«E' la criminalità il problema del 2000» di Pierangelo Sapegno

Il premier alla manifestazione di Don Ciotti non parla di politica: «Preferisco pensare a Pantani» Il premier alla manifestazione di Don Ciotti non parla di politica: «Preferisco pensare a Pantani» «Ef la criminalità il problema del 2000» L'allarme di Prodi: la paura ha invaso il mondo VIGNOLA DAL NOSTRO INVIATO Il silenzio di Prodi e i tuoni contro la criminalità. Il silenzio su Di Pietro, Scalfaro, Berlusconi. E il grido d'allarme per il nostro mondo attaccato dalle multinazionali del crimine, lancialo dal conclave di don Ciotti: «Questo sarà il problema del prossimo secolo». Il silenzio di Prodi comincia nella mattina calda di Bologna e finisce nella sera che viene a Vignola, festa di Libera, don Ciotti che se lo guarda, i giornalisti che premono, lui che si volta con sorriso stirato: «Non parlo né ora né dopo». Al silenzio ostentato di Prodi non interessa nemmeno troppo se dall'opposizione scalpitano, chiedono, invocano. C'è Di Pietro candidato nell'Ulivo, ci sono gli attacchi al Presidente Scalfaro e ci sono D'Alema e Berlusconi che fiorettano. Non importa. Oggi, non importa. L'altro ieri era successo qualcosa di meglio, di più interessante: sulle rampe dell'Alpe d'Huez era tornata la testa pelata di Pantani, lo scalatore sfortunato che salta come un grillo sui pedali. Così, il Prodi di questa domenica di silenzio se ne esce mattutino per fare il suo giro in bici, manda i suoi saluti a Pantani che corre per il Tour, e parte con la sua giacchetta blu da ciclista, scritta Euro e tutte le stelle attorno. Poi ritorna sulle strade di casa e ai cronisti parla soltanto del romagnolo coraggioso: «Da come è andato via, pensavo desse dieci secondi al chilometro a Ullrich. Invece, è riuscito a dargli solo cinque se- condi, perché Ullrich è molto forte». I giornalisti ormai si sono arresi, erano venuti per parlare di Di Pietro e adesso domandano di Pantani: gli chiedono se può vincere il Tour. «Eh, mi sa di no. Con tutte queste cronometro, uno scalatore come lui non ha chances». Qualcuno fra i cronisti non demorde: e le sue salite, presidente? «Ah, niente. Niente...» Basta intervista, basta chiacchierata. Neanche a messa va Prodi, nella domenica del silenzio. C'era già stato ieri, può fame a meno. Al pomeriggio va da don Luigi Ciotti, fondatore del gruppo Abele, e presidente di Libera, associazione contro le mafie. C'è un dibattito sul¬ la legalità fra i tendoni spersi nella campagna di Vignola, con il Presidente del Consiglio, con don Ciotti e il presidente della Commissione antimafia, Ottaviano Del Turco. E soltanto per questa occasione, Prodi si concede qualche tuono: «La criminalità sarà il problema numero uno del prossimo secolo. Ed è il problema ossessivo dei nostri giorni, il problema dominante, una paura che si va incuneando nel mondo, e l'ho imparato bene da quando ho comincilo a fare questo mestiere». Dice che anche il cancelliere Kohl è preoccupato della situazione nel suo Paese. Che in Germania ci sono addirittura 103 organizzazioni crimi¬ nali con assetto internazionale, «con valenza che va oltre i confini tedeschi»: e c'è stato perciò un appello a prendere coscienza e poi a cominciare a combattere insieme questo problema. Usa parole da economista, il premier: «C'è un panorama in cui le transazioni finanziarie superano di tre, fin cinque volte quelle economiche». Sono queste le nuove mafie, le più pericolose. Il Prodi che non tace ha difeso anche la scelta di mandare i soldati a Napoli: «Dicevano che ero contrario. Non è vero. Nel momento in cui presi questa decisione, sottolineai subito la temporalità e la straordinarietà della scelta». Ma erano tutti d'accordo nel go¬ verno, ha aggiunto. Accanto al problema della lotta, però, c'è il problema delle garanzie per i cittadini. E Prodi allora affronta la questione del lavoro: «Può anche essere che il governo non abbia fatto abbastanza. Ma se non avessimo messo a posto l'economia, avremmo fatto, ve l'assicuro, ancora meno per il lavoro. Di fronte a un debito spaventoso che ci aveva portato sull'orlo del baratro, il problema è quello di ricostruire l'economia, di dare speranza al futuro. Ci abbiamo messo un anno per ridare fiducia. La lotta non è vinta, non mi lascio andare a facili, ma sbagliati trionfalismi. Però abbiamo riacceso la speranza che si può vincere. Nessun Paese può vivere in una situazione disperata. Se avessi questa impressione, che non si riaccende la fiducia, anche la lotta alla criminalità non avrebbe speranza». E allora la guerra alle mafie passa anche attraverso il nuovo rinascimento italiano. Bisogna riprendere a ricercare, a essere all'avanguardia nella scienza e nella tecnologia, protagonisti nelle cose nuove del mondo: «Se riteniamo la iotta contro le mafie solo come lotta contro le criminalità, abbiamo perso in partenza. Si vince solo se ricostruiamo l'uomo e restituiamo ai giovani le speranze che hanno perduto». Finisce così. Anzi, finisce com'era cominciata la domenica di Prodi. Con Pantani. Oggi è crollato. I cronisti glielo ricordano. Lui si gira, e allarga le braccia. «Che peccato». Pierangelo Sapegno «Possiamo vincere la mafia solo se restituiamo ai giovani le speranze che hanno perduto» Il presidente del Consiglio Romano Prodi

Luoghi citati: Bologna, Germania, Napoli, Vignola