Valona il vento blocca il ritiro di Vincenzo Tessandori

La San Giorgio non riesce ad attraccare, con i soldati anche un bimbo malato La San Giorgio non riesce ad attraccare, con i soldati anche un bimbo malato Valona, il vento blocca il ritiro Raffiche a 160 l'ora, oggi secondo tentativo VALONA DAL NOSTRO INVIATO Lo scirocco si è destato alle 7, di umore pessimo, naturalmente. Le onde nel golfo di Valona hanno mostrato la faccia cattiva, la sabbia era sollevata in colonne, mulinelli, vortici e gorghi. La città appariva assopita, indifferente, anche se lo sapevano tutti che quello era il giorno in cui gli italiani sarebbero ripartiti, i primi almeno, e che c'era il rischio che tornasse l'inferno. Ma quel vento, valutato fra i 90 e i 100 nodi dal «capo» Stefano Bramato, 37 anni, del Battaglione San Marco, stava per giocare un tiro pessimo ai ragazzi della Brigata Sassari in attesa sul molo. Soffiava come una furia, con raffiche a 160 all'ora e la nave San Giorgio non ce l'ha fatta ad attraccare, quattro tentativi andati a vuoto, poi si è rinunciato. E il ritorno a casa è rinviato a oggi. Così, mentre le raffiche si avventavano minacciose sulla spiaggia e sulla banchina ingombra di camion e blindati dentro cui i cittadini in divisa attendevano impazienti ma silenziosi, si era pensato anche a una specie di anabasi: tutti in colonna, sulla strada per Durazzo, dove il porto ha fondali meno infidi, perché nessuno ha dimenticato come andò, quella notte di aprile, con il Vittorio Veneto. «Ce lo fa sospira', il ritorno, questo mare», mormora il caporalmaggiore Gianluca Longo, 24 anni, di Cagliari, uno che si dice «soddisfatto per il lavoro che abbiamo svolto, perché mi sono accorto che è stato utile». Ed è proprio da Durazzo che ieri sera è riuscita a salpare per Costanza la nave «Eflorie» del contingente romeno. Quelli della Sassari avevano lasciato Kucova, a Est, appena sorto sole. Duecentosessantacinque uomini, guidati dal col. Silvano Olivieri, uno magro magro, di Lecce, ormai «accettato» dai sardi della Sassari. Il giorno prima i soldati avevano compiuto l'ultima perlustrazione e si erano imbattuti in una delle cento piccole battaglie, alle porte di Berat. Tre mesi e tutto sembra come prima, con la gente che si ammazza per le strade, che taglieggia, che ruba. E a Berat, in trecento hanno firmato perché dicono di sentirsi sul collo «il nodo scorsoio» delle bande. Eppure, i militari italiani non si sono risparmiati, anche se il gen. Girolamo Giglio osserva che, sì, «forse si poteva fare di più, se la gente avesse avuto più coraggio». Ma si sa, il coraggio uno non se lo può dare e allora non rimane che la speranza, che non è molto, ma neppure poco, perché prima non c'era neppure quella. Si sono svolte le elezioni e questo, letto con occhi occidentali, significa avere in qualche modo voltato pagina. Chissà se la lettura è simile anche se fatta con occhi balcanici. Il gen. Giglio, che comanda tutto il settore Sud, quello più a rischio, se ne dice convinto. «Ci ha riempito d'orgoglio aver portato a termine il compito di assistere per le operazioni di voto. Alla gente lo dicevo: "Questa è un'occasione che non dovete perdere, datevi regole democratiche". E ora siamo alla fine, mancano ancora quindici giorni, che possono essere pericolosissimi». Orgoglio e soddisfazione, ma anche un senso di frustrazione per quel ragazzo morto a causa dell'esplosione di una bomba che stava maneggiando. «Certo, dolore, ma soprattutto delusione, perché uno si chiede se davvero abbia fatto tutto, e poi si risponde che sì, tutto è stato fatto e detto. Ma Diego Vaira è morto lo stesso. E avrei preferito fosse successo per un attenta¬ to, per il colpo di un bandito, perché, così, rimane un'ombra». Gli occhi dei ragazzi sui camion, impegnati a resistere alla sabbia e alla delusione, hanno scrutato il mare, dalla mattina al pomeriggio inoltrato, quando Valona è tornata preda delle bande. E già sul mezzogiorno c'erano state sparatorie, nella prima, vicina al monumento all'ingresso della città, c'erano stati un morto e due feriti, nell'altra due poliziotti erano stati colpiti in modo serio e subito era scattata la richiesta del trasferimento in un ospedale italiano. Perché Lamerica rimane il grande sogno, quello che giustifica tutte le speranze. E anche Lorenk spera. Spera di poter vivere, perché lui ha un cuore troppo grosso e non ce la fa a crescere e ha undici anni ma pare ne abbia sette o otto. «Una cardiopatia congenita, che è quasi una cardiopatia simbolo, perché qui molti bambini ne sono affetti», dice il ten. col. medico Salvatore Frezzetti, che ha «aperto ambulatori» qui a Valona, e sembra quello del «dottor Terzilli», tanto è affollato. Lorenk Mahmuti, chiamato Lorenzo, è un monello che è stato adottato dai soldati italiani. Il «capo» Bramato e il maresciallo Raffaele Esposito sono i suoi amici migliori. Anche se non lo ha mai chiesto, lui ha un bisogno terribile di aiuto, e così si sono mobilitati tutti, i suoi due amiconi, il gen. Giglio, il dott. Frezzetti, il ten. col. Gianfranco Scalas. Risultato: Lorenzo parte per l'Italia, con la madre Illì. Sarà ricoverato gratuitamente nella casa di cura Villa Maria a Cotignola di Lugo, in provincia di Ravenna. Poi verrà operato dal dott. Giorgio Noera: tutti tifano per lui, tutti vogliono che ce la faccia, tutti credono nel miracolo. Vincenzo Tessandori Soldati italiani in attesa di imbarcarsi a Valona: dopo quattro tentativi andati a vuoto la nave San Giorgio ha rinunciato ad avvicinarsi al molo