Le contraddizioni della Quercia

Le contraddizioni della Quercia Le contraddizioni della Quercia Giustizia, si rinsalda il ponte con Berlusconi RETROSCENA LE STRATEGIE DI D'ALEMA c ROMA ONTRADDIZIONI pidiessine. In quel consesso di exsocialisti, riuniti insieme ad altri pezzi del riformismo alla convention degli Stati generali della Cosa due, cioè del nuovo partito che nelle intenzioni di Massimo D'Alema dovrebbe riunire tutta la sinistra italiana, l'imbarazzo è palpabile. Quell'imbarazzo ha un nome: la candidatura di Antonio Di Pietro. «Riprendere i voti socialisti con Di Pietro nell'Ulivo? - Gigi Covatta, ex-psi e per mesi ombra di Giuliano Amato, quasi geme -. Non c'è dubbio che è difficile. Speriamo che il personaggio sia metabolizzato presto, che si trasformi in breve nel cognato di Cimadoro. Ci toccherà fare il tifo per Brescia (la procura che indaga sull'ex-pm, ndr)...». Eh già, immaginare di rimettere insieme i pezzi della sinistra, di attirare i socialisti nell'Ulivo dando rifugio a Di Pietro, è una scelta a dir poco paradossale. Non tanto per l'uomo o per l'ex-giudice, quanto per quell'idea di giustizialismo, di populismo di destra che si porta dietro. Di questa incongruenza si sono accorti sia gli exsocialisti che sono nella Cosa due, che quelli, come Del Turco e Boselli, rimasti fuori. Un'incongruenza che ammette anche un pidiessino come Lanfranco Turci, responsabile economico del pds, da sempre innamorato di D'Alema: «E' una contraddizione, inutile negarlo. Speriamo solo in Mao quando dice che il popolo mette insieme le contraddizioni e le risolve». Contraddizioni piddiessine. Mai visto un dirigente di partito sorridere tanto dopo aver perso una battaglia parlamentare. E' il caso di Pietro Folena che ieri pomeriggio, reduce dal voto dell'aula di Montecitorio che ha bocciato l'emendamento della maggioranza sul 513, sprizzava contentezza da tutti i pori. Al punto da mettere lui stesso le mani avanti: «Non facciamo i maliziosi, su un emendamento del genere non si fa una guerra di religione». Eppure, a quell'emendamento i giustizialisti dell'Ulivo ci tenevano tanto. Motivo? Lo spiegavano ieri Antonio Soda e Luigi Saraceni, deputati pidiessini e ex-magistrati, esponenti dell'area «garantista» della Quercia nient'affatto convinta di quella modifica al testo base del 513: «I giustizialisti vogliono quell'emendamento perchè porta una firma che non si vede, quella del procuratore Borrelli». E invece niente: per non rischiare l'accordo in Bicamerale, per non rendere ancora più difficili i rapporti con Berlusconi, questa volta lo stato maggiore pidiessino non ha accontentato l'ala più filo-giudici dell'Ulivo. Si è armato di coraggio. A modo suo, ovviamente: ufficialmente ha appoggiato con Folena l'emendamento in questione, ma poi nel voto la maggioranza dei deputati pidiessini, complici i dirigenti, gli ha sparato contro. D'Alema non si è fatto vedere in aula, Walter Veltroni era in viaggio, Fabio Mussi, il capogruppo, si è astenuto. «E mi sono astenuto ci tiene a precisare quest'ultimo solo perchè non ho voluto infierire sui miei. Certo, noi volevamo tenere insieme la maggioranza, ma in democrazia valgono le regole. Così c'è stato un rapido confronto tra i banchi...». In poche ore, quindi, contraddizioni su contraddizioni pidiessine. Ma forse sono solo apparenti perchè, per ripetere il Mao di Turci, «il popolo mette insieme le contraddizioni e le risolve». Del resto lo faceva pure la de qui da noi. In fin dei conti con un pizzico di cinismo, con una buona dose di pragmatismo, con tanto mestiere di Palazzo e con l'aiuto del tempo che ingoia tutto, si può fare qualunque cosa: cercare di riportare l'elettorato socialista a sinistra e offrire, nel contempo, una candidatura a Di Pietro il carnefice del psi; duellare l'altro ieri con Berlusconi sulla giustizia e il giorno dopo precipitare «dipietristi» convinti