Verde, bianco, rosso... e stressato di Filippo Ceccarelli

Alterne fortune della bandiera nazionale: dai baci di Pertini alle irrisioni Alterne fortune della bandiera nazionale: dai baci di Pertini alle irrisioni Verde, bianco, rosso... e stressato CROMA OMUNQUE è stato un periodo stressante, per il tricolore, e non è ancora finito. Il rischio, adesso, è che riparta al Senato il debordante ostruzionismo della Lega che alla Camera, in un accesso di opposizione onirico-pagliaccesca, pretendeva l'esposizione della bandiera italiana nei cimiteri, presso le rivendite ambulanti dei biglietti delle lotterie nazionali, nei giardini pubblici, nelle piscine, nei luna park e su tutte le spiagge interessate da sbarchi di immigrati clandestini... Non se l'era mai vista così brutta, il tricolore, come nell'anno del bicentenario, stretto fra le astrattezze di un europeismo arido, gene¬ rico, e le irrisioni del Borghezio di turno che durante le celebrazioni del gennaio scorso a Reggio Emilia - inesorabilmente retoriche - lo nominava «simbolo di spaghetti, ma soprattutto di mafia». Povera bandiera, in fondo, «straccetto penzulo al pennone» come l'aveva chiamato il maestro Muti, con la morte nel cuore, davanti al sindaco di Milano Formentini. Simbolo già nato in umiltà, dimenticato 1>er anni, talvolta anche viipeso, e poi ripristinato di rimessa, senza crederci troppo, per pura reazione anti-bossiana. Stoffa rappresentativa d'una incerta identità nazionale, pretesto di vizi sbiaditi, ormai, e stinte virtù. «Ha fatto un buon e un tristo lavoro, il tricolore»: così l'ha messa il poeta Mario Luzi. Bandiera amata, sì, eppure sempre con tenue predilezione anti-retorica. Quando, cinquant'anni fa, nella sala della Lupa di Montecitorio venne proclamata la Repubblica,, quasi non s'era posto il problema, e solo ali ultimo comparve un drappo stinto, preso in prestito dal mausoleo garibaldino del Gianicolo. Il verde e il rosso erano a posto; il bianco era ricucito su una rete di garza. Trent'anni dopo, passando in rassegna picchetti d'onore, il presidente Pertini prese a baciare tricolori: fu considerata una stranezza, o un'«americanata». Il governo di Craxi si limitò a far emettere un francobollo ce¬ lebrativo. Prima che fosse applicato al socialismo bettiniano, oltretutto, «tricolore» era un aggettivo su cui sembrava avere il monopolio Almirante, con le sue «piazze tricolori», «feste tricolori» e bandiere tricolori da contrapporre alle rosse. L'unità d Italia, del resto, nessuno la metteva in questione, a quei tempi. E a parte Cossiga, che è un noto vessillologo, i democristiani al governo non hanno mai avuto grande sensibilità per i simboli, di stoffa o di tela che fossero. Se oggi si riparla del tricolore, e addirittura si sente il bisogno di codificare una normativa al riguardo, è grazie a Bossi e alla sua ruota solare verde in campo bianco. «La simbolistica - ha spiegato il professor Miglio - è legata alla vittoria e al successo». Da sempre i leghisti adorano gli emblemi, ì guidoni, i sacri tessuti di una patria anche più incerta di quella italiana. In qualche modo occorreva reagire: sullo stesso terreno, anche se non sullo stesso piano. E perciò, per quanto bizzarra nei suoi rinvii ai sensi dell'articolo tal dei tali, seppur freddamente servita sotto forma di codicilli, la legge sull'esposizione della bandiera italiana assieme a quella europea ha tutta l'aria di una riscossa simbolica. Si spera solo che non crei ulteriori grane. Sull'efficacia emotiva ed applicativa di una legge ad hoc, in effetti, è difficile dare un giudizio. Vale giusto la pena di ricordare che nel marzo scorso, un anziano custode di una sala del sestiere di Cannaregio, a Venezia, il signor Virgilio Bubacco, si oppose a che i leghisti togliessero il tricolore, e dopo una discussione ebbe un ictus cerebrale. Una piccola storia triste che fa pensare ai doveri e alle passioni che si nascondono dietro un panno. Filippo Ceccarelli

Persone citate: Almirante, Borghezio, Cossiga, Craxi, Formentini, Mario Luzi, Pertini

Luoghi citati: Italia, Milano, Reggio Emilia, Venezia