Hong Kong la Signora della Moda parla italiano

Si espande l'impero di Joyce Ma, la prima importatrice delle nostre griffe nell'area asiatica Si espande l'impero di Joyce Ma, la prima importatrice delle nostre griffe nell'area asiatica Hong Kong, la Signora della Moda parla italiano «Sono ottimista, la riunificazione con la Cina non ci ha fermati» PERSONAGGIO UNA POTENZA DELL'ORIENTE HONG KONG DAL NOSTRO INVIATO Signora, come ha passato il momento della riunificazione? «Pregando. Ero a un ricevimento con degli amici, come tutti, e alla mezzanotte del 30 giugno ho cantato dentro di me il nome di Dio. Qualcuno mi ha messo in mano una flute di champagne, ma non volevo bere. Quando è scesa la bandiera britannica ed è salita quella della Cina popolare ho pianto. Il discorso del principe Carlo, le lacrime del governatore Patten. Chiusura con classe ed eleganza di un'epoca bella. La mia famiglia è profuga da Shanghai, non dimentico le opportunità che ho avuto qui, nella Hong Kong britannica. Il primo luglio, iniziò di una nuova epoca, l'ho trascorso in un centro di meditazione, a cantare ancora il nome di Dio. Sono ottimista di natura, e voglio guardare con fiducia al futuro, con energia positiva». Joyce Ma è una delle grandi dame della città e della società internazionale. Esile, sofisticata e colta, detta l'eleganza in vari Paesi in questa parte del mondo, e la detta in italiano. La fitta presenza di grandi nomi italiani in questa città che assorbe come una spugna tutto quel che è di prestigio e di alta qualità è dovuta soprattutto a lei. E' stata lei, oltre un quarto di secolo fa, a cominciare a portare qui griffe allora all'inizio e qui sconosciute e a diffonderle poi a Taiwan, Corea, Malesia, Thailandia, Filippine, Macao. Oggi è una delle più grandi «buyer» del mondo nel- lalta moda. La sua presenza alle sfilate a Milano e palazzo Pitti tiene i designer col fiato sospeso. Un suo sguardo aggrondato davanti a qualche linea significa porta chiusa su un mercato vorace e in crescita. L'Italia ha avuto nel '96 un attivo commerciale nei riguardi di Hong Kong di 6444 miliardi di lire, in gran parte derivante dalle nostre esportazioni nel campo della moda. Da sola, Joyce Ma conta per il 6% delle importazioni dall'Italia, che distribuisce tramite una rete di negozi nelle zone eleganti a Hong Kong e negli altri Paesi in cui opera: 40 in tutto, alcuni che portano il suo nome, e in cui sono presenti diverse griffe, altri dedicati a una sola marca, Arai ani o Prada, o Dolce & Gabbana, e adesso anche Diego Della Valle. Questa donna esile e molto più giovanile dei suoi 57 anni, dal '93 nella lista delle dieci più eleganti del mondo, è a capo di un impero con un fatturato di oltre 300 miliardi di lire, l'85% in merci italiane, e mille dipendenti, ma non ha i modi di una donna-manager. Tiene alla propria femminilità, parla con dolcezza in perfetto italiano, avendo a lungo abitato anche a Milano, ma non di mercato, di strategie, di fatturato. Imbevuta di senso estetico, lascia queste incombenze al suo amministratore delegato Roberto Dominici. Parla di bellezza e perfezione estetica come manifestazione d'amore, di dedizione agli altri, e non bara. La sua attività benefica è cospicua, i ricavati delle sue sfilate vanno alla Caritas o altre istituzioni di assistenza, trascorre ogni anno il suo compleanno con persone anziane e sole. Ma è arrivata dove è arrivata, a costruire il suo impero dell'alta moda italiana, con determinazione e fiuto. «Ho cominciato a venire alle sfilate in Italia nel '68: Emilio Pucci, Balestra, le sorelle Fontana. Ricordo Missoni, a palazzo Pitti, con i suoi straordinari tessuti. Hong Kong aveva cattiva fama allora, si temeva che acquistasse solo per copiare. Mi misi alla porta di Missoni e gli dissi che non me ne sarei andata se non mi avesse venduto la sua collezione. Lui scoppiò a ridere ed è stato l'inizio d'una lunga collaborazione e amicizia. Capii chi sarebbe diventato Armari vedendo capi d'una grossa casa di confezioni disegnati da lui, allora ignoto. Ricordo il suo piccolo showroom in corso Venezia a Milano, nel '70 o '71. Alla sua prima sfilata, comprai quasi tutta la collezione. Non mi sbagliavo. Mi sentivo, e mi sento, una talent-scout. Passo otto mesi all'anno in viaggio, alla ricerca di nuove idee, nuove sensazioni estetiche, nuovi talenti. I grandi designer italiani li ho avuti tutti, anche se ora con alcuni non operiamo più». Certi tocchi cinesi apparsi ora nella gran moda, sono forse un segreto omaggio a lei? «No, no. La ricchezza dell'abbigliamento cinese e la sua eredità artistica sono divenuti motivo di ispirazione per il fatto che la Cina è tornata nel mondo. Posso dire però che alle sfilate a Milano andavo con l'abito tradizionale cinese, stretto a fasciare il corpo, il colletto alto. Avevo uno chignon allora, ero giovane, e Armani mi fissava intenso. Forse, in certi suoi tocchi, oggi, reminiscenze di quelle visioni che ha poi certo approfondito. Era incantato». Non solo lui, signora, né solo allora. Fernando Mozzetti Superai6mila400 miliardi l'attivo con la ex colonia Gran parte è «fashion» Una sfilata di moda italiana in Cina: le nostre griffe spopolano in tutto l'Oriente