Il silenzio dell'America di Paolo Guzzanti

Il silenzio dell'America Il silenzio dell'America Perché nessuno chiede clemenza E-l, RICHMOND / successo addirittura che lo stesso O'Dell abbia dovuto ricordare in una recente let I tera agli italiani di essere un fior di farabutto, ancorché innocente dell'uccisione della disgraziata Helen Schartner. Joseph O'Dell in vita sua ha fatto piangere e crepare un po' di disgraziati: dal compagno di cella spedito al creatore, alla commessa rapita, selvaggiamente picchiata e abusata durante una delle tante rapine della sua vita sanguinaria. Da noi questo non conta, perché da noi conta una filosofia e una morale del perdono, del pentimento, del valore superiore della vita del malvagio. Ma in America i valori dell'etica quotidiana sono altri: il povero O'DeJJ con la sua condanna a morte ha ricevuto da una giuria, che lo odiava, il suo premio alla carriera di seviziatore, ladro, stupratore, rapinatore ed assassino. E per questo motivo in Virginia nessuno fra la gente comune lo vorrebbe vivo e mantenuto a spese del «tax payer», il cittadino che paga le tasse, un commesso viaggiatore con l'ansia della vecchiaia e dell'assicurazione sulla salute, elettore del governatore George Alien il quale conquistò il Capitolium di Richmond con lo slogan «I criminali pagheranno tutti il loro conto e vi assicuro che nessuno di loro uscirà di galera per buona condotta». Parole che in un Paese in cui contano e votano le paure delle donne sole, dei vecchi fragili e di milioni di bambini e ragazzi, producono consenso a pollice verso. Questa è l'amara realtà, ovvero la realtà. E' quindi quasi impossibile che Geroge Alien conceda la grazia, o se mai lo farà, lo farà per qualche complicato calcolo politico. La Virginia è uno Stato popolato largamente da neri. E gli afro-americani non perdonerebbero mai il loro governatore se decidesse di liberare come Barabba un bianco, per di più già condannato per altri reati di sangue, fra cui stupro e omicidio. Quando andai per la prima volta a Greensville nello scorso mese di dicembre, quando l'esecuzione fu sospesa, un capo delle guardie carcerarie, alto e color asfalto, mi disse con tono gelido: «Non è mai successo, mi corregga se sbaglio, che voi italiani e cattolici in generale abbiate adottato per le vostre campagne un disgraziato nero, fra le centinaia che vengono mandati qui per essere soppressi come cani. Saprebbe spiegarmi che cosa ha di speciale il vostro O'Dell, sir?». Spiegai quel che mi aveva detto un nostro diplomatico: O'Dell aveva potuto contare sulla passione generosa del figlio di una personalità politica italiana, che aveva preso a cuore la faccenda e l'aveva fatta prendere a cuore anche a giornali e telegiornali. Il sottufficiale mi guardò perplesso e non disse altro. Credo che in queste ore si stia augurando che O'Dell venga sacrificato nella stanza della morte, preceduto dal grido reso celebre dal film: «Dead man walMng, arriva il morto che cammina». Tutti i giochi sembrano tristemente fatti e lo stesso Leoluca Orlando, che ha cercato di entrare nel Green- sville Correctional Centre, è stato respinto e lasciato in albergo «per motivi di sicurezza». Nessuno entra nel carcere. Specialmente gli italiani, che in questa vicenda si sono comportati, dal punto di vista americano, in una maniera illogica e dal punto di vista dei Capps, la famiglia della donna il cui omicidio è stato attribuito a O'Dell, irritante e quasi indecente. Emily, la madre ottantenne di Elen Schartner, grida che il condannato a morte innocente non è O'Dell, ma la sua povera figlia il cui sangue fu trovato «a pozze» nella macchina dell'uomo che oggi attende la morte per iniezione letale. Gail Lee, la sorella, guarda l'orologio sperando che nessuno sottragga alla pena «il condannato a morte più famoso del mondo». Intanto O'Dell sta subendo una violenza che secondo gli americani dovrebbe essere proporzionale al suo debito con la società, cardine della società americana: il comandamento della