E don Totò dettò le condizioni allo Stato di Giovanni Bianconi

E don Totò dettò le condizioni allo Stato LA STRATEGIA Di COSA NOSTRA E don Totò dettò le condizioni allo Stato «Nientepiù stragi in cambio dell'addio al carcere duro» AROMA un certo punto Riina disse : "Glielo faccio fare io il presidente della Repubblica, a Andreotti"». Era scattato il momento della vendetta, proprio mentre s'apriva la corsa per il Quirinale, con l'ex presidente del Consiglio inpole-positìon. Ma il capo di Cosa nostra aveva altri progetti, per il senatore a vita: «Deve soffrire come ci sta facendo soffrire a noi. Questi andreottiani adesso si sono messi a fare l'antimafia, per rifarsi una verginità». Cominciò così la «pulitina dei piedi» di Totò Riina, che oggi - al processo contro Andreotti imputato di associazione mafiosa Giovanni Brusca racconta nei dettagli spiegando quale strategia politica ci fosse dietro le mosse del «boss dei boss». «Dopo la sentenza di condanna al maxi-processo - spiega il dichiarante - che arrivò perché Salvo disse che non si era potuto impegnare, si decise di procedere all'omicidio dell'onorevole Lima. Era un vecchio conto da regolare, ma fu fatto per punire Andreotti, per ostacolare in tutti i modi la sua elezione al Quirinale». La colpa del senatore, che per Brusca era stato il referente romano di Cosa nostra - «la carica istituzionale ha poca importanza, lui gestiva e manovrava dietro le quinte» - non era solo il disinteresse per far annullare il maxiprocesso. Aveva fatto la legge sui pentiti, e poi i decreti che tenevano in carcere i boss mafiosi, «la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Salvo Lima fu assassinato il 12 marzo '92. «Dopo di lui, avremmo ammazzato qualsiasi altro andreottiano avesse continuato su quella linea», dice Brusca. Che spiega: «Dopo preparammo l'attentato al dottor Falcone, con la speranza che per effetto della strage di Capaci Andreotti non venisse eletto Presidente della Repubblica. E così avvenne». Giulio Andreotti smette di scrivere i suoi racconti, e guarda fisso verso il paravento dal quale arrivano le rivelazioni di Giovanni Brusca. Rivive quella drammatica primavera del '92, e nei commenti cerca di recuperare un po' della sua ironia: «Che non fossi il candidato di questa gente per il Quirinale non può che farmi piacere». I giornalisti lo riportano alla cronaca politica di cinque anni fa: è vero che la strage di Capaci impedì la sua elezione? «Beh, non c'è dubbio che dopo l'attentato ci si orientò su una candidatura istituzionale. Se questo fosse un gioco prestabilito per ostacolare la mia candidatura non lo so». E' vero però che proprio mentre la bomba mafiosa squarciava l'autostrada Palermo-Punta Raisi, Andreotti stava trattando con Martelli per ottenere i voti del psi per il Colle. L'ha raccontato l'ex ministro della Giustizia, che ricevette la notizia della strage proprio nello studio di Andreotti. L'eccidio interruppe la trattativa dc-psi per portare Andreotti al Quirinale. «Sì, è vero, insomma..,», commenta il senatore, che ancora difende la figura del suo ex luogotenente in Sicilia, Salvo Lima: «Dopo tanti anni, oggi per la prima volta ho sentito dire che si adoperò per un appalto, lo non ho intenzione di proporlo per la beatificazione, però aspetto di vedere come si conclude il processo per l'omicidio». Ma Andreotti capì che quel delitto era un messaggio nei suoi confronti? «Beh, era chiaro che l'attacco si rivolgeva alla de, a noi... Non ho mai pensato che Lima sia stato ucciso perché era un cornuto...». Davanti al tribunale Brusca racconta che Riina, oltre che con¬ tro gli andreottiani e la carriera del «divo Giulio», tramava pure per uccidere Claudio Martelli: «Nell'87 s'era preso i voti della mafia, non so se con accordi diretti o indiretti con Riina. Poi invece s'è messo sotto le ali di Giovanni Falcone, forse per paura di essere indagato». A prendere notizie su Martelli, secondo l'autore materiale della strage di Capaci, doveva pensarci Gaetano Sangiorgi «l'uomo d'onore genero di Nino Salvo», ma fu fermato dalla polizia e il piano andò a monte: «Se Sangiorgi e il cardiochirurgo Azzolina, che era all'oscuro del progetto omicida, non fossero stati fermati davanti alla villa del ministro, Martelli sarebbe stato assassinato». Dopo Capaci non ci fu il tempo di riprendere quel piano, perché Riina diede un colpo di freno alla strategia del terrore. «Aveva presentato il famoso papello alle autorità...», rivela Brusca. Il presidente del tribunale, Ingargiola, chiede: «Che cos'è questo papello?)). Il pubblico ministero interrompe: «E' una vicenda sulla quale un'altra procura ha posto il segreto, quindi non possiamo andare oltre». Per capirne di più bisogna cercare in quello che Giovanni Brusca ha dichiarato in istruttoria, che in sintesi è questo: all'indomani delle stragi del '92 Riina presentò un papello, un pezzo di carta, un documento con alcune richieste ad un suo diverso canale istituzionale, un nuovo «referente politico» che il «dichiarante» non sa quale sia. Le richieste del boss erano l'abolizione del carcere duro, la revisione dei processi, e così via. Per questo sospese il terrorismo mafioso, mentre invece Brusca era pronto a un altro «botto», con l'uccisione del giudice Piero Grasso. Ma pochi mesi più tardi, gennaio '93, Rima fu catturato, e suo cognato Leoluca Bagarella ricominciò con le stragi. Arrivarono così le bombe del '93, scoppiate quando Brusca aveva a sua volta cambiato strategia. Tutto questo non è stato ancora raccontato nelle aule di giustizia, avrà bisogno di verifiche. Ma per adesso è il segno che la Cosa nostra di Salvatore Riina aveva assoluto bisogno dei «rapporti politici». Saltati i vecchi, che non erano riusciti a cancellare il «teorema Buscetta» in Cassazione, il boss ne cercava di nuovi. Una storia tutta da scrivere. Giovanni Bianconi «Non volevamo Andreotti come Capo dello Stato, si era messo a fare antimafia» «Riina voleva uccidere anche Martelli che si era sistemato sotto le ali di Falcone»

Luoghi citati: Capaci, Falcone, Lima, Palermo, Sicilia