«Un corneo? Sogna di far piangere»

«Un corneo? Sogna di far piangere» Incontro con l'attore sul set di «La vita è bella», film dallo spunto ardito: l'Olocausto «Un corneo? Sogna di far piangere» Benigni in un lager inventa storie per ilfiglio TERNI DAL NOSTRO INVIATO La sola traccia di Nicoletta Braschi è un abito da ballo di merletto rosa, uguale a quello di Cenerentola, esposto insieme a tanti altri abiti, rosso terra, grigio perla, nero fumo, nel mezzo di un falso salone di un Grand Hotel, ricostruito nel nuovo Centro multimediale di Terni dove ha anche sede la scuola per gli «Effetti speciali» diretta da Rambaldi. Degli altri attori neanche una traccia. Eppure sono tanti. Sul set di «La vita è bella», il film che Roberto Benigni ha cominciato a girare in giugno ad Arezzo per finire le riprese a settembre, si vedono solo alcuni bambini, tutti biondi e con gli occhi azzurri perché devono essere i figli dei soldati tedeschi. Marciano compatti, coi loro abiti fuori moda, nell'immenso cortile di una fabbrica in disuso di Papigno, un paese a due passi dalla cascata delle Marmore, dove è stato ricostruito, in mattoncini rossi, un campo di concentramento che potrebbe essere la Risiera di San Saba, a Trieste. A parlare, stavolta, è solo Roberto Benigni, anche se intorno ha voluto l'autore della sceneggiatura Vincenzo Cerami, il costumista Danilo Donati, la produttrice Elda Ferri per la Melampo e da qualche parte, nascosto nella troupe, il direttore della fotografia Tonino Delli Colli. Budget da 10 miliardi, produttore Cecchi Gori, lo stesso del rivale (di incassi) Pieraccioni. Il sole è fortissimo. Benigni, vestito con una giacca da cameriere che gli sta due volte, avanza sotto un ombrello sorretto da un paio di uomini per proteggere la pelle da una eventuale, lieve abbronzatura. Bianco e stordito sembra più piccolo e magro di quanto non sia mai stato. Lui nega. «Ma non è vero. Anzi son così contento di girare questa storia che son perfino ingrassato. Spando effluvi di soddisfazione. La felicità mi spacca il costato, m'allarga il polmone, mi spalanca il cuore: il polpaccio fiorisce, la campanula s'allarga. Sembro più secco perché in questa scena porto vestiti non miei, ma nel film m'hanno fatto dei completini bellissimi che al confronto i modelli di Capucci son roba da barboni. Solo che non devo prendere il sole perché nei lager i prigionieri sono pallidi. E poi, su me che son uomo di terra, l'abbronzatura stona. Anche al mare sto sotto l'ombrellone: mai fatto un bagno in vita mia, io. Al massimo cammino nell'acqua. Sulla battigia, come qualcuno chiamava la riva», dichiara perentorio, alludendo a Mussolini e agli anni in cui è ambientata questa sua sceneggiatura. Come mai ha deciso di abbandonare la commedia per girare un film sui lager? «Ma chi l'ha detto che lascio la commedia? Questa è una storia da schiattar dal ridere. Solo che si svolge negli anni che vanno dal '38 al '44, e sono anni di guerra. E lui, il protagonista, è un ebreo che finisce in un campo con il suo piccolo figlio, e questo è molto triste. Del resto il sogno di ogni comico è far piangere perché, come dicono le Sacre Scritture, se dalla risata sgorga la lacrima si spalanca il cielo». Che cosa c'è da ridere nella tragedia dell'Olocausto? «Per carità, negli orrori dei campi di sterminio non c'è veramente niente da ridere. Noi, però, ci siamo inventati una trovata. Il padre, quest'uomo buono che ama la vita, per proteggere suo figlio dalla scoperta della malvagità umana, s'inventa che quel che si vede e si sente nel lager è soltanto un gioco, una sorta di paese dei balocchi, di concorso a punti, in cui, chi è più bravo ad ubbidire, potrà vincere alla fine un carro armato. E da questo paradosso, nella tragedia nascono situazioni esilaranti». Non teme che la comunità istraelitica o i parenti delle vittime del nazismo potrebbero sentirsi offesi? «Sbagliato è offendere la gente, non farla sorridere. E l'umorismo ebraico ride dell'Olocausto. Ma come si fa a spiegare ad un bambino, seriamente, senza turbarne l'equilibrio psichico, che gli uomini che vede camminare nel cortile del lager saranno uccisi per farne bottoni, paralumi, ferma-carte? Via, è talmente spaventoso quel che è successo, che mi trema la costola dell'uomo a pensare che proprio io sto per raccontarlo». A chi ha pensato mettendosi a girare questa storia? «A tanti. E' un film ottimista, il mio. Ottimista fin dal titolo: "La vita è bella". Rievoca Chaplin, Lubitsch, Frank Capra, Totò, Zampa». E' la prima volta che Benigni fa il padre: come si trova? «S'eran visti al cinema zìi di Benigni, fratelli di Benigni, nonni di Benigni, ma mai figli di Benigni. Neanche io, il mio figliolo, l'ho ancora mai visto. Ma adesso che al cinema faccio il padre ho deciso: di bambini ne voglio dieci, tutti insieme. E poi, 'sto bambino che ho trovato dopo averne visti più di mille, è perfetto: mi somiglia finanche. Va per suo conto che è un piacere. E' come dirigere una foglia d'acero del Canada o un chicco di grandine: chi lo comanda? Fa come gli pare». Lei ha firmato negli ultimi anni commedie miliardarie: «Il piccolo diavolo», «Johnny Stecchino», «Il mostro» sono record d'incasso. Come definirebbe questo suo ultimo film? «Stavolta faccio la fantascienza perché niente nel racconto è filologicamente corretto: né realista e neppure neorealista. Il mio è un film sdrammatico». Simonetta Robiony «Però sarà una storia da schiattar dal ridere Ora faccio il padre e voglio dieci bambini» «Questo bambino mi somiglia, fa come gli pare» Budget da 10 miliardi, produttore Cecchi Gori lo stesso del «Ciclone», il campione d'incassi Alcuni momenti del film: Benigni con Nicoletta Braschi. Sotto a sinistra sta guidando un'auto; poi è davanti ad un cavallo con le scritte

Luoghi citati: Arezzo, Canada, Trieste