Del Giudice il gran rifiuto

Vacanze, letteratura, «cannibali»: per la prima volta lo scrittore spiega perché non vuole partecipare al premio Vacanze, letteratura, «cannibali»: per la prima volta lo scrittore spiega perché non vuole partecipare al premio Del Giudice, il gran rifiuto «Non vado al Campiello, ho la testa altrove» NTORINO O, io al Campiello non ci vado. L'avevo detto. Non volevo che il mio — libro, Manie (Einaudi), fosse preso in considerazione dalla giuria. Non ne han tenuto conto ed è finito in cinquina. Ma questo non cambia nulla. Anche se vincesse. Io ho la testa altrove. Volevo tenermi l'estate per me, andare in giro. Fare un viaggio in Sud America, forse l'Oriente. Mi sono già scusato con la giuria. Mi riscuserò. Vorrei chiedere che il premio vada ad un bambino albanese perché possa studiare qui, in Italia». Così dice Daniele Del Giudice, forse senza polemica, allontanandosi dal Campiello che già lo ha visto fra i suoi finalisti. Scrolla le spalle. E' veramente in vacanza, quella vera: dalla scrittura. Una visita a Torino, dal suo editore Einaudi, accompagna la moglie Duccia, arabista, che deve controllare le bozze di un saggio, presenta al Caffè Lavazza Padri di padri di Andrea Canobbio, un romanzo in cui crede. Si lascia andare in una festa sotto le mura di La Manta, fra canzoni occitane e sound etnico dei MauMau, sotto nuvole bianche e plenilunio, affreschi di fontane della giovinezza, signori di corte ed elmi piumati che piacevano a Calvino. Spilluzzica briciole sulla tavola bianca, ìe precipita sul prato, una mania dell'ordine, del pulito, ma anche una sottolineatura delle infinite trame che il tessuto della tovaglia ospita. «Mi piace una narrativa che segue i percorsi dell'esistenza, che vada oltre l'esperienza personale. E che sia in rapporto con gli altri». No, il pulp non gli piace. Non ha mai avuto snobismi verso il bestseller, Follett o Wilbur Smith che fosse, o l'Harris. Pensa a Tabucchi con Il filo dell'orizzonte o La testa perduta, dove l'indagine, il «mistero servono ad illuminare altro, zone sconosciute del destino, discorsi personali e sociali. La letteratura serve sempre a parlar d'altro». E allora perché a Del Giudice la narrativa pulp, quella cannibale, non piace? L'autore di Staccando l'ombra da terra, scuote il capo, cerca briciole inesistenti, s'incanta al passaggio delle nuvole, beve un bicchiere di dolcetto: «No - dice, - vedo tanti talenti, stanno cercando una loro strada. Fanno i primi passi stando in un genere. E il genere protegge, aiuta, risponde a domande iniziali: fammi paura, fammi ridere, dammi angoscia. E' una scrittura di genere. A me interessa quando dilatandola, strappandola, produce altro: Chandler, Le Carré, Hammet. Mi piacciono i sudamericani alla Coloane, in loro senti il fantastico, un unione fra mare-uomini-animali. C'è coralità storica, così come la senti in Saramago, nel suo Memoriale. La vitalità della narrativa dov'è? Forse fuori Europa, gli scrittori delle ex colonie inglesi, fra gli israeliani, gli arabi: là dove è forte un'idea di collettività che non passa per il consumo e il benessere. Noi quella forza l'abbiamo spesa con il Verismo e il Neorealismo. Svevo, Pirandello, D'Annunzio sono i nostri romanzieri. Con Gadda abbiamo un campionario di figure retoriche: il com- missario, il ragioniere, la portiera: un'ansia di definire l'italianità. Noi siamo debitori e preoccupati del Novecento con tutte le sue rotture formali. E il problema delle Avanguardie non è detto che tocchi anche le letterature extraeuropee. Uno come Marquez non si è mai fatto di questi problemi, ha sperimentato una ricerca formale in modo molto più libero, con meno radici storiche. Noi in Europa, oggi, sembriamo coltivare l'orrore come gioco, e dietro una influenza di cinema americano. Sento la vitalità della nostra poesia che è più aderente alla frammentarietà e velocità dell'oggi». Non ci sono più briciole davanti a Del Giudice, ma le sue dita continuano a inseguirle, «maniacalmente». Vero? «Mania è vitalità - dice lo scrittore - è una forma estrema, immaginario che si fa azione, senza più remore di essere agito. E' un demone, un modo estremo del conoscere esistenziale. Una radice profonda». La festa intreccia musiche antiche e quel sound etnico che tutto mescola in una «lingua altra», virtuale che crea una sospensione storica o l'effetto, caro a Del Giudice, del volo. «Realtà virtuale? - si chiede - il naturale e l'artificiale si mescolano sempre di più. Una nuova forma di comunicazione orizzontale. Si tratta di vedere quale capacità avremo di elaborare un sentimento per tutto ciò. Il nuovo ha sempre paura di sé e cerca radici». E tra una briciola e l'altra Del Giudice ha detto il suo dove: «In una idea sociale, positiva». Come il suo Campiello al piccolo albanese? Nico Orengo «Avevo bisogno di un'estate tutta mia. Il compenso?Datelo a un bambino albanese perché studi in Italia» uto ve» mia. o rle, «mania«Mania è vittore - è una mmaginario una sospensione storica o l'effetto caro a Del Giudice

Luoghi citati: Europa, Italia, Sud America, Torino