LA VENDETTA DEI PARTITI di Gianni Vattimo

Tre anni fa, un ufficio stampa diffuse la falsa notizia della morte improvvisa del sarto LA VENDETTA DEI PARTITI guardare con diffidenza e delusione a questo rinnovato protagonismo? Ma non abbiamo a lungo invocato una ripresa della politica che mettesse fine all'anomala supplenza affidata alla magistratura? Più in generale, non ci siamo augurati, dopo i primi entusiasmi antisistema (che, non dimentichiamolo, hanno generato anche un «monstrum» politico come Forza Italia, o come Maroni al ministero degli Interni), che si tornasse a una politica seria fatta da (onesti) professionisti? La tenuta e i successi abbastanza inaspettati del governo Prodi sono del resto già un primo non trascurabile risultato di tale ritorno. Che cosa abbiamo, allora, da lamentarci per i tanti casi in cui oggi intravediamo i segni di una rinascita delle logiche partitiche? Si tratta di situazioni in cui sembra inevitabile schierarsi contro scelte di partito (come Genova, dove il Pds progetta di non ricandidare l'ultimo sindaco Sansa), o di altre (come la recente polemica sulle nomine negli enti culturali pubblici a Torino) in cui è più difficile decidere nettamente tra i gruppi in contrasto, i quali del resto non si dividono nemmeno secondo chiare appartenenze partitiche. Che cosa c'è che non va qui, nel caso Sansa come nel caso Torino come nel più dibattuto caso Di Pietro? C'è che quello che passa per un ritorno della politica di partito è, o comunque appare, in realtà solo come un ritorno delle logiche spartitorie ed elettoralistiche, proprio quelle a cui si voleva sfuggire mediante il rafforzamento degli esecutivi attraverso il sistema uninominale e l'avvio del bipolarismo. Il bipolarismo imperfetto, che rimane tale proprio per la resistenza delle vecchie burocrazie dei partiti (e, duole dirlo, non dei partiti maggiori, ai quali invece si attribuiscono poi tutte le colpe), se non procede verso il proprio completamento riprodurrà gli stessi vizi della partitocrazia che credevamo superata. Con l'aggravante che questa aveva almeno ancora una maschera ideologica che le garantiva una parvenza di dignità, e che talvolta continuava a funzionare come motivazione eticamente autentica per i militanti. Adesso, come mostra per l'appunto la candidatura di Di Pietro, orientamenti ideali e grandi scelte di campo non si tengono più in alcun conto: bene che vada, si bada esclusivamente alla buona fede morale, e sempre più spesso solo al peso dei sondaggi. Il ritorno di protagonismo dei partiti, insomma, per ora è tutt'altro che un ritorno della politica. Questo, più o meno oscuramente ma con una intuizione sostanzialmente corretta, sente l'opinione pubblica che ricomincia a stufarsi di dispute su nomi a cui non corrispondono quasi mai alternative di sostanza, in termini di programmi e di scelte politicamente rilevanti. Ha dunque ragione Valentino Castellani quando, nella intervista pubblicata ieri su «La Stampa», ricorda che bisogna dare spazio alla polìtica, ma solo se intesa nel senso alto, «come capacità progettuale, di mediazione fra interessi particolari e interessi generali». Castellani promette anche che non si lascerà mai ridurre a ostaggio dei partiti e della loro volontà tendenzialmente lottizzatrice. Il problema è se, da questo come da altre stalle, alcuni buoi non siano già scappati. Gianni Vattimo

Persone citate: Castellani, Di Pietro, Maroni, Sansa, Valentino Castellani

Luoghi citati: Genova, Torino