«L'ex pm? Lo vidi quando mi arrestò» di Paolo Colonnello

SECONDO ROUND PER CHICCHI «L'ex pm? lo vidi quando mi arrestò» Pacini: ebbi rapporti soltanto con D'Adamo SECONDO ROUND PER CHICCHI BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO Antonio Di Pietro? «L'ho visto solo una volta, in tribunale, quando mi arrestò». Torna a Brescia Francesco Pacini Battaglia, il banchiere italo-svizzero accusato di aver versato soldi a Di Pietro per aggiustare i suoi processi attraverso il binomio Antonio D'Adamo e Giuseppe Lucibello. Torna e smentisce D'Adamo ricostruendo, contabili alla mano, il giro vorticoso di quei 12 miliardi, che secondo lui l'ingegnere avrebbe utilizzato per pagare i creditori della Gruppo D'Adamo Editore. Altro che Antonio Di Pietro. Un'operazione di finanziamento cui Pacini venne convinto facendogli balenare la possibilità di entrare nei (solo apparentemente) più sostanziosi affari della Sii: l'appalto da 9000 miliardi per l'oleodotto in Libia. In altre parole, Pacini continuerebbe a sostenere che nei suoi affari con D'Adamo l'ex magistrato non aveva nulla a che spartire. Una versione già raccontata anche nel novembre dell'anno scorso davanti ai magistrati di La Spezia, con l'aggiunta di qualche particolare finora inedito. Il primo: Pacini e D'Adamo si sarebbero conosciuti nel '92, sempre per questioni riguardanti la Sii e non nel '93 nello studio deU'awocato Lucibello. E dunque quando D'Adamo si presentò da lui per chiedere il finanziamento, non avrebbe avuto alcun bisogno di far riferimento a Di Pietro, come invece avrebbe raccontato nel verbale deU'8 luglio scorso. Il secondo: prima di quel finanziamento, sempre nel '93, Pacini fece un prestito di oltre due miliardi a D'Adamo, con un versamento dalla Karfinco, la sua banca, a un conto della Sii a Lugano. Prodromo del successivo finanziamento da 12 miliardi, tanto che il prestito, disse Pacini, gli venne restituito. Per Pacini ieri sono state altre cinque ore d'interrogatorio, «che di più non può fare perché è molto stanco e malato di cuore», spiega il suo avvocato Rosario Minniti. Così nel confronto al ralenti con i pm bresciani, che proseguirà per altri due round è tutto un minuzioso disarticolare di circostanze, tempi, conti e documenti. Di Pietro in realtà rimane sullo sfondo, tanto che, a quanto pare, a Pacini non sono state poste ancora due domande: se quei soldi servivano per acquistare la benevolenza dell'ex pm e se quindi fu Di Pietro a mandarlo da D'Adamo. Per ora i magistrati non sem- brano convinti della ricostruzione fatta da Pacini sul finanziamento da 12 miliardi a D'Adamo. Nella loro richiesta di proroga i pm ricordano infatti che il primo versamento di 3 miliardi da Pacini alla D'Adamo Editore avvenne nel giugno '93, tre mesi dopo la scarcerazione del banchiere arrestato da Di Pietro. Dalla rogatoria svizzera è inoltre emerso che la Morave Holding, riferibile a Pacini, fornì il prestito di due rniliardi e 770 milioni alla D'Adamo Edito¬ re quando questa entrò in amministrazione controllata. Ed è vero che venne restituito ma Pacini sottoscrisse però «la postergazione del credito ed addirittura la rinuncia degli interessi». Insomma un'operazione tutta da verificare. Il rapporto con D'Adamo, raccontò Pacini nel verbale del 12 novembre scorso a La Spezia, era nato dall'interesse del banchiere per gli affari della Sii, la società di costruzioni per la quale, così sostiene anche adesso a Brescia, si decise a finanziare con 12 miliardi D'Adamo nel '93-94. La Sii a Pacini era già nota fin dalla fine degli Anni 80 perché, prima di essere ceduta a D'Adamo nel '91, era di proprietà di un tale ingegner Profeta che aveva aperto un conto presso la Karfinco, la banca d'affari di Chicchi. Inoltre «questa società lavorava specificamente in Libia e anche un po' in Algeria, ed erano Paesi che a me interessavano. Poi per un po' di tempo questa società l'ho persa di vista... Non mi ricordo la data esatta, ma scoprii che era diventato proprietario di questa società il D'Adamo e fu in quell'occasione che lo conobbi, inizio o metà del '92...». Così, racconta Pacini, quando rivide D'Adamo nell'ufficio di Lucibello, «nel pieno di Mani pulite, gli spiegai il mio interesse specifico sulla Sii. Lo vidi due o tre volte nell'ufficio di Lucibello, una volta o due, poi l'ho rivisto diverse volte...... E' in questo periodo che Pacini fece il prestito, restituito, di due miliardi. «Questo - proseguì il banchiere - fu il primo rapporto. Io ero sempre più interessato alla Sii e allora D'Adamo mi disse, va bene, con la Sii si può fare qualcosa insieme, ma lei mi deve aiutare, perché mi deve comprare la D'Adamo editore». Nacque in questo modo il finanziamento da 12 miliardi. Pacini racconta anche che il versamento fu fatto «insieme a dei miei amici libici» interessati alla Sii. Un affare un po' rischioso, lo de- finì il pm Cardino, senza garanzie. «Sicuramente - rispose Pacini - ho fatto un finanziamento a rischio, tant'è vero che ho preso un bidone, ma nell'ambito degli affari, s'intende quando sono di questa portata, il finanziamento a rischio è un finanziamento a rischio, ma se il finanziamento le va bene, lei ci ha una società che da 50, 100 miliardi, fattura per 700...». Paolo Colonnello «Ma c'è anche un'altra condizione: le indagini di Brescia dovranno chiarire tutto» A sinistra: il banchiere italo-svizzero Pierfrancesco Pacini Battaglia A destra: l'impresario edile Antonio D'Adamo

Luoghi citati: Algeria, Brescia, La Spezia, Libia, Lugano