«Non voglio tranquillanti» di Paolo Guzzanti

fi governatore della Virginia e la Corte Suprema Usa hanno ribadito il no alla grazia WT: «Non voglio tranquillanti» Lucido e disperato fino alla fine IEMPORIA NTANTO i carrelli andavano e venivano, carichi di cibi abbondanti, di aragoste bollite e gelartìf hamburger giganti; e bottiglie di vino frècldo di Napa'VàHey e fiumi di succhi di frutta. Si è scoperto che è un'abitudine, semplice e grottesca: il giorno in cui un condannato a morte va a farsi ammazzare, si festeggia l'ultima cena. Ma non la sua, del condannato. Si festeggia con una festosa cena dello staff: secondini, addetti alla macchina mortale, il boia vero e proprio, il personale di turno. Tutta gente per la quale il giorno dell'esecuzione è uno stress, un tempo senza pause, in cui tutto deve filare Uscio e senza intoppi. Per cui, si mangia e ci si rilassa, almeno a tavola. E mangiano a quattro palmenti anche quei quattro energumeni da 120 chili che hanno il compito di tenere il condannato sotto controllo stretto, e poi di afferrarlo per le braccia e per i piedi, e di legarlo, metterlo in moto come un pupazzo e farlo camminare - «Ecco il morto che cammina!...» - fino alla stanzetta con quel letto da crocefissi, perché l'iniezione letale è una crocefissione con chiodatura. Lui, il condannato a morte, è stato sempre presente a se stesso. Un uomo tosto e determinato, un bel sorriso, il sorriso per cui lo odiano, perché dicono che con quella bella faccia e il sorrisone sexy, ha stregato un sacco di povere disgraziate che hanno pagato caro il suo appeal. E poi anche la sua pretesa di far celebrare il matrimonio con Lori, ha mandato in bestia le istituzioni della Virginia: non hanno potuto negarglielo, ma si sono indispettiti. E' stata una guerra di dispetti feroci fino all'ultimo. Nel recente passato aveva fatto passare Urs come sua moglie, così da poterla far stare con sé anche quattro ore al giorno. E aveva esibito un certificato di nozze con rito indiano, cherokee. Quando il governatore e il direttore della prigione hanno cominciato a irritarsi per tutte le pressioni che arrivavano dall'Italia, la rappresaglia è stata quella di dire: il matrimonio non è valido, e la signora può restare soltanto un'ora e un quarto, come assistente legale. Di qui il matrimonio, per amore e per ripicca. E la controripicca dei carcerieri: i quattro energumeni che gli respiravano addosso, che non gli davano neanche lo spazio per sudare da solo. Mentre la Corte Suprema era riunita, i carrelli di metallo cigolavano in quella scatola per topi ammaestrati che è il Death Row di Greèrisvnle, dove si ammazzano gli assassini e talvolta, può accadere, anche gli innocenti. Questa è la tragedia della pena di morte: tutti sanno che qualche disgraziato innocente, per motivi di statistica, andrà a rimetterci la pelle. E dunque il suo sacrificio è compreso nel prezzo. E del resto ogni povero disgraziato con la corda al collo, anzi l'ago nella vena, trova sempre qualche generoso disposto a dichiarare di aver saputo da un tale che nel frattempo è morto, giustiziato per di più, che quello era il vero assassino. Tutto ciò in genere non ha qui alcun valore, non sposta nulla. Ma fa muovere i media, agita i comitati e allora si tratta di vedere, valutare, calcolare, se per caso sposta anche voti e in che senso. I secondini e lo staff hanno pranzato e cenato nella stanzetta che sta fra la cella di O'Dell e i servizi. Lui intanto era lì, che rifiutava il cibo per non ingollare la dose di valium con cui la direzione del carcere fa cadere il condannato in un sopore prossimo all'anestesia, una preparazione pre-operatoria che rende poi il flusso nella vena rapido e letale alla prima stantuffata. Ma il vecchio O'Dell ha resistito e non ha mangiato, con le mani e le gambe che gli tremavano per la tensione e la fame, lo stomaco di latta tagliente, le fauci secche. Andava avanti e indietro in quel buco, cercando di far perdere le tracce agli armadi, che gli sussurravano le paroline che sempre un condannato