Necrologi, test di paura di Ferdinando Camon
Necrologi, test di prora Necrologi, test di prora Così la moda si misura con la morte ANALISI IL LINGUAGGIO DEI VIP IL necrologio dei Kennedy per la morte di Gianni Versace comincia con i loro nomi, così: «Carolyn e John Kennedy partecipano...». Quel cognome che fu il più potente della Terra messo all'inizio serve a dire che la morte di Versace è arrivata fino all'altezza massima, ha scosso il mondo. Scrivere un necrologio per Versace è un test terribile per la lingua di questo tempo. Oggi la morte non è dicibile (non solo «non si può dire», ma «non bisogna» dirla), l'unica cosa a cui dobbiamo pensare è la vita, il denaro, la bellezza, il potere, il sesso. Di queste ragioni per vivere Versace era un massimo depositario, un concentrato. Lavorava sulla bellezza, sui corpi più belli della Terra. Alcuni non erano riconosciuti come tali, lo furono dopo che lui li lavorò. Da questo lavoro ha ricavato una vita superiore, una super-vita. Nel culmine della fama, questa supervita è sparita nel suo contrario: è diventata una super-morte. Una vita piena di senso e una morte insensata. Questo balzo non è dicibile in poche righe. Un necrologio lo puoi scrivere se eviti il tema, e parli d'altro. La sterminata sequenza di necrologi apparsi sul maggiore quotidiano italiano, pagine intere fitte fitte, è un documento di questa lotta: la cultura del nostro tempo, del trionfo della mondanità, costretta a misurarsi con la morte, che è la sua negazione. Carla Bruni deve aver sentito questo problema. Non cerca di dire, sente l'impossibilità di dire, e onestamente la racconta: «Non trovo al momento le parole per comunicare». Deve averci pensato una giornata intera, e non ce l'ha fatta. Perché lei affrontava il problema per quel che è: Versace e la morte. Può farcela chi lo sposta, e lo affron- ta su un altro piano. Come questo: «Bello mio, sto cercando una ragione che mi dia la forza per continuare. Zia Nora». Qui la morte è un evento familiare, tronca un affetto casalingo, di sangue. La zia scriverebbe le stesse parole se Versace avesse fatto il corniciaio in un paesino della Calabria. Pressoché tutti i necrologi non parlano al morto e non parlano della morte, ma parlano ai vivi e parlano di vita: «Vi siamo vicini con affetto». Sono i non-traumatizzati. I traumatizzati forano lo spazio tra il di qua e il di là, e parlano a colui che non c'è più. «Ciao Gianni, ti ricorderò sempre per colui che in questo mondo aveva il coraggio di ricominciare. Il tuo amico Giorgio» (Armani?). Chi va di là, e parla con colui che non c'è, abbassa la voce: «Gianni, nel mio cuore per sempre. Manuela» (da Miami). Chi sta di qua, arriva a urlare o protestare. La protesta si sente nel¬ le parole che aprono questi testi: «Un infame destino...», «L'assurda scomparsa...». Sono i non-rassegnati. Le sorelle Fendi hanno comprato un'intera pagina su due quotidiani, lasciandola tutta bianca, con solo queste parole al centro: «Il tuo sogno appartiene al mondo. Ciao Gianni», e sotto, scritti a mano, i nomi: Paola, Anna, Franca, CARLA, Alda. Carla tutto maiuscolo, con un tremito nella grafia. L'idea è di mostra- re poche parole nel silenzio, come un piccolo stormo di colombe in un cielo vuoto. Le donne fanno così. Sono, quasi tutti, necrologi per uno-che-non-c'èpiù. Solo in quattro pensano che per Versace non è finita, anzi il bello viene adesso. Una è Benedetta Mazzini (la figlia di Mina?): «Gianni, ci vediamo di là, ti voglio bene»: non è lui che non c'è, è lei che non c'è, finché non va da lui. Laura e Lavinia (Biagiotti?): «Un grande angelo di nome Gianni ti accoglie in un mondo migliore di questo»: il di là non è brutto, è più bello del di qua. E poi, uno sconosciuto Nando Miglio: ha comprato un microscopico spazio per dire: «Io ricordo con una preghiera». In totale, quattro su circa settecento. Dev'essere questa la proporzione tra chi riesce ad affrontare la morte e chi non può farlo, oggi, in Italia. Ferdinando Camon
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