Veltroni apre la campagna d'Oltreoceano di Fabio Martini

Veltroni apre la campagna d'Oltreoceano Cosa cambierà la legge sul voto agli italiani emigrati all'estero, tradizionale feudo della destra Veltroni apre la campagna d'Oltreoceano Iprimi comizi della sinistra nel «collegio» America Latina MONTEVIDEO DAL NOSTRO INVIATO Nella vecchia casa di Anita e Giuseppe Garibaldi, Walter Veltroni sta ascoltando l'inno garibaldino con un filo di imbarazzo sul viso. Accanto a Veltroni tanti occhi lucidi: c'è l'ambasciatore italiano in Uruguay che canta e c'è una decina di anziani signori con camicia rossa e penna in testa. Finito l'inno si sente un urlo, una specie di bomba sonora: «Viva Garibaldi!» e tutti si voltano verso il solitario urlatore. Un operatore della Rai che ha perso l'attimo, gli sussurra all'orecchio: «Me lo rifai?». E così, mentre l'ambasciatore Egone Ratzemberger sta iniziando il suo fervorino, si sente un nuovo urlo: «Viva Garibaldi!». Un signore ben vestito si avvicina all'urlatore e gli bisbiglia: «Beh, ora basta...». Di personaggi così - bizzarri, ma anche commoventi - Walter Veltroni ne ha incrociati tanti in questa sua missione in America Lati¬ na, la prima nel corso della quale un leader della sinistra si è accostato al mondo dell'emigrazione italiana all'estero, da decenni coltivato dalla destra. Eppure, in questo mondo, fatto di sentimenti e promesse disattese, sta per maturare una rivoluzione: è in dirittura d'arrivo la legge sul voto agli italiani all'estero, una legge che farà lievitare di ben 3 milioni il corpo elettorale. Gli emigrati avranno 20-25 parlamentari tutti per loro, eletti nella «circoscrizione estero». E così, tra un incontro ufficiale e l'altro, Veltroni ha di fatto aperto la campagna elettorale nel «collegio» America Latina. Con due «comizi» - uno a Buenos Aires e uno a Montevideo - che sono stati sotterraneamente boicottati da alcune delle associazioni italiane locali. Al teatro Coliseo di Buenos Aires - notava chi è qui da anni - c'erano 8-900 italiani invece dei 1400 per Scalfaro, c'erano gli striscioni degli emiliani e dei toscani e non quello dei potentissimi calabresi e anche nella Casa degli italiani di Montevideo non c'era il tutto esaurito: mobilitati soltanto i patronati di centro-sinistra, pur in presenza del numero due del governo italiano. Primi veleni di una campagna elettorale che si preannuncia pirotecnica, tanto è vero che in Argentina è stato registrato il «marchio Forza Italia», senza che nulla ne sapessero in patria e ora se il partito di Berlusconi vorrà utilizzare il proprio logo, dovrà presentarsi con il cappello in mano. E i «comizi» di Veltroni? Certo, il vicepremier ha voluto far sapere di «essersi emozionato», quando ha ascoltato l'inno di Mameli; certo ha parlato in tutti i suoi comizi di «sangue italiano» con un lessico finora sconosciuto a sinistra; ma nei suoi saluti Veltroni non ha vellicato più di tanto l'emotività degli emigrati, snocciolando i dati della ripresa italiana e annunciando che «l'Italia torna ad avere una sua politica estera» organica. Ma in Paesi come l'Argentina e l'Uruguay, dove metà della popolazione è di origine italiana, può accadere di tutto, persino che Veltroni scopra che mezza Montevideo è stata costruita da un suo presunto antenato: l'architetto Juan Veltroni, arrivato da queste parti alla fine del secolo scorso. Certo, in queste lontane storie di emigrazione nulla è certo, neppure che l'architetto Juan sia per davvero un antenato di Walter. «Tre anni fa - racconta il vicepremier mi scrisse un Veltroni dall'Uruguay, un anno fa mi parlò di Juan il presidente uruguaiano Sanguinetti, ma non avendo io un albo genealogico della famiglia non so se l'architetto Veltroni sia per davvero un mio antenato». Obietta un giornalista: «Pare che Juan abbia fatto anche dei brutti palazzoni...». Veltroni scherza: «Se sono brutti, state sicuri non li ha fatti Juan Veltroni...». Fabio Martini