«Chiedo all'Italia un patto per lo sviluppo»

«a settembre presenterò un super-piano, spero nell'aiuto di tutti. Il Paese non deve rilassarsi» «a settembre presenterò un super-piano, spero nell'aiuto di tutti. Il Paese non deve rilassarsi» «Chiedo all'Italia un paltò per lo sviluppo» Prodi: Di Pietro l'ho voluto io, non sarà un problema ROMA. Troppa grazia! Va bene che l'Italia va ed è in buona salute, ma i nostri titoli non possono correre così tanto, bisogna che si fermino a un certo punto!». Sulla scrivania di Romano Frodi plana il lancio della Reuter, che scolpisce il record storico del nostro Btp, il cui rendimento è arrivato a soli 87 punti da quello del Bund tedesco. Il presidente del Consiglio è soddisfatto, molto più che contentino, stavolta. Non si lascia travolgere dai facili entusiasiasmi, né dall'euforia per questi mercati che, come diceva ieri un operatore, «si stanno comprando l'Italia»! Ma adesso, nel futuro del governo, comincia a vedere anche lui, come Andreatta qualche mese fa, le «verdi vallate» dell'Euro, dei bassi tassi di interesse, della bassa pressione fiscale, e dunque della crescita. Non vede affatto, viceversa, le sabbie mobili delle riforme istituzionali o della giustizia, né la giungla dove il futuro senatore Di Pietro, «tigre di carta» secondo Berlusconi, preparerà le sue imboscate. «Su Di Pietro non ci sono problemi dice - troppa gente dimentica che è stato un ministro di questo governo dell'Ulivo. Per questo ho dato per primo la mia disponibilità all'operazione». Dallo studio del premier sono appena usciti Mario Monti ed Emma Bonino, i nostri commissari europei a Bruxelles, con ampi sorrisi stampati sul volto. Cos'è, presidente, dopo quelle del «Financial Times» i commissari Monti e Bonino le hanno portato anche le felicitazioni della commissione Ue? 0 le hanno allegramente comunicato che nonostante tutto non entreremo in Europa? «Né l'uno né l'altro. E' stata una riunione utile, lei pensi che era la prima volta che incontravo insieme i due commissari». Ma Monti le avrà almeno spiegato la teoria del complotto • franco-tedesco, che, ruota intorno al nostro debito pubblico troppo alto? «Ma,no, quale complotto! Il complotto'non esistei esiste invece il debito, questo sì, ed è chiaro che va tolto di mezzo. Ci vorrà tempo, ci vorrà una virtù che deve durare negli anni, ma il complotto contro di noi non può esistere anche perché sarebbe basato su un'obiezione fasulla: è vero che il debito è alto, ma noi in Europa ci entriamo, oltre che con quel debito con la gran massa dei nostri rispanni, che in Europa non ha nessuno». Insomma, presidente, a questo punto sarà difficile riuscire a farci fuori da Maastricht? «Io ho già detto un anno fa che avevamo il cento per cento delle probabilità di entrare nell'Unione monetaria. Oggi le nostre chances, a livello internazionale, se possibile sono ancora aumentate, e gli stessi mercati ci credono con convinzione, come dimostra l'andamento della lira e dei Btp». E come dimostrano anche i fatti francesi dell'altro ieri: la manovra di Jospin porterà il deficit al 3,2 per cento, e ciò nonostante la Francia si considera dentro. A maggior ragione ci saremo noi, no? «E' chiaro. Vede, la sinistra francese ha scelto l'unica strada realistica, quella del risanamento. Ma più che su questo io penso sia utile riflettere su un altro fatto: perché cioè in questa fase storica, in cui le opinioni pubbliche europee capiscono che quella è la priorità, si affidano a governi di centrosinistra per realizzarla?». Già, perché secondo lei? «Nell'esperienza italiana come in quella francese l'elettore capisce che solo un governo di centrosinistra dà garanzie di raggiungere gli equilibri economico-finanziari rispettando i princìpi dell'equità, della solidarietà e della coesione sociale. E questo li rassicura». Anche se carica voi governanti di responsabilità maggiori... «E' vero, ma anche in questo siamo stati in qualche modo pionieri. Quando è nato l'Ulivo eravamo davvero, come ha detto Ciampi, il pulcino nero d'Europa. C'era diffidenza sulla struttura dell'alleanza, altro che se c'era! Poi c'è stato Blair: era scontato che vincesse, ma nessuno immaginava un trionfo di quella portata. E poi è arrivato Jospin. E tutte e tre le