Il baco della mafia nella Big Apple di Franco Pantarelli

Il baco della mafia nella Big Apple Il baco della mafia nella Big Apple Così le famiglie si spartiscono la Grande Mela NEW YORK i ALGRADO Vincent Gi1 gante sia riuscito a schivare l'accusa più grave, quella di omicidio, i suoi persecutori ieri erano ugualmente raggianti per la condanna ottenuta. «Quello che conta è che la sua continua ostruzione della giustizia è finita», diceva George Stamboulidis, il vice procuratore di Brooklyn. E il suo capo Zachary Carter gli faceva eco andando molto oltre: «La sua condanna - ha detto risulterà un colpo devastante per la famiglia Genovese e per il crimine organizzato in generale». Ma è proprio così? Quelli che contro la mafia di New York combattono da anni sono alquanto scettici. Certo, dicono, la condanna di Gigante ha un grande valore psicologico soprattutto perché la sua tattica fantasiosa, quella dell'accappatoio e del pigiama, aveva reso un po' ridicoli i ripetuti e falliti tentativi di incastrarlo e in certi ambienti gli aveva perfino fatto guadagnare qualche simpatia. Ma sul piano pratico è difficile che il seppellimento di Gigante nel penitenziario di Butner, nel North Carolina, comporti dei cambiamenti. Già molto tempo prima che si riuscisse a processarlo, dice per esempio Lewis Schiliro, l'uomo che guida la «Criminal Division» dell'ufficio newyorkese dell'Fbi, Gigante aveva rinunciato a gran parte del suo potere. La malattia {non l'insufficienza mentale cui gli investigatori non credono ma l'insufficienza cardiaca che invece è stata da tempo accertata), nonché la pressione della giustizia, con tutti quegli agenti che lo seguivano dovunque, anche nelle sue famose passeggiate in accappatoio e pigiama per le strade del Village, gli avevano imposto di «delegare» molte attività ai «capi» delle varie «sezioni» di cui la famiglia Genovese dispone a New York e nel New Jersey. Sono 17, quella sezioni, e ognuna di esse ha un capo che Gigante aveva provveduto a nominare. Fino a qualche tempo fa quei capi obbedivano ciecamente a lui e a lui consegnavano una parte dei proventi della loro attività, principalmente la «protezione» del traffico delle merci, il gioco d'azzardo e lo strozzinaggio. Ma quando lui ha dovuto «mollare» ognuno di loro ha preso ad agire praticamente in proprio, comportandosi come il capo di una famiglia più piccola. Gigante tuttavia restava il punto di riferimento di tutti e ora potrebbe sorgere il problema di chi, fra quei capi grosso modo di uguale statura, debba diventare «più uguale» degli altri. Siamo alla vigilia di una «guerra» fra le sezioni della famiglia Geno¬ vese? Anche su questo Schiliro è piuttosto scettico. Innanzi tutto perché la famiglia Genovese - a differenza della Gambino, che dopo la condanna di John Gotti sembra ancora incerta su chi debba essere il suo successore e ci sono voci di una lotta furibonda fra John Gotti Junior, il figlio del capo in galera, e Anthony Carollo, più «rispettato» di lui nell'ambiente - ha una lunga tradizione di «saggezza». Fondata negli Anni 30 da Lucky Luciano, il misterioso personaggio che finì per acquistare grande prestigio molto al di fuori dell'attività mafiosa (sono noti i sospetti sul suo «contributo» allo sbarco delle truppe americane in Sicilia), ha acquistato il suo nome nel 1957, quando Vito Genovese costrinse Frank Costello, il capo di allora, a ritirarsi. E proprio il «pacifico» farsi da parte di Costello fu considerato una prova di come questa famiglia sapeva «gestirsi» con cura, senza attrarre l'attenzione. In secondo luogo, a rendere improbabile lo scoppio di una «guerra» c'è il fatto che il sostituto di Gigante probabilmente c'è già. Si chiama Dominick Cirillo ed è stato a lungo il «luogotenente» di Gigante, nonché quello che negli ultimi tempi gestiva l'attività quotidiana nella sezione principale: quella appunto del Sud di Manhattan dove Gigante abitava. «E' una figura molto influente», dice Schiliro. «Per anni è stato il consigliere più ascoltato di Gigante e nell'ultimo periodo era una sorta di "interprete autorizzato" della sua volontà. Non c'è dubbio che lui si trova molto avvantaggiato rispetto ad altri possibili concorrenti nella sostituzione del capo». C'è tuttavia una possibilità che l'uomo dell'Fbi di New York si sbagli, come lui stesso ammette. La famiglia Genovese, infatti, ha anche un'altra tradizione: quella di confondere ad arte l'individuazione del capo, in modo da indirizzare gli sforzi della giustizia verso il bersaglio sbagliato. Quando Gigante subentrò a Vito Genovese, per esempio, per lungo tempo gli investigatori erano convinti che il capo fosse diventato Anthony Salerno, che invece non muoveva un dito senza l'imput di «Chin». Ci volle l'unico «pentito» che la famiglia Genovese abbia mai prodotto, un «capo» di nome Vincent Cafaro, per scoprire, negli Anni 80, che Salerno era stato «incaricato» di recitare la parte del capo proprio da Vincet Gigante, un nome che fino a quel momento gli investigatori conoscevano a malapena. «E' stato probabilmente una delle figure più in gamba di tutta la criminalità organizzata», dice John Pritchard, che adesso è in pensione ma allora era quello che nell'Fbi aveva il compito di tenere d'occhio per l'appunto la famiglia Genovese, e che quindi fu il principale gabbato dalla mossa di Vincent Gigante. Franco Pantarelli RETROSCENA LE MANI SULLA CITTA' La famiglia Genovese è stata fondata negli Anni Trenta da Lucky Luciano

Luoghi citati: Manhattan, New Jersey, New York, North Carolina, Salerno, Sicilia