retributìon, che non è esattamente l'occhio per occhio, ma piuttosto del chi rompe paga: chi rompe (nell'immaginario morale americano, prima ancora che nelle leggi) deve pagare comunque e indi¬ pendentemente dai suoi sentimenti, perché nulla può essere distrutto o rubato senza che poi se ne esiga la retribuzione, la restituzione in valore. Paradossalmente, lo stesso cardine psicolgico ed etico che spinge Joseph O'Dell verso la croce in cui gli saranno piantati i chiodi delle fleboclisi, fa adottare dagli americani (che per questo le trovano naturalissime e anzi ovvie) le leggi che impongono l'embargo a Cuba, colpevole non di comunismo, ma di avere sequestrato, senza pagarne il controvalore, beni di proprietà americana ai tempi della rivoluzione. Ecco perché nove americani su dieci non trovano l'embargo, come la pena di morte quando si deve dare «retributìon» semplicemente naturale, come il fatto che l'acqua scorra verso il basso e non verso l'alto. E' qui che la mentalità latina e cattolica, che si astiene dal giudicare e dal condannare, che presume l'intangibilità del malvagio, entra in conflitto con i secondini di Greensville, con il governatore Alien, con il suo assistente Mark Christie, con la popolazione nera dello Stato, con la magistratura, i giornali e insomma l'intera società civile di questo posto austero e depresso. Qui nessuno si sbraccia per ottenere il test del Dna sullo spenna trovato nel corpo di Elen, semplicemente perché qui a nessuno importa che la vita di un pericolo pubblico venga salvata, col rischio che uccida altri innocenti. Da notare che oggi l'ultima tenue speranza è affidata proprio a questo argomento: se la giuria che condannò a morte O'Dell avesse saputo che comminandogli l'ergastolo non ci sarebbe mai stato rischio di una sua scarcerazione (tante sono le pene che deve scontare), allora forse quella giuria si sarebbe contentata del carcere a vita. Una legge successiva rese obbligatorio far conoscere alla giuria queste notizie, ma al povero O'Dell non è stato riconosciuto il valore retroattivo della legge. Il prezzo che O'Dell, innocente o colpevole che sia, sta in queste ore pagando, è quello della (cretribuzio ne» mostruosa con sofferenze inde scrivibili. Hanno provato in tanti a raccontare e immaginare l'angoscia, l'ansia, il tormento, il terrore, il ma loro fisico, lo stato di indescrivibile incredulità, il sudore, le palpitazioni, la cefalea, la diarrea, il bruciore degli occhi di un essere umano, per crudele e colpevole che sia, che aspetta l'o ra, la sua ora. Ma nulla può eguaglia re il suo grido di dolore: «Mi hanno privato del mio spazzolino, mi impe discono di parlare nelle ore che mi spettano, mi rimbambiscono di Valium costringendomi allo sciopero della fame per restare sveglio e gridare la mia innocenza un attimo pii ma di morire, mi torturano bloccan domi le telefonate, mi isolano nell'u nico momento in cui un morituro ha diritto alla compagnia, al conforto: sto pagando la solidarietà ricevuta, sono furiosi perché in tanti si danno da fare per me». In questo momento Joseph O'Dell sa, e suda sangue. E con lui, ignoti e sottratti alla pubbli cita, in questo stesso momento ven gono mandati a morte una decina di cinesi con un colpo di pistola alla nuca sull'alto di una collina, soltanto nella provincia di Bejing: per loro non si muove nessuno, come mai nessuno si è mosso per tutti coloro che vengono uccisi nelle Repubbli che ex sovietiche, con la pietosa tee nica del vero morto che cammina e che viene soppresso nel corridoio a revolverate, senza preavviso. Intanto i legali di O'Dell, Bob Smith e Paul Enzinna, sono stati ricevuti dal por tavoce del governatore, Christie, Gentilissimo, paziente, ha ascoltato tutto, si è fatto ripetere tutto. Poi con un sorriso cortese e indecifrabile li ha congedati. E' il rituale di una visita inutile. E la sabbia seguita a scorrere nella clessidra di Joseph O'Dell. Paolo Guzzanti Il governatore George Alien

Luoghi citati: America, Cuba, Richmond, Virginia