Le bugie dei politici Machiavelli insegna
F IL PALAZZO Le bugie dei politici Machiavelli insegna OMUNQUE c'era Pirandello, l'altro giorno, a piazza dell'Emporio, in connessione con D'Alema e Di Pietro, a confermare la relatività della condizione umana, il prepotere delle apparenze, il ribaltamento delle certezze... Perché a questo punto sarà pure irrilevante, date le più evidenti conseguenze politiche, però ancora non si sa se l'incontro a Testaccio c'è stato o no. O meglio: Di Pietro ha seguitato a negarlo («Anche se non mi crede nessun giornalista»), mentre D'Alema non ha ritenuto di recedere dal motto con cui all'inizio ha cercato di liquidare il tutto: «Non esiste, è un'invenzione». In questo spalleggiato dal portiere dello stabile Ina, signor Domenico: «E' tutta un'invenzione». Tipicamente pirandelliana, a questo punto, appare la ricerca degli eventuali «inventori». Sospettatissimi, dati i precedenti del segretario del pds, sono senz'altro i giornalisti. Ma inventori, sia pure oculari, possono essere anche i tre giovani carrozzieri d'angolo (che sorridono, con il giornale in mano, in una straordinaria foto scattata il giorno dopo davanti alla loro bottega). Però c'è anche il caso che a «inventare l'invenzione», a negare un incontro che c'è stato, e quindi a mentire, siano stati D'Alema e Di Pietro. E qui allora va detto che tutti mentono, più o menoanche i politici, questi ultimpure con l'incoraggiamento di Machiavelli. E' sempre successo. Una volta, davantall'Inquirente, Cossiga quassi offrì di scrivere «un trattatela sulla menzogna in politica». E come nume della cultura cattolica al potereAndreotti teorizzò un'acuta distinzione tra bugia e omissione. Quel che colpisce non è dunque che i politici mentano, La vera novità - tanto più nell'era dell'immagine super-personalizzata - è quanto poco a questi politici importa di figurare come mentitori - sia pure provvisoriCome se bastassero la serena I indifferenza di D'Alema o la I tignosa ostinazione di D Pietro a rendere veritiera la (concordata?) negazione di quell'incontro fatale. Come se la loro (eventuale) piccola bugia non potesse essere interpretata come rivelatrice di bugie più maestose, bugie dalle gambe lunghe. Lunga vita, perciò, ai malfidati. Oppure ai mentitori generosi e compulsivi come Pacini Battaglia che ha spiegato: «Guardi, io mi diverto a raccontare grosse bugie». Ed è riuscito a dirne una addirittura per giustificare le altre: «Soffro di euforia incontrollata post-operatoria». Che lucidità rispetto a tante vicende che non si sa come sono andate davvero, ma che importa, tanto sono superate da altre «invenzioni» tipo Prodi che pure lui un giorno vide Di Pietro, e disse che era andato dal barbiere. D'altra parte, «quando ci sono di mezzo danni d'immagine - ha spiegato Berlusconi - anche qualche bugia è ammessa, me l'hanno insegnato gli avvocati». E sia. Ma proprio in nome dell'immagine, o della più smaniosa promozione del consenso (engineering of consentì si pretenderebbe dai politici un maggior auto-controllo: prima, possibilmente, ma anche durante e dopo la bugi etta. Altrimenti si fa la figura del ministro Visco, che ancora deve esibire le centinaia di fax plaudenti all'eurotax. O del ministro Bassanini, che mesi fa risolutamente negò di aver scritto una lettera sul dilettantismo dei suoi colleghi. E la carta intestata? «E' facile procurarsela», rispondeva. E la firma? «Ormai si fanno miracoli con le fotocopie». Che pure, ai tempi di Pirandello, non esistevano. Filippo Ceccarell Bili |
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