IL SAGGIO
IL SAGGIO IL SAGGIO di Alessandro Fo CHI intenda scandagliare gli strati profondi della nostra «civiltà delle immagini» può ricorrere a un piacevole saggio che indaga i modi in cui la luce e le cose giungono all'occhio e vi si trasfigurano: Andrea De Santis, Metamorfosi de//o sguardo: il vedere fra mìstica, filosofia ed arte, edito a Roma da Studia Anselmiana Pontificio Ateneo e Centro Studi S. Anselmo, Piazza dei Cavalieri di Malta5, Roma- (292, pp., L. 55.000). Ben costruito e sempre perspicuo anche al profano, forte di adeguati inserti fotografici, il libro fonde sul tema dello sguardo filosofia e produzione artistica. Ne risulta un plesso composito, in cui le distinte ricerche di Nicolò Cusano e Paul Klee, S. Ignazio di Loyola e Ungaretti, Hegel e Kandinsky trovano modo di illuminarsi reciprocamente. pch'io abbia mai incontrato, capace di farmi credere che forse i generali argentini, pur avendo nell'insieme torto marcio, non avevano però tutti i torti quando denunciavano l'assurdità del superstite colonialismo britannico. La descrizione della Blackburn ricorda quel che scrivevano i giornali di laggiù al tempo della guerra delle Falkland, pensando com'è ovvio ai kelpers e non ai discendenti di coloni inglesi e schiavi africani che ancor oggi popolano Sant'Elena. «Gli abitanti non hanno alcun controllo sul destino del loro piccolo paese, dipendono dagli aiuti finanziari assegnati e non sta a loro decidere come impiegare questo denaro. Hanno un passaporto inglese che non dà loro il diritto di stabilirsi nel F.egno Unito o di recarsi altrove». Quanto all'economia, dapprima l'avidità della Compagnia delle Indie e poi l'ottusità burocratica dei funzionari nominati da Londra sono riuscite da un pezzo a ridurla a zero. Ma l'intento di Julia Blackburn non è tanto di descrivere la squallida Sant'Elena d'oggi, quanto di rievocare ciò che vi accadde a Napoleone, durante i sei anni in cui l'imperatore abitò, in uno stato di crescente depressione, la sua ultima isola. Partita con «la vaga idea che Sant'Elena si trovasse in qualche punto del Mediterraneo e che gli abitanti parlassero francese, o forse italiano», l'autrice ha dedicato anni a sfogliare diari, epistolari e memorie, per lo più viziati da esasperanti contraddizioni; guardandosi bene, com'è giusto, dal mettere piede sull'isola prima d'aver quasi concluso il lavoro, così da non sovrapporre il proprio sguardo a quello dei contemporanei di Napoleone. Pagina dopo pagina, il libro rievoca le lunghe ore passate dal prigioniero a fare il bagno nella tinozza, o a guardare la pioggia dalle finestre, ascoltando le corse frenetiche dei topi sotto il pavimento di legno; le interminabili partite a carte, durante le quali Napoleone d'abitudine barava, mentre tutti fingevano di non accorgersene; i pasti consumati voracemente, e in pochi minuti, com'era sempre stato suo costume, in una sala da pranzo senza finestra, rivestita di legno e illuminata anche di giorno a lume di candela; le rare e sgradevoli conversazioni, queste sì in francese e soprattutto in italiano, col governatore Sir Hudson Lowe, d'esecrata memoria per tutti gli ammiratori dell'Imperatore, ma almeno poliglotta. Nessun dettaglio, purché bizzarro, sfugge allo sguardo dell'autrice; né le visite, frequenti all'inizio e poi sempre più rare, dei turisti inglesi ansiosi di vedere il grand'uomo (o l'orco, a seconda dei pregiudizi), che i domestici dovevano tener d'occhio discretamente, per evitare che qualche cacciatore di souvenir facesse sparire il cappello o la tabacchiera dell'Imperatore; né le fucilate che il regale carcerato si degnava qualche volta di sparare dalle finestre contro i polli che sconfinavano nel suo giardino (e Sir Hudson Lowe si preoccupava che quelle fucilate potessero colpire una sentinella, e s'informava presso il governo di Sua Maestà, se in quell'indesiderabile evenienza fosse lecito processare il Generale Bonaparte come un qualunque altro residente, e condannarlo alla pena prevista dalla common law). Le epigrafi che introducono i
Luoghi citati: Falkland, Londra, Roma, Sant'elena
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