Albania venti morti nella notte dei fuochi
Scia di sangue dopo Pinsediamento di Nano Scia di sangue dopo Pinsediamento di Nano Albania, venti moriiv: nella notte dei fuochi E la Grecia rimpatria in massa gli emigrati (anche quelli regolari) TIRANA. Colpi di coda, nient'altro che colpi di coda. Annunciati, d'altra parte, perché alcuni degli irriducibili fra i militanti del partito democratico danno l'impressione di ritenere che tritolo e kalashnikov siano armi efficaci nel dibattito politico. E forse per questo attentati e omicidi hanno scandito le ultime 24 ore, importanti, in ogni modo, per l'Albania, perché ci sono stati gli insediamenti dei socialisti Rexhep Mejdani alla presidenza della Repubblica e Patos Nano a capo del governo. Per festeggiare, due ore di ininterrotte sparatorie, un po' dappertutto. Il primo atto di Mejdani è stato ricevere il giuramento di Nano, il secondo trasferire la presidenza in collina, nella villona un po' malandata che fu di re Zog. Il palazzo occupato da Berisha, in Bulevardi Deshmoret e Kombit, nel cuore di Tirana, è passato a Nano, che forse anche così ha voluto sottolineare il suo personale trionfo sul vecchio nemico. Oltre a Nano, e al numero due, Bashkim Fino, nel nuovo governo ci sono otto socialisti, due di alleanza democratica, due socialdemocratici, uno del partito agrario e uno dei diritti dell'uomo. Nessuna sorpresa grossa, ma l'attenzione si è fermata sul ministero degli Interni, affidato a Naritan Ceka, archeologo; sulla Sanità, passata nelle mani del trentenne Léonard Solis; su quello della Difesa, consegnato a Sabit Brokaj, il vero cardiologo di Enver Hoxha. Oltre alla festa un po' troppo chiassosa, però, si è sparato anche per uccidere. Almeno venti morti e una lunga scia di feriti, un attentato al tritolo, agguati col mitra, vendette col coltello. E' l'Albania di oggi così simile a quella di ieri e, c'è da temere, pure a quella di domani. Per lo scoppio sono crollati i tre piani alti di un edificio di cinque, a Pesbkopie, nel Nord-Est, vicino alle frontiere del Kosovo e della Mace¬ donia, entro i confini di quello che i socialisti chiamavano il feudo di Sali Berisha, il presidente trombato nelle ultime elezioni, uno, dicono, poco incline ad accettare le sconfitte. Naturalmente, questo non dà alcuna garanzia sulla matrice dell'attentato, al contrario, se si tien conto della radicata e spregiudicata tradizione non soltanto balcanica di far ricadere le colpe peggiori sugli altri. Lo scoppio, alle 3 di notte, quando le vie sono deserte e solo i mitra scandiscono il tempo. Tre morti accertati, altri sei scomparsi sotto le macerie, sedici feriti, alcuni in maniera seria. Ed è curioso e forse neppure casuale che molti, fra i morti e i feriti, si chiamassero Gazidede, come l'ex capo dello shik, il servizio segreto: lui, Bashkim Gazidede, si dimise a marzo, quando la sommossa minacciò Tirana. Ora la polizia dice di vedere ombre politiche dietro la bomba. Poi c'è stato un assalto col mitra contro la casa del commissario di Koplic, sempre a Nord. Le raffiche hanno ferito la figlia dodicenne del poliziotto. E a Klos, fra i monti di Burel, si è consumata una vendetta annunciata. Per nove dollari, sabato scorso, Elez Carni era stato ucciso da una gang di diciottenni. L'altra notte i suoi parenti hanno messo sotto assedio la casa del capobanda. Sei morti. Pronti i democratici hanno invocato lo stato d'assedio, cancellato l'altro giorno. «La revoca di questa legge ha avuto motivazioni politiche. Era infatti la richiesta dei comitati dei ribelli che intendono essere liberi di continuare le loro azioni criminali». Frattanto è proseguito anche ieri il rimpatrio in massa di immigranti albanesi cacciati dalla Grecia. Molti sostengono di avere regolari permessi di soggiorno che però le autorità greche non hanno rispettato. Vincenzo Tessandorì
Luoghi citati: Albania, Grecia, Kosovo, Nano Albania, Tirana
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