L'Amazzonia di Quilici di Angela Bianchini

L'Amazzonia di Quilici L'Amazzonia di Quilici ventiquattro capitoli sono anch'esse di gusto assai inglese; vi troviamo citazioni da Shakespeare (Amleto e, com'è ovvio, Re Lear) o da sconosciuti viaggiatori del Seicento, ma soprattutto da Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio, di Lewis Carroll. Come era accaduto al Cappellaio Matto, anche l'orologio di Napoleone s'era fermato nell'afa d'ur tardo pomeriggio, e come i personaggi del reverendo Dogson anche l'imperatore era costretto a starsene eternamente chiuso in casa, senza nulla da fare se non litigare con chi gli stava intorno; mentre il vuoto susseguirsi dei giorni e delle settimane assomigliava sempre più a un inutile e spettrale/ìve o'clock. Alessandro Barbero Folco Quilici CIELO VERDE Folco Quilici Mondadori pp. 615 L 33.000 CIELO VERDE Folco Quilici Mondadori pp. 615 L 33.000 OLO chi ha vissuto qualche tempo in Amazzonia riconosce il fascino pauroso degù umori d'una riva di fiume dove «la vegetazione si compatta formando pareti verdi e nette. Al loro interno qualcosa freme, si muove, appare e scompare; la penombra è severa, congregazioni di scimmie berciano fastidiose». Per chi ha mancato questa avventura, le parole di Folco Quilici nel suo Cielo verde sono l'obiettivo d'una cinepresa che fruga anfratti mai visitati prima. Sapienti zoomate che si fanno strada fra vapori e sfagli di luce fino al primo piano, lassù in alto. «Il cielo d'Amazzonia evapora in continuazione e ogni mattino quando il sole illumina il tappeto della selva, la luce torna di riflesso, si impasta nel velo di vapore disteso sino all'orizzonte». In questo cappa Mike the Angel, il protagonista, vola, in senso letterale. E' un giovane aviatore americano e sceglie il piacere del rischio con il suo aereo libellula che solo lui riesce a depositare leggero su fazzoletti di pochi metri di terreno e su picchi che affiorano dai miasmi d'una natura in de¬ composizione. La vicenda si dipana nell'arco di 25 anni, dal 1919 al 1944. Un percorso lungo i pericoli della foresta e dei suoi abitanti e dentro i sentimenti e le azioni d'un giovane impulsivo sopraffatto da emozioni primigenie. Quilici come sempre viaggia. Il lavoro di ricerca per carpire i segreti del suo personaggio, i suoi cammini, appare immane. Parla col figlio di Mike, che a sua volta ha passato la vita a parlare con chi ha frequentato suo padre. E tutti coloro che hanno conosciuto Mike the Angel o rammentano qualche sua avventura entrano nelle inquadrature di Quilici per uscirne sezionati dal ricordo d'una frase, d'uno stato d'animo. Il percorso d'immedesimazione di Quilici appare evidente: è stato dove Mike è stato, ha volato dove Mike ha volato: fin sugli altopiani inesplorati dei Tepuy dove «the angel» era precipitato alla ricerca d'un mitico torrente in cui «rotolano sassi che sono pepite d'oro». Quilici conosce anche i fiumi dove ha navigato Mike fra le rapide. Così, il definitivo puzzle sull'uomo-leggenda possiede il riscontro in ogni minimo particolare. Mike Angel: sarà lui a dare il nome alla cascata più alta del mondo nascosta fra i vapori della selva venezuelana: «Salto Angel». Dal suo aereo che sfila, come un minuscolo insetto nel folto della selva, scorge un velo d'acqua verticale alto mille metri che unisce terra e cielo, ma forse è solo una visione che soltanto qui si può avere. Spiegherà a Quilici una india che da giovane aveva amato Mike: «è difficile per chi non è mai vissuto nella foresta capire le quattro dimensioni che noi percepiamo. Oltre all'altezza, la larghezza e la profondità, misure della realtà, noi ne conosciamo un'altra: la curupuri, misura dell'immensità imperscrutabile». Mike Angel percepisce il «curupuri» e non resterà irretito da nessun incantesimo femminino. Il cielo verde e il suo aereoplano saranno gli unici suoi veri amori. Anche perchè sotto di lui la foresta adesso gli appare interrotta da macchie scure troppo vaste e gli alberi tagliati non possono più riparare gli indios cui ha imparato a voler bene macinando con loro la vita. E per salvarli dai feroci massacri dei fazenderos affronterà pericoli a ripetizione, proprio come un eroe dei videogames. Rivela Quilici: «Ho scritto questo romanzo ispirandomi a un personaggio vero». Al personaggio vero un amico vero suggeriva: «Cerca un paese dove sia possibile rubare una mandria di vacche, dove il furto della mandria sia punito con il linciaggio». Chi ama il rischio conosce bene il piacere sottile e perverso che ne può derivare. E