«Ripartiamo da Tirana e Sarajevo» di Aldo Cazzullo
«Ripartiamo da Tirana e Sarajevo» INTERVISTA «Ripartiamo da Tirana e Sarajevo» Fassino: abbiamo imparato a usare Vesercito IL NUMERO 2 DELLA SOTTOSEGRETARIO Fassino, la prima missione i su mandato Onu a guida italiana sta per concludersi. «E ha segnato un salto di qualità per la politica estera italiana, sotto due punti di vista. Per la prima volta ci siamo assunti la responsabilità di guidare un intervento multinazionale, senza la presenza di americani e inglesi, che hanno il miglior background per queste missioni. E' stata un'esperienza utile anche per costruire una politica estera di sicurezza comune europea. Del contingente fanno parte Paesi che fino all'89 appartenevano a blocchi militari contrapposti: ci sono Paesi Nato come Italia, Spagna, Francia, Danimarca, Paesi neutrali come l'Austria, Paesi dell'Est come Romania e Slovenia, e anche Paesi dalle relazioni complicate, come Turchia e Grecia. Ma l'intervento in Albania è importante anche perché rappresenta la pietra angolare di una più vasta politica estera che Roma sta perseguendo con determinazione, sia nell'Europa Centrale e nei Balcani, sia nel Mediterraneo, sia con una presenza su scala globale: dall'Arabia Saudita, dove sono ora Scalfaro e Dini, all'Estremo Oriente, dove Prodi è stato più volte, all'America Latina, dove in questo momento c'è Veltroni. Voghamo creare le condi¬ zioni per un salto di qualità nell'opinione pubblica. Gran parte degli italiani ha sempre pensato che il nostro Paese non fosse in grado di avere una politica estera, di assolvere a una funzione sulla scena internazionale. Stiamo contribuendo a dare all'Italia la coscienza di sé, la coscienza di essere un grande Paese, membro del G7, dell'Ue e della Nato, che conta negli equilibri internazionali, che ha un ruolo da giocare sugli scacchieri più importanti e sa assumersi delle responsabilità». Il ritiro dall'Albania durerà quasi un mese. Segno che la situazione non è normalizzata, e i timori restano. «La forza multinazionale di protezione, guidata dall'Italia, è in Albania su richiesta del governo di Tirana e su preciso mandato dell'Osce e soprattutto dell'Onu, che ha fissato il termine della missione al 12 agosto. Il rientro sarà graduale e progressivo, in modo da evitare un vuoto di presenza che possa in qualche modo creare problemi, e compromettere i risultati raggiunti». Restano però le bande armate. Non vi preoccupa che Tirana non abbia ancora ripreso il pieno controllo del territorio? «Intanto, rispetto all'anarchia di quattro mesi fa, la presenza della forza multinazionale di protezione ha consentito alle autorità albanesi di riprendere il controllo su gran parte del Paese. Si sono svolte elezioni regolari, riconosciute da tutti i partiti. Adesso, con la formazione del nuovo governo, le cose dovrebbero migliorare ancora. E poi la fine della missione Alba non significa la fine dell'impegno italiano in Albania. Ora che sono stati realizzati i primi tre obiettivi - bloccare il rischio di una deriva anarchica, aiutare il governo a recuperare il controllo del territorio, sostenere l'Osce nel preparare e gestire le elezioni comincia la seconda fase». Cosa cosa prevede? «Dobbiamo incrementare l'aiuto al governo albanese per ricostituire tutte le strutture necessarie: le forze di polizia, per cui è previsto un programma di assistenza e addestramento da parte dell'Ueo, l'esercito, le strutture carcerarie che sono state distrutte, la magistratura. Per tutti questi obiettivi l'Italia ha già definito una serie di programmi di assistenza bilaterale con l'Albania, che partiranno nelle prossime settimane. E il 31 luglio i rappresentanti di tutti i Paesi che si sono occupati dell'Albania si riuniranno a Roma per discutere il programma di ricostruzione economica e preparare la Conferenza internazionale dei donatori, che a settembre si riunirà sempre a Roma». Mentre in Bosnia i nostri duemila soldati resteranno ancora più di un anno, in condizioni sempre più delicate. «Da quasi 20 mesi in Bosnia non si spara più, dopo 44 mesi di guerra, di pulizia etnica, di tragedie, di eccidi. Ma oggi il processo di pace vive una forma di impasse, l'applicazione degli accordi di Dayton pare inceppata. Dobbiamo - la comunità internazionale, i Paesi europei, l'Italia mantenere una forte iniziativa e una forte presenza. Le truppe italiane controllano una zona delicatissima, sulla linea che separa la parte serbo-bosniaca e la parte musulmana, tra Pale e Sarajevo, dove i nostri ragazzi stanno facendo un lavoro eccellente di mantenimento della stabilità e della pace. Forse andrebbe sottolineato di più che per la prima volta, tra Albania e Bosnia, ci sono quasi cinquemila soldati italiani impegnati nei Balcani in operazioni di peace-keeping o di stabilità democratica. Bosnia e Albania ci servono a "rimuovere la rimozione" del tema militare, a riscoprire che l'esercito può avere una funzione essenziale in una politica di pace. La politica italiana dovrebbe tenerne maggior conto». Aldo Cazzullo «Per la prima volta Roma guidava una missione internazionale Abbiamo fatto le prove per la d&sa europea» «I problemi non sono risolti Il ritiro sarà graduale per non sciupare i risultati di questi 4 mesi»
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