Il tramonto della verità di Gianni Vattimo

discussione. In cerca di un terreno comune tra «analitici» e «continentali»: risposta a Vattimo sulla natura della filosofia discussione. In cerca di un terreno comune tra «analitici» e «continentali»: risposta a Vattimo sulla natura della filosofia Il tramonto della verità Dogma dell'Occidente è il divenire Gianni Vattimo lunedì è intervenuto nel dibattito sulla natura della filosofia, rispondendo a Michael Dummett e chiamando in causa Emanuele Severino, al quale abbiamo chiesto che cosa pensi della ricerca della verità nella filosofia. N EL suo articolo su il Sole 24 Ore del 27 luglio scorso, Michael Dummett sostiene la possibilità che la filosofia giunga alla conoscenza di «verità assolute» (cioè, intendo, innegabili, incontrovertibili). Gianni Vattimo, insieme a gran parte della filosofia contemporanea (sia «analitica», sia «continentale») nega invece questa possibilità. Se si prescinde dal modo in cui la filosofia contemporanea è giunta a tale negazione, la contrapposizione si risolve in favore di Dummett, perché, come egli ricorda, chi nega ogni verità assoluta non può nemmeno esser convinto che non esistano verità assolute. E', questa, l'obiezione che è sempre stata rivolta contro lo scetticismo assoluto. Ma la filosofia contemporanea non è uno scetticismo assoluto, cioè ingenuo. (Come Vattimo osserva giustamente, non si può prescindere dal modo in cui essa si pone in rapporto alla tradizione filosofica). Essa non nega in astratto ogni verità assoluta. Afferma invece un'unica verità assoluta: l'insuperabilità del divenire. Cioè afferma che ogni presunta verità assoluta e ogni presunto essere immutabile sono travolti dall'incessante divenire del mondo, del pensiero, del linguaggio. Alla filosofia contemporanea così intesa non si può dunque rivolgere l'obiezione contro lo scettico. E quindi nemmeno Vattimo resta liquidato da Dummett. Purché, appunto, la filosofia contemporanea prenda coscienza della forza di cui, soprattutto nel proprio sottosuolo, essa dispone. Si tratta di comprendere che sul fondamento deUa fede nel divenire condivisa anche da Dummett - è impossibile raggiungere una qualsiasi verità assoluta che, come avviene nel pensiero metafisico, conferisca all'essere un senso di un ordinamento immutabile e definitivo. (Solo raramente, peraltro, la filosofia contemporanea sa discendere nel proprio sottosuolo essenziale, e quindi tende a presentarsi come scetticismo ingenuo). L'apertura di Dummett alla possibilità che la filosofia raggiunga la verità assoluta è dunque destinata al tramonto, sebbene sia molto interessante e in Italia sia stata una via non poco battuta. Anch'io dunque, come Vattimo, trovo encomiabile che il Sole 24 Ore abbia pubblicato l'articolo di Dummett, così diverso dallo stile recentemente adottato da questo giornale nei miei riguardi. In proposito trovo anche comprensibile che il Sole 24 Ore abbia evitato di pubblicare la protesta che un gruppo di personalità italiane gli ha rivolto relativamente a questo episodio. In effetti è duro per un giornale render noto che hanno espresso dissenso per il suo comportamento uomini di cultura come Bo, Tadini, Martinazzoli, De Giovanni, Sasso, Borgna, Gargani, Vitiello, Masullo, Semerano, Piro, Ceruti; e scienziati come Bertola, Sindoni, Somalvico - su invito di un comitato promotore rappresentato da Galimberti e Valent (tutte persone che qui ringrazio, ben sapendo che il loro intervento non riguarda tanto me, quanto piuttosto il modo di fare cultura). La fede nel divenire (e propriamente nel divenire, inteso come l'uscire dal nulla e il ritornarvi, da parte delle cose) è il terreno comune della filosofia «analitica» e della filosofia «continentale». Il terreno comune dell'intero Occidente. Una «fede» - dico. Infatti il suo contenuto è sempre considerato come un dogma intoccabile e indiscutibile. Solo se si è in grado di metterla in questione, e se ne vede l'assoluta impossibilità. appare queUa verità assoluta che invece Dummett crede di poter raggiungere prendendo le mosse da tale fede. A Dummett vorrei dire inoltre che se la verità è un futuro da raggiungere, non la si potrà mai conoscere, perché la strada o la «ricerca» che dovrebbe condurvi si muoverebbe per definizione nella non verità, e la non verità non potrà mai stare a fondamento della verità. A Vattimo vorrei dire che il principio er¬ meneutico, per cui pensare significa muoversi all'interno di una tradizione storica, o è solo un'ipotesi delle scienze storiche (sì che l'impossibilità di una verità assoluta svincolata dalla storia è solo un'ipotesi), oppure tale principio è una delle molte formulazioni della fede nel divenire, ossia di ciò che dovrà pure una buona volta esser messo in questione. Emanuele Severino

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