Il lungo errore di Arafat e Netanyahu di Aldo Rizzo

// lungo errore di Arafat e Netanyahu UNA PACE ASSASSINATA // lungo errore di Arafat e Netanyahu OLO nove giorni fa, sembrava che il processo di pace israelo-palestinese stesse per trovare il sospirato rilancio. Arafat e Levy, il ministro degli Esteri israeliano, a Bruxelles, a scambiarsi impegni per la ripresa del dialogo, in un clima cordiale che aveva molto inorgoglito i promotori europei dell'incontro. Due giorni dopo, il 24 luglio, il quotidiano «Ma'ariv», il più autorevole in Israele, aveva rivelato un documento riservato dell'ufficio del premier Netanyahu, che faceva «l'ipotesi» di Gerusalemme «doppia capitale», per lo Stato ebraico e un futuro Stato palestinese: niente più di un'ipotesi, fra l'altro regolarmente smentita, e tuttavia un altro segnale a dir poco interessante. E in ogni caso stava per tornare nella «regione» il mediatore americano per il Medio Oriente, Dennis Ross. Insomma qualcosa sembrava muoversi, finalmente. La stessa sconcertante decisione del Comune di Gerusalemme di autorizzare nuove abitazioni per gli ebrei nel settore arabo della città non aveva impressionato più di tanto, per la pronta opposizione del primo ministro. E ora tutto questo sembra vecchio, superato, dopo la nuova strage terroristica, che ha colpito la popolazione israeliana. I sorrisi di Bruxelles hanno lasciato posto alle urla di dolore e di rabbia seguite alle due feroci esplosioni del mercato ortofrutticolo (non può non tornare in mente Sarajevo, quell'altro eccidio in un mercato, fra gente inerme). L'americano Ross ha rinviato «per lutto» la sua missione. Il piccolo ponte che si stava costruendo è crollato, resta la voragine sottostante, più ampia e profonda di prima. Quando cominciò il «processo di pace»? Diciamo, semplificando una storia fra le più complesse e tragiche degli ultimi cinquantanni, nel 1991, con la conferenza di Madrid. Era finita la Guerra fredda e sembrava che proprio in Medio Oriente, dopo la risposta internazionale all'avventurismo di Saddam Hussein, si potesse cominciare a vedere un «nuovo ordine». La vera svolta, però, fu la vittoria laborista dell'anno dopo, il governo Rabin-Peres, il negoziato segreto con l'Olp di Arafat che portò agli accordi di Oslo e alla stori¬ ca cerimonia di pace sul prato della Casa Bianca, il 13 settembre 1993. La controsvolta fu due anni dopo, con l'assassinio di Rabin, questo ad opera di un estremista israeliano, a riprova di come la pace avesse nemici tenaci nei due campi. Dopo la morte violenta di Rabin, niente fu più come prima. Il nuovo governo di destra in Israele, i tatticismi del primo ministro Netanyahu, anche certe sue decisioni provocatorie, come il tunnel sotto la moschea di Al Aqsa e poi gli insediamenti ebraici nei quartieri arabi, fecero il gioco dell'estremismo palestinese, dei guerriglieri-kamikaze di Hamas. Questi erano e sono nemici anche di Arafat, ma lo stesso leader palestinese non è stato lineare, nei suoi comportamenti, forse condizionato dai residui di mi passato crudele, di cui era stato protagonista. Ora tutti dicono, Clinton in testa, che non c'è comunque alternativa al processo di pace, che prima o poi questo riprenderà, nell'interesse di entrambi i popoli della «Terra di Dio». Ed è vero. Non c'è alternativa. O meglio, non dovrebbe esserci, razionalmente e politicamente. Sennonché nella storia agiscono, purtroppo, anche forze irrazionali e «impolitiche». Mi hanno molto colpito due sondaggi, resi noti nei giorni scorsi. Uno è del «Palestine Report» e dice che i palestinesi, al 45 per cento, giudicano «molto corrotto» il loro governo (si sa degli scandali amministrativi emersi fra i collaboratori di Arafat) e, nello stesso tempo, non credono più nella pace. L'altro, del quotidiano israeliano «Yedioth Ahronoth» dice che il "75 per cento, addirittura, dei giovani ebrei non vogliono una minoranza araba nel loro Stato. E' cibo per l'estremismo. Chi crede di poterlo fermare deve muoversi in fretta. Aldo Rizzo