LA DERIVA UNGHERESE TRA PUSKAS E STALIN di Bruno Ventavoli

LA DERIVA UNGHERESE TRA PUSKAS E STALIN LA DERIVA UNGHERESE TRA PUSKAS E STALIN SOTTO IL CULO DELLA RANA Tibor Fischer Mondadori pp. 3/5 L. 12.000 LONDRA IL CULO DELLA RANA Tibor Fischer Mondadori pp. 3/5 L. 12.000 UANDO non sai più che pesci pigliare, quando il mondo intorno è avvolto da una coltre di malinconica sfortuna, gli ungheresi dicono che sei «sotto 0 culo della rana». E questa metafora diventa il titolo d'un bellissimo romanzo di Tibor Fischer appena uscito in Italia, definito da Rushdie «un delicato capolavoro tragicomico». Fischer è nato in Inghilterra nel 1959. E' stato giornalista free-lance ed è considerato mio dei più promettenti scrittori britannici. 1 suoi genitori, ungheresi, fuggirono nel '56, dopo la fallita rivoluzione. Erano giocatori di basket e sua madre, nazionale, ha giocato anche in Italia. ternando grottesche vittorie con fa Fischer ha solo qualche nozione della lingua avita, conosce però bene letteratura magiara e vita danubiana, attraverso racconti familiari e inchieste sul campo. Sotto il culo della rana è così un omaggio alla sua terra d'origine, a quel Paese che da sempre è stato cerniera tra Oriente e Occidente e ha vissuto drammaticamente sulla propria pelle i sussulti del secolo breve. I protagonisti di Sotto il culo della rana sono ispirati a personaggi reali. Giocano nella squadra di basket del Locomotive. Girano il Paese al¬ ternando grottesche vittorie con favolose sconfitte. Viaggiano nudi sui treni, alzano il gomito con litri di palinka, amano il maggior numero possibile di ragazze come se dovessero incrementare il piano quinquennale dell'eros, cercano di svicolare la naja, superano tra amicizie e tradimenti la linea d'ombra della giovinezza. Si va dal '44 al '56. Dodici anni ribollenti di follia che hanno visto l'occupazione nazista, la finta liberazione dei soldati sovietici che rubavano e stupravano, la costruzione del socialismo reale, lo stalinismo, l'illusione di libertà. «Ho cominciato a pensare il romanzo in Ungheria - dice Fischer-. Mentre facevo il giornalista a Budapest. Ho sentito l'urgenza di scrivere perché credo che la storia di questo Paese sia forte, importante, emblematica anche per un lettore di lingua inglese». Infrattati nelle avventure di Gyuri (modellato sulla figura del padre) e compagni, ci sono indicazioni dettagliate sulla storia e la politica. Con omaggi mascherati ai maggiori scrittori magiari (da Molnàr a Krudy) ed espliciti al grande Ottlik di Scuola sulla frontiera. l l fIl comunismo è naturalmente protagonista sovrano. Impone rituali aberranti, instaura la religione del sospetto e della delazione. «Tutte le persone che ho incontrato sono state piii o meno coinvolte con il regnile. Non si poteva farne a meno, se si voleva avere un livello di vita accettabile. Ci sono state mostruosità. Anche in Ungheria c'erano gulag in miniatura, arresti di innocenti, sbranamenti. Negli anni duri dello stalinismo, i membri del partito si sgambettavano a vicenda, appena gli oppositori scarseggiavano, ministri e capi finivano sulla forca. Inno- Carri armati sovietici nella Budapest del 1956 centi cittadini marcivano in galera per capricci della polizia politica o per gelosie muliebri. Eppure tutti ora si proclamano innocenti. Dicono di avere ubbidito a ideali. Come i nazisti che si giustificano sostenendo di aver semplicemente eseguito ordini. Ma non c'è alcuna scusa per le brutalità commesse». La vita ai tempi delle bandiere rosse era più grottesca o più drammatica? «Né l'una né l'altra. L'aspetto più terribile del comunismo, per i giovani come mio padre, era la monotonia della quotidianità. Povertà e miseria universalmente distribuite, un futuro senza orizzonti, negozi senza scelta. Nel grigiore diffuso, gli unici salvagente erano lo sport e il sesso. Un po' poco». Un giorno, mentre Gyuri si lava i capelli, la radio annuncia la morte di Spreni mugia diveMa fitta'54 comperdrazite pliziasta lincDbra quabasmo no mo di Stalin. Mentre i cinegiornali riprendono gli operai e i ferrovieri con i musi scuri per il lutto, lui amoreggia con una sua ex fidanzata, ormai diventata moglie di qualcun altro. Ma ciò che più lo affligge è la sconfitta dell'Ungheria ai mondiali del '54 contro la Germania. Puskas e compagni proprio non dovevano perdere. Le manifestazioni di disperazione dei tifosi vengono scambiate per sommosse politiche dalla polizia segreta che manganella e arresta supporter ubriachi di alcol e malinconia. Dopo la morte del dittatore sembra che non cambi nulla. Eppure qualcosa cova. Tra una partita di basket, un regalo galante per il primo maggio, gli ungheresi si ritrovano catapultati nel '56. Nell'ennesimo tentativo di recuperare indipen- Incontro con l'esule Tibor Fischer: una scalcinata squadra di basket come metafora del comunismo reale denza. Il romanzo di Fischer, negli ultimi capitoli, dedicati all'insurrezione di Budapest, vira verso l'amaro. «Ho dedicato il libro a tutti coloro che hanno combattuto. Come Jadwiga, la ragazza polacca, che muore in novembre quando i carri armati rossi tornano a riprendersi la città. E' stata una ribellione gonfia di ideali ma disperata in partenza. Cosa potevano fare gli insorti, a mani nude? Prendevano a calci nei coglioni i tank, ma non avevano speranza. Molti sono stati massacrati, fucilati, uccisi a colpi di bomba, anche se si erano arresi. I miei genitori sono fuggiti, come altre duecentomila persone. Non volevano vedere come sarebbe andata a finire. Avevano bisogno di respirare l'aria del mondo». Ma nemmeno la fuga è polizza d'assicurazione per la felicità. I protagonisti che lasciano il Paese, dribblando le mine sulla cortina di ferro, non hanno il coraggio di voltarsi indietro e guardare la scia dei loro passi. V^nno incontro all'esilio con le «lacrime, a squadre, che scendono a corda uoppia sui loro visi mesti». Bruno Ventavoli