odiato si sente ripetere: fra poco sei morto, bastardo, fra poco sei un cadavere e l'avrai finita di romperci le palle, a noi non ci incanti, bastardo. Ma il vecchio O'Dell respirava forte e profondamente per farcela, per arrivare al momento finale, per restare davanti al vetro dei testimoni come un Cristo in croce e leggere il suo breve proclama, sono innocente, ringrazio chi mi ha sostenuto, ringrazio gli italiani che hanno creduto nella mia innocenza... E per tutto il giorno, il terribile e anzi infernale giorno più lungo, ha sudato e orinato, sempre con quei quattro dietro, che non lo hanno mollato neanche sulla tazza del cesso e anzi hanno seguitato a umiliarlo, perché la pena di morte qui è una pena e non un'operazione indolore, perché qui si viene ad espiare il delitto, a soffrire, a perdere sangue dagli intestini, a piangere. Ma il vecchio O'Dell, quest'uomo che forse non ha ucciso Helen ma che certamente ha ammazzato un uomo e ha fatto la festa, stupri e botte, a im sacco di donne, non ha pianto. E' un irlandese, è mi indiano e per questo, anche per questo, lo odiano in Virgmia, terra di gente pia, bianca o nera, tutta protestante e battista, tutta gente che del Papa di Roma ne sa quanto dell'arcivescovo di Costantinopoli e che trova un elemento di disordine, mia msopportabile interferenza, tutto il chiasso che si è fatto su un mezzo indiano e mezzo irlandese. Così ieri passavano le ore. Le ore dell'ansia e della dignità. Quelle dei collasso e della ripresa, della furia e della disperazione, attimi di eufo- ria, sprazzi di speranza, l'allucina zione quasi della salvezza all'ulti ino minuto e poi l'abisso, la depressione, la morte nel cuore e nella memoria prima ancora che nei muscoli che aprono e chiudono i polmoni. Il suo cuore, destinato a ricevere un cloruro paralizzante, pompava sangue come un pozzo di petrolio, e Urs restava lì, fuori dalle sbarre insieme a Sistcr Prejean che pregava c intercedeva presso i carcerieri affinché avessero rispetto, affinché lasciassero la dignità al morituro. E un funzionario le ha detto, con cortesissnna freddezza, che «qui tutto si svolge come vuole la legge, senza privilegi e senza persecuzioni». Il vecchio O'Dell era senza orologio. E' una tortura prevista, collaterale, che costringe il condannato a chiedere continuamente quanto manca: che ora è? E' ora, gli hanno detto, quando l'ora è arrivata. E lo hanno alzato come un sacco, i lacci alle caviglie. In due lo tenevano per le ascelle, benché si ribellasse e volesse andare via da solo. Un altro uomo davanti e imo di dietro, finché non è entrato il funzionario che ha letto l'ordinanza. I suoi passi hanno cominciato a risuonare in quel breve, brevissimo tratto, e la voce, la terribile voce del funzionario avvertiva: «Ecco l'uomo che è già morto ma che ancora muove le gambe, ecco il dead man walking, fate largo, quest'uomo va a morire per i delitti di cui è stato rinconosciuto colpevole dalle leggi e dal popolo della Virgmia». Sentiva di non avere più speranza, e sapeva che oltre quella porta lo avrebbe atteso il lettino. Lì lo hanno afferrato come mi animale da macello e lo hanno caricato sul letto, mentre le cortine rendevano invisibile la scena ai testimoni raccolti oltre il vetro nero. L'ago è stato piantato subito dopo l'immobilizzazione. L'ago senza nulla dentro, il veicolo della morte già in cammino, la strada già aperta. Così è stato innalzato, come un ladrone in croco, l'indiano irlandese protetto e amato dai cattolici e dagli italiani che sono in strada per lui con le fiaccole. E così O' Dell è andato incontro all'epilogo, gridando la sua innocenza, soffocato dal dolore e dall'ansia, ma ancora forte, ancora essere umano, prima di cedere la sua vita alla chimica letale. Paolo Guzzanti wmmm Suor Helen PreJean Quattro secondini energumeni lo sorvegliavano a vista, anche in bagno Ha continuato a ringraziare gli italiani sperando in un miracolo

Persone citate: Helen Prejean, O'dell, Prejean

Luoghi citati: Costantinopoli, Italia, Roma, Sistcr, Virginia