come Elio Veltri o quel Giuseppe Scozzali, che è sempre più un'imitazione in sedicesima dell'ex-pm, nella più profonda costernazione per le modifiche approvate dalla Camera al 513. Non lo ammetteranno mai, anzi, diranno l'esatto contrario, ma ieri per la prima volta i dirigenti del Bottegone hanno fatto capire come vogliono «metabolizzare» il «dipietrismo». In pochi giorni D'Alema ha aperto la porta a Di Pietro, si è preso l'onere di portarlo in Parlamento, ha duellato con Berlusconi per lui ma, contemporaneamente, ha aperto la strada alla prima vera vittoria dello schieramento «ga¬ rantista». Insomma, è riuscito a fare tutte e due le cose, a difendere Di Pietro e ad accontentare il Cavaliere, a mettere insieme il diavolo e l'acqua santa. 1 E' riuscito a farlo a costo di tante contraddizioni. Dalla smentita ai giornali di lunedì che avevano solo la colpa di aver riportato un suo intervento alla Festa di Tango, allo strano atteggiamento assunto ieri dal pds sul 513. Un passaggio obbligato, quest'ultimo, dato che dopo lo scontro del week-end scorso nei contatti tra il Bottegone e Forza Italia - cioè tra D'Alema e Gianni Letta - il voto sul 513 aveva assunto un'importanza fondamentale. Era diventato l'unico modo per rinsaldare quel rapporto di fiducia che aveva portato all'accordo in Bicamerale. «E da loro - racconta Donato Bruno, l'esperto di giustizia del Cava- liere -'sonò arrivati segnali che sarebbero stati di parola». Tant'è che ieri pomeriggio, quando Berlusconi ha saputo a Montecitorio che il pds ufficialmente aveva aderito all'«emendamento Borrelli», per usare l'espressione di Soda, non si era impressionato più di tanto. «Sapevo ha confidato poi il Cavaliere - che era solo un richiamo ufficiale, un atto dovuto allo schieramento ma senza conseguenze. La verità è che anche l'arrivo di Di Pietro in Parlamento non cambierà nulla. Dirò di più, si svilupperanno tutta una serie di anti-corpi contro questo campione del giustiziammo e delle manette». Così il Di Pietro-senatore, per assurdo, alla fine potrebbe andar bene anche al Cavaliere. «La storia insegna - sfotte Lucio Colletti, uno dei professori di Forza Italia che i comunisti sanno come triturare la gente anche se con Di Pietro non sarà semplice». L'ex-pm nell'Ulivo non avrà la forza di chi è stato invitato, ma di chi si è presentato alla porta e ha bussato per entrare. Di uno, per dirla con Prodi, che si è «offerto». Augusto Minzolini Il Cavaliere: il Parlamento saprà creare gli anticorpi per difendersi da Di Pietro Il leader azzurro: passo importante per ricostruire lo Stato di diritto Le dichiarazioni fatte in istruttoria non basteranno ma dovranno essere ripetute al processo Il Polo è compatto la sinistra si divide Rifondazione e i deputati della Rete vanno in minoranza IL NUOVO "513' ECCO IN CHE COSA CONSISTE LA-RIFORMA: DICHIARAZIONI Le dichiarazioni rese da un coimputato durante le indagini preliminari dovranno essere ribadite nel corso del processo, altrimenti non saranno utilizzabili, la novità importante perchè oggi le accuse formulate davanti al Pm hanno valore di prova anche se chi le ha lanciate non si presenta al dibattimento o si rifiuta di rispondere. Per impedire che cadano in prescrizione, i procedimenti in corso sono «congelati» per sei mesi: cioè quanto basta a effettuare gli interrogatori richiesti dal «nuovo» 513. STRANIERI Un'eccezione al principio generale riguarda gli stranieri vittime di reato: non dovranno tornare in Italia a deporre, basteranno le dichiarazioni da loro rese in istruttoria. Il leader azzurro: passo importante per ricostruire lo Stato di diritto Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi ILLeaPseUtoLGIl Cavalsaprà cper difen Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi Il procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli

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