«Ma la griffe non ne risentirà» di Maria Giulia Minetti

IL FUTURO «Ma la griffe non ne risentirà» Gli analisti: Gianni? Una perdita solo affettiva IL FUTURO DELLA MAISON «D EVO dire che se c'è un gruppo che ha tutte le caratteristiche necessarie a un successo duraturo, quello è il gruppo Versace. Di più: mi spingerei a sostenere che il problema della scomparsa del fondatore è un problema umano, affettivo, ma non è un problema aziendale». A botta calda, all'indomani della pubblicazione sul «Financial Times» di una lunga analisi del dayafter della maison milanese, Vittorio Giulini, presidente di Moda e Industria; l'associazione italiana degli industriali di moda e maglieria, liquida le conclusioni del giornale finanziario britannico, che prevede un futuro di difficoltà. «Anche per Donatella Versace, che pure è stata al fianco di Gianni per più di un decennio e ne condivide l'esuberante sensibilità», scrive alla fine del suo articolo la giornalista Alice Rawsthorn, «sarà un'impresa difficile tener dietro a un fratello che aveva fatto della propria personalità il punto di forza dell'azienda». Replica Giulini; «Proprio di recente, a Parigi, al Congresso del lusso che s'è tenuto il maggio scorso, s'è giunti alla conclusione che il fattore principale del successo d'una casa di moda sta in un mix di tecnologia avanzata, recupero di abilità artigianali e controllo della distribuzione. Direi che è l'esatta definizione del grup- po Versace, capace di accoppiare a una sperimentazione artigianale sui tessuti e i modelli (pensi, per esempio, alle maghe metalliche) una produzione di serie di grande livello industriale - con fabbriche di proprietà, un altro punto chiave. Aggiunga che il controUo sulla distribuzione è totale, con un'immagine addirittura "architettonica" del prodotto, ottenuta con negozi visivamente identificabili, stilisticamente omogenei». Il «Financial Times» sorvola su questi aspetti per concentrarsi invece sull'appeal della figura di Gianni Versace. Si cita il parere di Peter Wallis, partner della Sru, un'importante società londinese di consulenza manageriale, secondo il quale Gianni Versace è, sì, uno dei pochi marchi noti in tutto il mondo, però «l'identità del marchio è tutta centrata sullo stesso Versace, i divi del rock suoi amici, il glamour del suo milieu». Ma ad ascoltare le opinioni degh industriali del tessile e degh addet¬ ti del settore, le cose non stanno affatto così. Senza nulla togliere all'apporto dello stilista, ormai il gruppo era già un team, sostengono tutti. E si cita, a riprova, la sopravvivenza - e l'espansione - del gruppo Moschino, nonostante la morte del creatore, due anni fa. E anche tornando indietro di decenni, basterebbero i successi di Dior e Chanel a smentire la tesi del declino inesorabile di una casa di moda una volta scomparso il fondatore (e si trattava, comunque, di case mol¬ to più deboli della Versace). Il «Financial Times», per la verità, cita i casi Dior e Chanel - il secondo anche per le difficoltà di assestamento durate qualche anno, e terminate solo con l'ingresso di Karl Lagerfeld - ma sembra credere che i rischi, per la Versace, saranno maggiori. Non si cita nessun fatto, nessun dato, s'insiste solo sulla «carismaticità» insostituibile dello stilista morto. «Ho l'impressione che invece di un'analisi quest'articolo esprima un "wishful thin- king", una speranza», commenta Giulini. Speranza di recuperare il terreno perduto. Il sistema moda era stato lasciato dagli anglosassoni a Paesi che loro consideravano «minori». Adesso si sono accorti che la moda è un fattore di mercato strategico, e si mangiano le mani per il successo italiano. Gli americani si sono buttati nella sfida, basta pensare a Calvin Klein, Donna Karan, Ralph Lauren. Fanno bene, perché la sfida si profila globale, il sistema che riuscirà a imporsi avrà possibilità infinite. Per ora, comunque, i consumatori emergenti hanno in testa solo il «made in Ttaly» (a Bangkok il made in Italy ha un valore d'attrazione 2-3 volte superiore a qualsiasi altro prodotto di moda, ha dichiarato di recente a Giulini il rappresentante di una delegazione thailandese). Non stupisca che un giornale inglese come il «Financial Times» si faccia interprete, sia pur velato, del risentimento americano: Londra è una piazza finanziaria mondiale, è logico che guardi agli Usa più che all'Europa, che ne «senta» con maggior sensibilità gli umori risentiti. Umori condivisi dai francesi. Pierre Bergé, il presidente della Camera della moda di Parigi e socio di Saint Laurent, ha fatto oscure allusioni a «misteri» che circonderebbero il fatturato hi continua crescita del marchio Versace - dai 620 miliardi di lire del 1990 ai 1705 del '96 -, a fronte, sostiene Bergé, d'una clientela scarsa (ha parlato di negozi Versace pertinacemente vuoti). Insomma, l'ombra della mafia sul gruppo... Ma non sarà, invece, l'ombra del livore di Parigi verso Milano? Ancora 15 anni fa la Francia aveva il cento per cento del mercato del lusso, oggi non arriva al cinquanta. Maria Giulia Minetti

Luoghi citati: Bangkok, Europa, Francia, Londra, Milano, Parigi