esperienze di governo nascono da una matrice comune: un'alleanza riformista post-muro di Berlino, cioè post-comunista. Questo è il fatto positivo, per l'Italia di oggi. Noi siamo al centro di un percorso politico che sta investendo l'Europa. Questo ci dà forza, insieme alla consapevolezza di essere stati i precursori. Poi è chiaro che nel resto del mondo e ne gli Stati Uniti in particolare, il mo dello è Blair, perché in questo mio vo corso politico del centrosinistra lui ha avuto meno problemi di mediazione. Ma il filone, tra Gran Bretagna Francia e Italia, è lo stesso». Ma adesso su Maastricht ci possiamo considerare avvantaggiati rispetto alla Francia, che ad esempio la manovra aggiuntiva l'ha appena varata? «Certo noi la nostra eurotassa e l'aggiustamento dei conti li abbiamo già varati, e questo è effettivamente un punto a nostro favore. E' altrettanto certo che da noi resta il problema, al quale non dò comunque un'accezione negativa, della continua mediazione politica in ogni decisione del governo. In questo, per la verità, siamo ancora diversi da Francia e Germania». Siamo al cuore del problema italiano, l'anomalia di Rifondazione comunista. «Non creda, il problema delle mediazioni non riguarda solo Rifondazione comunista, ma tutto l'assetto della politica italiana, e dei suoi processi decisionali». D'accordo, ma nonostante i passi avanti il fattore Bertinotti non è stato rimosso, non è al governo come in Francia Hue, non si assume responsa- bilità, ma è spesso elemento di freno per la coalizione come lei stesso ha detto in passato... «Guardi, a conti fatti posso dire che Bertinotti è stato fedele e coerente col patto di governo, votando con noi misure per centomila miliardi. Certo momenti di tensione ci sono stati, fasi nelle quali Rifondazione è stata un freno oggettivo: penso all'Albania per esempio. Ma nell'insieme Bertinotti ha reso più complessa l'azione di governo, e non l'ha impedita. Certo, la dialettica ha giovato anche a lui. Anche Rifondazione, come è giusto che sia, ha tratto benefici dall'azione di governo, e non ne è stata punita. Del resto questo era esattamente il nostro obiettivo: perché se avessimo agito punendo Bertinotti, non avremmo mai avuto la sua disponibilità a fare tutto ciò che ha fatto. C'è poco da discutere, una coalizione funziona e sta in piedi se consente a tutti di rafforzarsi, altrimenti salta». Va bene presidente, ma ora lei non teme che visti i buoni risultati ottenuti, il Paese si rilassi? «E sì che lo temo! Per questo continuo a ripetere che non dobbiamo abbassare la guardia. La gente deve capire che più che i successi di breve periodo contano le performances di medio-lungo termine. Noi dobbiamo fare una finanziaria che rispetti gli obiettivi del documento di programmazione, dobbiamo concludere la trattativa sul Welfare State entro il mese di settembre. Il pilastro è quello: un bilancio sano, a questo dobbiamo arrivare», n calo della pressione tributaria quando verrà? «Intanto cominciamo col dire che dal 1° gennaio 1998 l'imposizione sulle imprese inizierà a diininuire, e così la tassazione sul lavoro. Tuttavia deve essere chiaro che la stagione dei sacrifici non si può considerare finita, è lunga ed esige perseveranza». Ma lei è sicuro che entro settembre chiuderemo la trattativa sullo Stato Sociale in tempo per la finanziaria? «Non è un vincolo giuridico, ma è un vincolo reale. Se mettiamo la riforma nella finanziaria diamo sicurezza ai mercati, ed è così che creiamo la tranquillità anche per noi stessi sul nostro ingresso in Europa». Eppure la scomposizione della trattativa in tanti tavoli è sembrata una manovra dilatoria. E' così? «La scomposizione non è in tavoli, ma in problemi. Ed è essenziale perché solo così le parti sociali avranno chiaro ciò che va fatto su ogni singola tessera, e poi saranno pronte a ricomporre il, mosaico di una riforma che si tenga insieme, e che soprattutto serva al Paese e alle future generazioni». Presidente Prodi, sulle pensioni però Decoreranno fare tagli. Questo prima o poi bisognerà dirlo... «Gli obiettivi sono scritti nel documento di programmazione. Più che tagli bisognerà limitare la crescita delle spese rispetto al Pil. L'ho detto con lealtà nel documento presentato all'inizio