietto con la faccia di Bob Taylor, la redazione non è più di un'unica stanza ed è ubicata in un palazzo che ospita una Compagnia di assicurazioni o una Banca, al momento non ricordo. Ma l'entusiasmo dura ancora. Quando Diabolik colpisce è per sempre. Oreste del Buono Scrivete a: Stefano Bartezzaghi «La posta in gioco» La Stampa - Tuttolibri via Marenco 32 10126 Torino RiIDICOLO! Ho capito subito il tuo truccol E' in edicola Topolino n, 2174, con la storia «Sfida a To Ipolinia» dello sceneggiatore Tito Faraci e del disegnatore Giorgio Cavazzano. Ci sono in palio dieci abbonamenti per i dieci lettori che fiutano la polpetta avvelenata. Voi dovreste essere facilitati dalla frequentazione di questa pagina (ma non è detto). Ne riparliamo a settembre. Cemento e manubri. Mi dicono che in un negozio di dischi a Milano (musica classica) i commessi annotino le richieste più imprecise dei clienti. A me meraviglia sempre che la Chiesa, tanto severa nei confronti della pornografia, non abbia mai preso posizione sugli stupidari. Compilarli e leggerli sono due perversioni che non temono confronti, poiché implicano una ringhiosa diffidenza verso lo straniero che varca la tua porta, il barbaro che LE TRE MELANZANE DI PRQKOF'EV balbetta la tua lingua. Detto questo nessun freno morale riesce a trattenermi dal riferirvi quanto ho saputo. Sembra che un cliente, avendo forse in mente il Cimento dell'armonia e dell'invenzione di Antonio Vivaldi, abbia traformato la tecnica musicale in puro sentimento, chiedendo al commesso il Cemento dell'armonia e dell'amicizia. Le melarance amorose di Prokof ev si sono tramutate in altro genere ortofrutticolo quando un secondo cliente ha chiesto L'amore delle tre melanzane. Non mi par male, in piena stagione balneareromagnola, l'ordinazione del Bolero di Ravenna. Ma il più patafisico di tutti voleva un valzer: Il bel manubrio blu. Combinazioni nominali. Dopo lo stupidario, giocare su nomi e cognomi ci parrà quasi un'occupazione aristocratica. E. Rinaldi (Trieste) mi parla di Santorio SANTORIO (1561-1636); si tratta di un medico di origine istriana, a cui a Trieste sono dedicati una via (anzi un «largo») e un ospedale. Questo ospedale negli Ani.i 50-60 portava un'intitolazione diversa dall'attuale. Si chiamava «Sanatorio Santorio SANTORIO»: uno scarto di vocale e una ripetizione in una botta sola. Due ripetizioni, uno scarto e un cambio mi vengono proposti invece da Enzo Motta (Savona), che ha conosciuto un Franco FRANCO, Armando ARMANDO, ha letto del politico Marziano MARZANO (scarto di vocale), e ha visto il nome Bruno PRUNO su un citofono, a Pontremoli (cambio di consonante). Fra le zie paterne (quindi a lui omonime nel cognome), Marco Morello (Castiglione TO) ne annovera una che si coniugò Borello: Morello in Borello è un cambio di iniziale, come da Murano a Burano o dal Barocco al Marocco. Un'altra zia, più capziosamente, andò sposa al signor Mer- FANTASMI 1761 CAPpeiLAlO MICROSPIE fasulle/ capiamo///ma fROPl vice CHE NON e- IL pae^e pei COMPLOTTI pozze quello pelle . meraviglie fi LA VIGNETTA DI MARAMOTTI lo. Qui va notata innanzitutto la comune vocazione zoologica dei due cognomi, anche se fra un merlo e un cavallo morello l'unica parentela è l'abbigliamento in nero. Enigmisticamente, invece, Morello potrebbe sdoppiare le lettere ripetute, O e L, divenendo istantaneamente un Morel (con devoti rimandi all'Invenzione di Morel, romanzo di Adolfo Bioy Casares, e al violinista della Recherche). Dopo questo passaggio, è facile l'anagramma verso Mer¬ lo. Un cambio di numero e un raddoppio li vanta anche Siro Stramaccia (Baveno, VB): sono rispettivamente Marianello Marianelli (curatore per Adelphi delle Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann) e Luigi Luiggi (1856-1931) ingegnere del Genio Civile. Sempre da Stramaccia, la segnalazione del sultano da cui, nel 1228, Federico II di Svevia ottenne pacificamente Gerusalemme: si chiamava Al- Malik Al-Kamil (scambio di tre consonanti). Stramaccia aggiunge poi un elenco di quelli che chiamavamo nomi-patria, o nomi-esuli: Alleo Battelli, Ammiraglio regionale del Basso Adriatico; Ditta Broglio: bilance; Nautica Cislaghi (vicino ad Arona, sul Lago Maggiore); Monsignor Chierego (parroco di Civitanova, VE, negli Anni 40); Guardalben portiere del Verona Calcio; Cesare Palazzo, capo del Genio Civile a Roma, sotto il Fascio. Stramaccia propone poi un'anagramma, anzi un intarsio: Ivano Gotti - Giovanotti (GiOvanoTTI). Ivano sarà magari un Ivan e Giovanotti come pseudonimo vorrebbe una J iniziale, ma la combinazione ha una sua grazia per me irresistibile. L'ultima nota stramaccesca riguarda Pacini Battaglia: in tanti polveroni, nessuno ha mai notato che un cognome fa ossimoro con l'altro. Stefano Bartezzaghi