Pacini, la verità dalla Svizzera

=1 I documenti dovrebbero svelare i rapporti con D'Adamo e Di Pietro Poemi, la verità dalla Svinerà Verso soluzione il giallo dei 12 miliardi? MILANO. Si giocheranno sull'analisi delle carte svizzere, arrivate alcuni mesi fa per rogatoria a Milano, le verità o presunte tali di Francesco Pacini Battaglia nei suoi rapporti con Antonio DAdamo. Il prossimo interrogatorio del banchiere tosco-svizzero, previsto a Brescia per mercoledì o giovedì prossimo, dovrà verificare, carte alla mano, se è vero quanto sostenuto finora dalla difesa di Chicchi, e cioè che quei 12 miliardi versati come fìnananziamento all'imprenditore milanese, erano al di fuori di qualsiasi accordo con Antonio Di Pietro. Di più: secondo Pacini riguardavano un tentativo di scalata di quella che nel '93 sembrava la società più appetibile di D'Adamo: la Sii, azienda di costruzioni in procinto di acquisire allettanti appalti libici, finita invece in amministrazione controllata e dichiarata fallita il 27 giugno scorso. Secondo indiscrezioni, però, dalle carte svizzere in possesso dei magistrati le cose non sarebbero andate in questo modo. Da chiarire c'è per esempio il ruolo svolto in tutta questa vicenda dalla Simaco Holding del Lussemburgo, dove sarebbero confluiti, al termine dei diversi passaggi i 12 miliardi versati da Pacini. Una società, quest'ultima, hanno scritto i giudici nella loro memoria, di cui finora «né Pacini né D'Adamo, hanno inteso riferire la compagine». L'ipotesi dell'accusa è che con quei soldi Pacini si sarebbe voluto garantire non solo di evitare il carcere ma di controllare buona parte dell'inchiesta Mani Pulite, in particolare il filone delle tangenti Eni (bisogna ricordare che proprio le confessioni del banchiere permisero ai magistrati di Milano di accertare almeno 600 miliardi di mazzette uscite dall'ente energetico di Stato). I pm Tarquini, Piantoni, Chiappani e Bonfigli sostengono inoltre che una parte dei 12 miliardi, sarebbe dovuta finire direttamente a Di Pietro: esattamente 4 miliardi e 500 milioni, cifra risultata da una svalutatissima vendita, avvenuta il 28 aprile del '94, di azio- ni della D'Adamo Editore che Pacini aveva acquistato dieci giorni prima dallo stesso D'Adamo, al doppio, cioè 9 miliardi. Che fine ha fatto la differenza? D'Adamo avrebbe sostenuto, almeno nella famosa registrazione di due anni fa, che la bislacca operazione finanziaria altro non era che una mega tan- gente di Pacini per Di Pietro, aggiungendo però che il magistrato non vide una lira. I magistrati in subordine ipotizzano che l'operazione possa essere servita anche per sottrarre dei fondi all'amministrazione controllata cui la società di D'Adamo era stata affidata. La difesa di Pacini sostiene invece che il ban¬ chiere potrebbe essere rimasto vittima di una truffa da parte di D'Adamo, ma non esclude, e questo toccherà a Chicchi spiegarlo, che l'imprenditore per convincerlo ad investire 12 miliardi gli abbia fatto capire che in caso contrario si sarebbe rivolto all'allora amico Di Pietro. In altre parole per un millantato credito o un'estorsione. In un caso o nell'altro, già nei primi interrogatori di La Spezia e recentemente in diverse interviste, Pacini aveva sostenuto finora che nei suoi affari Di Pietro non c'entrava nulla. Sarà tema d'approfondimento nel prossimo interrogatorio. Finora, non si sarebbe parlato nemmeno dei cellulari che Chicchi avrebbe distribuito ad amici e conoscenti. Tra questi Antonio Di Pietro, che, secondo le inda-, gini dei Gico, ne avrebbe utilizzato uno per alcuni mesi nel '95. Una deduzione, in realtà, nata dal fatto che alcune chiamate dal telefonino preso in esame sarebbero partite dalla cellula telefonica di Curno. [p. col.] II banchiere italo-svizzero Pierfrancesco Pacini Battaglia sarà nuovamente interrogato a Brescia a metà settimana Per il banchiere nuovo interrogatorio in vista a Brescia a metà settimana Nell'inchiesta spunta una società in cui sarebbero finiti i miliardi

Luoghi citati: Brescia, Curno, La Spezia, Lussemburgo, Milano