della trattativa: il Paese deve arrivare a questi risultati, come raggiungerò lo stiamo decidendo insieme. Ma che si debba arrivare lì, cioè a una razionalizzazione della spesa pensionistica, lo sappiamo tutti». La sensazione è che Rifondazione comunista e i sindacati, alla fin fine, siano già d'accordo perché non hanno altra via d'uscita: non possono permettersi il rischio di una rottura, che determinerebbe la caduta del primo vero governo di centro-sinistra in Italia... «Sbagliato. Questa è una trattativa difficile, può rompersi ancora tutto. Per questo, da oggi in poi, investirò tutte le mie risorse, politiche ed emotive, su questo tavolo. Lo ripeto: dobbiamo portare a casa una buona riforma per il bene del Paese, per questo insisto con l'invito a non mollare, che rivolgo a tutti. Allo stesso modo, a tutti voglio ricordare una cosa: la stagione delle spese fàcili è finita. Noi abbiamo vincoli di bilancio che intendiamo rispettare sino in fondo. Anche se non vogliamo rinunciare allo sviluppo, ma dobbiamo farlo con oculatezza. Sa, a me piacerebbe una politica keynesiana classica, che attraverso la spesa pubblica sostiene il reddito, ma oggi non è possibile farla. Detto questo...». Detto questo? «Detto questo, dopo le ferie estive comincerà quella che io chiamo la fase del denominatore, cioè della crescita. Finora abbiamo privilegiato, com'era logico e giusto, la strategia dell'abbattimento del numeratore, cioè il deficit. Ora dobbiamo far crescere il denominatore, incentivando lo sviluppo e arginando la disoccupazione». Auguri. E come farete, senza allargare i cordoni della spesa? «In autunno proporremo al Paese le prime coordinate di un nuovo patto per lo sviluppo. Le aree di intervento sono tre. La prima l'ho già annunciata: dobbiamo imbiancare l'Italia. C'è un piano quadriennale di incentivi all'edilizia, che vuol dire aiuti a chi ristruttura la casa, ma anche piani di disinquinamento, di pulizia delle periferie urbane, di smaltimento dei rifiuti. A questo progetto attribuisco un'importanza socio-culturale, oltre che economica, perché è un progetto che lanciamo in un momento in cui il nostro Paese ha purtroppo raggiunto il minimo della sua crescita demografi- ca. Il secondo punto è la ricerca e l'innovazione: su questo siamo più indietro e faremo più fatica, ma anche lì serviranno incentivi fiscali alle imprese che investono. Il terzo e ultimo punto, il più difficile, è la liberalizzazione dei servizi nel terziario, l'eliminazione di lacci e lacciuoli all'economia». Ma non c'è liberalizzazione senza privatizzazioni. E su questo le critiche al governo rimangono: non è stato fatto molto. Cosa risponde? «Che dovevamo fare di più? Il San Paolo, la più grande banca italiana, è privata, presto toccherà anche alla Cariplo, in autunno faremo la Stet, e a ruota le Autostrade. Non basta?». Siete stati timidi sull'Eni, però: vista la richiesta record sul mercato, potevate vendere più quote... «Sì, io ci ho pensato a lungo. Avevo avuto richieste per aumentare l'entità della terza tranche. Ma alla fine ho preferito rispettare, e lo dico con franchezza, un accordo di coalizione che avevamo raggiunto riguardo appunto al collocamento della terza tranche dell'Eni.Violarlo poteva ri- mettere in discussione l'intero processo di privatizzazione, e poiché io attribuisco alla globalità di questo processo un'importanza strategica per il Paese, questo rischio non ho voluto correrlo». Gli industriali, dopo la fase dello scontro frontale col governo, ora si sono un po' calmati. E' tregua armata, o cos'altro? «Gli industriali hanno finalmente superato il momento conflittuale, che ho trovato francamente ingiustificato. Anche se ho capito Fossa, perché anche la Corifindustria ha i problemi di ogni grande organo di rappresentanza degli interessi, cioè i problemi di leadership, di equilibri non sempre facili tra grandi e piccoli. L'importante è che oggi ci sia un rapporto corretto e di rispetto: gli industriali tutelano i propri interessi, fanno le loro proposte e aspettano quelle del governo prima di giudicarne l'azione». Un altro rapporto difficile è quello tra voi e il governatore della Banca d'Italia Fazio. Perché questo continuo tira e molla? «Ma non c'è nessun rapporto difficile! C'è