La grande imboscata a Yasser

Tutti vogliono la sua caduta Anche Netanyahu che con un altro interlocutore avrebbe la scusa per gettare a mare gli accordi di Oslo La grande imboscata a Yasser Ultra palestinesi contro l'uomo del dialogo ORA non è che Arafat abbia «incoraggiato» Hamas o che abbia lasciato che i suoi leaders circolassero impuniti: quel ch'è vero è che Arafat è riuscito, non senza fatica, e con il sostegno di «un grande Paese islamico», a far sotterrare l'esplosivo che ifìidayn (votati alla morte) indossano a mo' di sudario per uccidere («il nemico infedele») uccidendosi. Poiché un buon rapporto con Washington rimane l'obiettivo primario della galassia islamica (prodiga di aiuti agli zeloti palestinesi), Hamas ha seppellito l'esplosivo. Questo possiamo ragionevolmente ipotizzarlo, quello che nessuno potrà spiegare è perché gli attentati siano esplosi proprio alla vigilia d'una apparente schiarita, frutto di colloqui informali tra palestinesi e israeliani, schiarita sulla quale Ross avrebbe cercato di innestare un minimo di «ripresa negoziale». Un vecchio detto dice che cercar la logica in Medio Oriente è da folli, e tuttavia c'è una logica negli attentati. Ci dicono barbaramente che i palestinesi non credono più nella resurrezione della pace bambina strozzata nella culla dai virtuosismi semantici della Destra israeliana. £ poiché Hamas è ben radicata nella popolazione palestinese, eccola sfidare Israele ma anche, se non soprattutto, Arafat. Con buona pace dei morti innocenti di Gerusalemme: come sempre morti poveri poiché i ricchi non affollano i mercatini della verdura (o che altro) a poco prezzo; con buona pace delle vittime (dell'una e dell'altra parte) giustiziate periodicamente da «patrioti impazziti» o dai soliti «fanatici», vorremmo affermare come la vittima prima dei fìidayn che hanno scempiato, una volta ancora, «la Venezia di Dio», è il vecchio Abu Aramar, lui, al Walid, il padre stanco della nazione palestinese. Vogliono la sua testa (in senso metaforico) non pochi intellettuali palestinesi della (comoda) diaspora che subito rimproverarono ad Arafat gli accordi di Oslo, giudicati «un vergognoso patto leonino». Vogliono la sua testa (dopo quella di Rabin) coloro che chiameremo gli ultra religiosi d'Israele alleati, in fatto, degli ultra religiosi di Palestina: Hamas. E farebbe certamente comodo a Netanyahu un partner diverso da Arafat non importa se accomodante o intransigente. Nell'uno e nell'altro dei casi, infatti, «Bibi» riuscirebbe, in tempi brevi, a congelare definitivamente ogni trattativa per finalmente gettare nella latrina della storia gli accordi di Oslo. Ma se Arafat appare, oramai, una pallida copia dell'arabo fenice infinite volte risorto dalle sue stesse ceneri, un leader dimezzato, un uo¬ mo senza retroguardia avendo bruciato i suoi poveri vascelli alle spalle per entrare nel salotto buono della politica là dove qualcuno tiene le chiavi della pace, che dire del premier israeliano? Ch'egli affermi di non accettare diktat da nessuno, men che mai dagli Stati Uniti, gli fa onore; solo che gli Stati Uniti non si sono affatto permessi di ingiungere alcunché al loro carissimo «Bibi». Si sono limitati a fargli osservare che non è corretto dichiarare (come faceva Shamir) di volere la pace e, poi, divertirsi a provocare il partner che la storia gli ha messo davanti. Nel dicembre del 1996, al tempo della crisi tra «Bibi» e i Servizi, rei di averlo pregato di rinfoderare la provocazione politica per evitare «gravi reazioni dolorose» (come gli attentati di ieri), un alto funzionario di- Tutti vogliono la sua caduta Anche Netanyahu che con un altro interlocutore avrebbe la scusa per gettare a mare gli accordi di Oslo Il leader palestinese Arafat, gli attentati terroristici servono anche a indebolirne la leadership

Luoghi citati: Gerusalemme, Israele, Medio Oriente, Oslo, Palestina, Stati Uniti, Washington