«Albanesi problema irrisolto» di Vincenzo Tessandori

Nella «repubblica» serba di Bosnia si temono nuovi arresti tra i notabili e i vertici dell'esercito «Albanesi, problema irrisolto» L'ex premier Meksi: resteranno in Italia L'UOMO m BERISHA TIRANA DAL NOSTRO INVIATO I militari della forza multinazionale di protezione se ne vanno: dottor Meksi, che cosa ne pensa? «Perché, ci sono in Albania forze straniere? Dico questo perché nessuno le ha viste, e loro non hanno fatto niente. O meglio: hanno mangiato i soldi dei contribuenti occidentali, garantito all'Osce il risultato delle elzioni. Non sono mai intervenute, hanno fatto vita da spiaggia, insomma, han dato un cattivo esempio di aiuti internazionali, perché sono certo che con quei soldi si potessero fare bene cose, qui da noi». Per una lunga stagione, fra l'aprile '92 e il marzo scorso, Aleksander Meksi è stato primo ministro nel governo dominato dal partito democratico, quello di Sali Berisha. Quando la situazione è precipitata, il Presidente ne ha preteso la testa. Ora lui torna in Parlamento. E dice: «A maggio si voterà di nuovo». Storico dell'architettura medioevale, 58 anni, origini di Argirocastro, una moglie, due figlie e un paio di baffi orgogliosi. Ad ogni buon conto avverte subito che è meglio non crearsi illusioni: «Gli albanesi in Italia ci vanno. Sono cento-centotrentamila, c se li fanno tornare, andranno di nuovo, con problemi per l'esercito e spese per i contribuenti italiani, soldi che meglio sarebbe destinare proprio agli albanesi. Noi veniamo da lontano. Per cinque anni abbiamo insistito con il governo italiano perché semplificasse le procedure per i visti di entrata, in gennaio era pronto un accordo per facilitarne il rilascio, aprire consolati in Albania, creare occasioni di lavoro stagionale. Poi è successo quello che è successo». Corre voce che le ambasciate facciano pagare i visti. E' vero? «Io non ne so niente perché ho il passaporto diplomatico. Ma ne ho sentito parlare, e per tutte le ambasciate. D'altra parte, se si va molto lontano, si paga fino a cinquemila dollari: io stesso, dovessi fermarmi più di un mese negli Usa, dovrei pagare». L'Albania è allo sfascio: in che cosa avete sbagliato? «Nel non aver capito quanto radicata fosse la presenza delle forze armate nel Paese più arretrato e stalinista d'Europa mentre iniziava la riforma economica. Certo, abbiamo sbagliato, ma credo che pure in Italia, dove i governi cadono più spesso che da noi, si sbagli più sovente». Ma i vostri non sono stati errori enormi? «Abbiamo sbagliato perché non siamo riusciti a creare una magistratura onesta, perché indipendente, a mio avviso, lo era. Eppoi, carenze della polizia, dell'esercito e, certo, difficoltà economiche: ma non c'è da meravigliarsi se un partito giovane ha commesso errori mentre tentava di uscire dallo stalinismo più duro. Il fatto è che pure gli occidentali hanno le loro responsabilità e se non piaceva il mio viso, o non piacevano i miei baffi, o il viso di qualcun altro, potevano farci cacciare, ma non lasciare gli albanesi in queste difficoltà». Quali, i rapporti con l'Italia? «Buoni, nei cinque anni passati, ma avrebbero potuto essere migliori. Prima, intendo dire prima di Enver Hoxha, si poteva andare liberamente, in Italia, e nessuno ci rimaneva. Perché chi vuole rimanere, rimane e chi vuole tornare, torna: almeno così non fiorirebbe l'industria dei clandestini. Eppoi...». Che cosa? «Bisogna dare possibilità di lavoro, in Italia: non è vero che tutti gli albanesi rubino». Tutto sembra essere cominciato con il crollo delle finanziarie a piramide. E' così? «No. Quella è stata la causa apparente e, forse, si può anche dire che quel crollo sia stato organizzato per creare il caos. E' falso che per colpa delle piramidi si fosse al collasso economico, come hanno sostenuto Banca Mondiale e Fondo Monetario, lo dimostrano le cifre. Quei soldi erano i risparmi degli albanesi che li avevano messi nelle finanziarie nella speranza di un guadagno». Ma le piramidi erano uno strumento per riciclare denaro? «I soldi erano quelli della gente, che per questo ha fatto una rivolta. Eppoi, quanto avrebbero potuto lavare le finanziarie? Certo, non si può dire se la più importante ditta italiana ricicli denaro, si può soltanto osservare che seimila miliardi di dollari all'anno vengono riciclati in tutto il mondo. Quanto alle piramidi, c'è da aggiungere che gli organizzatori erano tutti ex membri dell'esercito, della Sigurimi e del partito del lavoro. Nessuno del partito di governo». Prima il presidente Berisha aveva garantito alla gente il 95% del denaro perduto, poi Patos Nano ha assicurato la restituzione totale. Non le sembrano promesse irresponsabili? «Si possono restituire soltanto i soldi che si trovano nelle banche o nelle tasche dei finanzieri. Non so, forse Nano è un uomo così ricco da dare il denaro a chi lo reclama. Beh!, nessuno gli permetterà di vendere le ricchezze albanesi per dare a chi ha perso giocando d'azzardo». Il caos è nato spontaneamente o lo ha favorito qualcuno? «Certo che c'è stato un intervento esterno: non sono tanto bravi i cittadini di Valona, quelli che non hanno passato il ponte di Mifol, da far cadere un governo, se non avessero avuto qualcuno alle spalle. E pure i fuorusciti dal partito democratico ripetevano: "Abbiamo con noi l'ambasciatore di..."». Di dove, dottor Meksi? «Questo non si può dire: io sono uno scienziato e parlo dopo aver visto i documenti». D'accordo. Ma questa storia è finita? «No, perché i socialisti non hanno contribuito a ristabilire l'ordine du¬ rante quattro mesi nei quali sono state uccise migliaia di persone e distrutto tutto, dopo la caduta del governo. E non hanno adottato la trasparenza, come avevo chiesto io in Parlamento: chi ha organizzato le piramidi? A quale partito appartenevano? Come funzionavano? E dove è finito il denaro?». Nascerà un nuovo Hoxha? «No, non lo credo: la situazione è cambiata, l'Occidente è più vicino, non è possibile pensare a un'economia di mercato con una dittatura». Qual è il problema più grande da affrontare? «L'ordine pubblico. Che si mantiene con la forza. Noi del partito democratico avevamo discusso per varare una nuova legge sull'uso e il porto delle armi, tenuto conto della tradizione albanese». Vincenzo Tessandori «La Forza multinazionale? E chi l'ha vista? Non ha fatto nulla se non far vincere le eiezioni ai socialisti» Aleksander Meksi è stato fra l'aprile '92 e il marzo scorso primo ministro dell'Albania di Sali Berisha

Persone citate: Aleksander Meksi, Berisha, Enver Hoxha, Hoxha, Meksi, Sali Berisha