anche Quilici lo conosce, di sicuro. Nevio Boni L'ANGELO DI LAURA RE STREPO MIRACOLI E SCOOP ABOGOTA NA cosa va detta: per affrontare la difficile realtà del loro Paese le scrittrici latinoamericane ce la mettono tutta. Tutta, davvero, in termini di immaginazione: un esercizio d'amore destinato, si direbbe, non a evadere situazioni irrimediabilmente tragiche, ma, in certo senso, a farle lievitare, a renderle parte di una più vasta coscienza umana che travalichi i confini stessi dell'America Latina. Immaginazione e humour, nonché una notevole dose di intelligenza critica e politica sono gli ingredienti del romanzo della colombiana Laura Restrepo, Dolce Compagnia, scritto nel 1995 e oggi pubblicato in Italia. Il libro e il suo argomento, l'apparizione di un angelo, ebbero origine da una ricerca storiografica sugli angeli condotta DOLCE COMPAGNIA Laura Restrepo traduzione di Alessandra Riccio Frassinelli pp. 173 L. 24.500 l ibli Ali di R DOLCE COMPAGNIA Laura Restrepo traduzione di Alessandra Riccio Frassinelli pp. 173 L. 24.500 g g gnella Biblioteca Angelica di Roma e ne fanno fede, tra l'altro, i numerosi ringraziamenti offerti dalla Restrepo, nell'ultima pagina del romanzo, a bibliotecari e studiosi: circostanza davvero non comune nella narrati¬ va, e non soltanto colombiana, atta a dimostrare come l'autrice non nasconda in alcun modo il suo passato di universitaria, di donna politica e di giornalista. Ma la novità del libro sta nel fatto che, in certo senso, la ricerca viene capovolta e serve soltanto a dare il supporto scientifico alle esternazioni dell'angelo che in realtà angelo non è affatto: non è l'arcangelo Michele, né Raffaele, né Gabriele, non è nessuno dei grandi angeli che Laura Restrepo, una bella donna dal viso intelligente, nata nel 1950 a Bogotà, vide un po' dappertutto nel suo gironzolare per Roma. Al massimo, può apparire come Uriel, angelo, a quanto si dice, emarginato e demonizzato, ma si tratta di un passaggio assai veloce. Il protagonista angelo non è, e non si trova affatto a Roma né a Gerusalemme. E' (forse) un povero ragazzo autistico e violento, nato non si sa bene come, della cui formazione si sa ancora meno, e circondato, però, per un certo periodo, dal fanatismo popolare di uno dei quartieri più miserabili di Bogotà, chiamato (per combinazione, ma mica tanto), Galilea. Tutto nel libro è incerto e labile, e tutto si può capovolgere e si capovolge, ma, nel capovolgersi e rovesciarsi, lascia una traccia; questa, non labile. E qui sta il vero senso del romanzo e spiega perché una donna giovane, giornalista, e molto simile, si sospetta, all'autrice stessa, incaricata dal suo sconclusionato giornale di un'inchiesta sugli angeli (di cui diffida profondamente e scrive con humour beffardo) finisca nella realtà spaventosa di Galilea, in un clima da baraccone quale si può trovare in qualunque altro luogo, e magari non tanto lontano da noi, quando si diffonda la Un'immagine di Bogotà capitale della Colombia voce di un miracolo. Intorno all'angelo, che, si dice, vive, in modo quasi animalesco, in una grotta, ma scrive e lascia su quaderni messaggi carichi di esattissimi riferimenti biblici, la giornalista trova tutta un'organizzazione parareligiosa, fatta di sante donne, compresa la madre dell'angelo, ex suore, puttane, il fratello dell'angelo, il prete che ostacola l'angelo ma in realtà ne è il padre, e capeggia un gruppo di bulli violenti che hanno del naziskin e della mafia e di questa organizzazione, grazie alla sua bionda gioventù, diventa la beniamina. Tanto beniamina che con l'angelo (che di virtù virili è singolarmente dotato) va, non a letto, il che sarebbe irrispettoso e poco consono al tema angelico, ma, diciamo così, si coniuga. L'altra faccia di questo sacro e sagra paesana è la vita degradata di miseria, di riformatori, di manicomi da cui (forse) l'an¬ gelo è venuto e poi, per un periodo, ripiomba. E chiudiamo su questo, per non svelare la conclusione del romanzo, abile, ma anche struggente e al tempo stesso, emotiva e emozionata. Come forse il lettore avrà intuito, il maggior merito del libro è l'equilibrio tra lo humour e l'incugnazione, tra l'irrealtà e la realtà fin troppo tangibile di un Paese che avrebbe gran bisogno di angeli e se li inventa, a quanto pare, a tutto spiano, ma finisce poi per trovare una Chiesa corrotta, una polizia infame, guerriglieri e narcotrafficanti. Preparazione culturale molto solida, e passione politica fusi con invenzione sfrenata e beffarda: ecco un bel romanzo. Angela Bianchini