Un giallo di nome Francesca

Un giallo di nome Francesca Civitavecchia: l'autopsia non svela il mistero sulla fine della sorella di un magistrato veneziano Un giallo di nome Francesca //pm: è annegata, ma non è suicidio CIVITAVECCHIA DAL NOSTRO INVIATO Da ieri mattina ha un nome il corpo riemerso sabato al largo di Civitavecchia. Francesca Valle, 34 anni, hanno scritto gli addetti dell'ospedale dove la donna da due giorni attendeva un riconoscimento ufficiale. Nessuno ha ancora potuto scrivere il resto, nessuno è riuscito a far venire a galla anche qualcos'altro: il perché in quella che doveva essere una tranquilla vacanza, tutta di mare, sole, barche, isole, libertà, il copione sia stato rispettato soltanto in parte, e, a un certo punto, al posto della parola libertà, qualcuno o qualcosa abbia inserito la parola morte. Quel perché giace ancora da qualche parte nel fondo del Mar Tirreno e soltanto i ricordi potranno aiutarlo a tornare in superficie. I ricordi sono quelli degli amici o degli occasionali compagni di viaggio che, per ultimi, hanno visto viva la donna finita in mare. A scavare nella memoria si viene a sapere, allora, che l'ultima vacanza di Francesca è iniziata il 12 luglio all'aeroporto Marco Polo di Venezia. Era un sabato, erano appena iniziate le ferie per Gege, come tutti la chiamavano, biologa, impiegata presso il comune di Castelfranco Veneto. L'aveva accompagnata la madre, un'insegnante di lettere in pensione. Vivevano ancora nello stesso appartamento, madre e figlia. Con loro, abitava anche Alberto, magistrato, l'unico uomo di casa rimasto dopo la morte del padre avvenuta una decina di anni fa. Le due donne si erano salutate all'aeroporto, con un appuntamento. Gege avrebbe telefonato durante la vacanza, per far avere alla madre sue notizie. Tutto si è svolto secondo i programmi stabiliti per i tre-quattro giorni successivi. Ge ge è sbarcata in Sardegna, e ha iniziato la crociera fra quella spruzzata di isole tra Sardegna e Corsica a bordo di uno yacht. Con lei, a bordo, c'erano nove persone, ma Gege non conosceva nessuno aveva soltanto prenotato una quota sull'imbarcazione, così co me avevano fatto tutti gli altri passeggeri. La vita su una barca non è mai semplice: lo spazio è poco, soltanto i disagi e gli spunti di litigio sono tantissimi. E possono trasformare una vacanza in un inferno se li si deve affrontare insieme con persone con cui non si riesce a legare. Dopo quattro giorni, Gege decide di abbandonare lo yacht e di proseguire da sola. Telefona alla madre e le annuncia il cambiamento di programma. «Sono stanca», spiega, «non mi trovavo a mio agio». E' il 17 luglio: a quel punto madre e figlia stabiliscono di rivedersi il 19, due giorni dopo, all'Argentario dove la signora Paola era in vacanza. Tutto era già pronto per la partenza. Gege aveva già in tasca il biglietto per Roma. Di lì, in treno, avrebbe raggiunto l'Argentario. A partire dalla telefonata del 17 luglio le tracce di Gege si confondono fino a perdersi nelle acque del Mar Tirreno. Per qualche motivo ancora ignoto, la donna decide di non prendere più l'aereo, ma di imbarcarsi a Palau su un traghetto diretto a Livorno. Forse aveva scoperto dell'esistenza del traghetto solo in un momento successivo e aveva trovato più comodo e, probabilmente, anche più conveniente la seconda soluzione. Qualcuno poteva averla aiutata a fare quella scoperta, o forse le era bastato un veloce giro fra le agenzie di Palau per rendersene conto. In ogni caso, Gege ha preso quel traghetto a Palau, ma non è mai arrivata a Livorno. Che cosa sia accaduto sull'imbarcazione è ancora tutto da scoprire. Di certo, si può dire che quel giorno, probabilmente la sera del 18 luglio, Gege indossava un paio di pantaloncini corti, una t-shirt verde, un golf di lana azzurro e un paio di scarpe da ginnastìca^Era da sola o in compagnia? E' scivolata o è stata aiutata a scivolare? Oppure ha voluto scivolare? Ha urlato a lungo e la sua voce è stata inghiottita dal rumore della nave che si allontanava così come lei dalle on- de, oppure qualcuno ha fatto finta di non ascoltare? 0, ancora, è andata giù convinta, decisa a mettere fine ai suoi giorni? Difficile dirlo. In queste ore le verità sono poche. Ieri sera la donna è tornata a Mestre chiusa in una bara. E sono stati resi noti i primi risultati dell'autopsia. La morte, secondo il medico legale Gino Saladini, è avvenuta per annegamento. Sul corpo della donna non sono stati trovati segni di violenza: il che rende meno probabile l'ipotesi di un omicidio. Nel passato della donna non sono apparsi segni di squilibri. Qualcuno parla di uno stato di depressione, di cui Gege soffriva negli ultimi tempi, ma i f amiliari e i vicini di casa dipingono un ritratto molto diverso della donna: una persona piena di vita, dinamica, attiva, indipendente, abituata a viaggiare da sola. Questo rende meno probabile anche l'ipotesi di un suicidio. D'altra parte, «se ha avuto desiderio di uccidersi ha pensato a un modo complica¬ to», ha commentato Antonio Albano, procuratore capo della Repubblica presso il tribunale di Civitavecchia. Resta l'ultima ipotesi, quella di un malore o di un tragico incidente: questa per il momento non può essere smentita. A meno che dai racconti dei passeggeri del traghetto o dalle valigie di Gege - semmai verranno trovate non spunti fuori, all'improvviso, un'altra verità. Flavia Amabile Il magistrato: se desiderava morire ha scelto un sistema davvero complicato Ricostruito il viaggio: prima è stata a bordo di uno yacht, poi l'ha abbandonato perché non si trovava a suo agio e ha deciso di andare dalla madre all'Argentario con un traghetto A destra Francesca Valle A sinistra il giudice Felice Casson Sopra la casa in cui abitava la donna annegata

Persone citate: Antonio Albano, Felice Casson, Flavia Amabile, Francesca Valle, Gino Saladini