dialettica, perché la Banca d'Italia ottimizza una funzione sola, cioè il contenimento dell'inflazione, mentre il governo ha responsabilità globali, più estese: oltre all'inflazione, anche il bilancio pubblico, l'occupazione, l'equità». Eppure, sulle tasse... «Ecco un altro esempio, anche questa è una nostra responsabilità, quella di non massacrare il Paese col prelievo fiscale: noi, e solo noi, la portiamo direttamente sulle nostre spalle, e quindi dobbiamo tenerne conto. Ma che ci siano diversi punti di vista è utile, fa parte della dinamica democratica. Purché governo e Bankitalia non invadano il campo delle rispettive scelte, e questo devo dire la verità, finora non è mai accaduto nel corso della legislatura». Sarà, ma sul livello dei tassi d'interesse il dissidio appare ancora forte, no? Gli ultimi dati dell'inflazione di luglio sembrano dimostrare che la guerra dei prezzi è pressoché vinta: vi aspettate, a questo punto, un nuovo calo dei tassi ufficiali? «La guerra dei prezzi non è ancora finita, basta un contratto sbagliato, una decisione tariffaria fuori linea, uno choc esterno, e i prezzi ripartono. Detto questo, i dati sull'inflazione di luglio dimostrano che le battaglie che abbiamo fatto finora hanno avuto successo. Ora, è naturale, per il governo, nutrire una speranza: e cioè che la perseveranza dei nostri comportamenti antiinflazionistici ottenga il premio dovuto. Ma per carità, non voglio esagerare: va bene il "contentino", non punto ad essere "contentone"». Insomma Presidente, lei non vede problemi all'orizzonte per il governo. Persino D'Alema, dopo le critiche, è dovuto venire a Canossa, no? «Ma no, guardi che con D'Alema non c'è mai stato conflitto. Anche lì qualche divergenza d'opinione, ma mai nulla che potesse far pensare a fratture insanabili. Certo è vero che ora l'asse politico tra governo, pds e tutti gh altri partiti della coalizione si è oggettivamente rafforzato». Non vi ha divisi nemmeno il caso Di Pietro, sul quale lei ha mantenuto un silenzio per così dire sospetto? «Guardi, su Di Pietro mi colpisce la polemica di questi giorni. Certa gente sembra dimenticare che lui è stato ministro di questo governo e mai un solo atto rninisteriale è stato in antitesi con la nostra linea. Quando ha lasciato il dicastero dei Lavori Pubblici sono fioccati mille interrogativi su presunti scontri fra di noi. Ma quando mai? Abbiamo avuto qualche discussione sulla Variante di valico, ma è questo che conta? E' questo che può far marcare una differenza di visione politica?». Quindi nella sua candidatura lei non vede rischi per l'Ulivo? «No, la considero una scelta naturale, ed è anche per questo che ho dato per primo la mia disponibilità all'operazione». E non la preoccupa nemmeno Berlusconi, che adesso promette sfracelli e vuol ridiscutere persino l'accordo in Bicamerale? «Francamente no, non mi preoccupo. Tra una ventina di giorni si va in ferie. In venti giorni può ancora accadere di tutto, ma quello che si poteva e si doveva fare per preparare un periodo di ferie politicamente non turbolente lo abbiamo fatto. Per questo, almeno in vacanza, possiamo andare tranquilli». Massimo Giannini 66 Oggi, l'asse politico conD'Alema e gli altri partiti della coalizione si è rafforzato ipiy 66 Tonino è stato un mio ministro Abbiamo avuto alcuni scontri Nulla di grave H 66 «Fossa? Le proteste erano ingiustificate Però lo capisco, anche Con/industria deve avere i suoi problemi dileadership...» ipjj 66 Fazio? Niente liti soltanto dialettica Né il governo néBankitalia hanno mai invaso il campo dell'altro p p i t Noi siamo stati ipionieri Quando è nato l'Ulivo era il pulcino nero d'Europa, come diceva Ciampi. Dopo sono arrivati Blair e Jospin... ■ jj 66 Ci sono stati contrasti, ma posso dire che Bertinotti è stato fedele e coerente con il patto di governo Ha votato con noi misure per centomila miliardi j y politico conD'Alema e gli altri partiti della coalizione si è rafforzato ipiy un mio ministro Abbiamo avuto alcuni scontri Nulla di grave H l presidente del Consiglio Romano Prodi Nelle altre foto: D'Alema, Di Pietro, Fossa, Fazio, Ciampi e Bertinotti ppvssppbb Il presidente del Consiglio Romano Prodi Nelle altre foto: D'Alema, Di Pietro, Fossa, Fazio, Ciampi e Bertinotti