«In Somalia violenze non un'armata di torturatori» di Francesco Grignetti
Il presidente della Commissione d'inchiesta sui primi risultati: «Ma dobbiamo ancora approfondire» SCANDALO SEVIZIE Il presidente della Commissione d'inchiesta sui primi risultati: «Ma dobbiamo ancora approfondire» «In Somalia violenze, non un'amata di torturatori» Gallo: sono vere le prime denunce ROMA. «Non ci ingiuriate, stiamo lavorando sodo». Ettore Gallo, presidente della commissione d'inchiesta sullo scandalo somalo che ha coinvolto le nostre forze armate, è in imbarazzo: c'è grande attesa intorno ai risultati dell'inchiesta governativa, il mese di tempo prescritto è terminato, però la commissione non se la sente ancora di pubblicare i suoi risultati. «La nostra inchiesta è parziale perché non abbiamo potuto ascoltare nessun somalo. Capirete, ci mancano i testimoni, le pretese parti lese e anche gli accusatori. Abbiamo solo il versante italiano. Dovremmo andare noi lì. Ma per ora non si può». Un giudizio, però, il professor Gallo l'avrà ormai maturato? «Qualche fatto è provato e i colpevoli saranno puniti. Qualche altro è dubbio. Infine, altre accuse sono del tutto inventate. Nel complesso, il soldato italiano è quello che speravamo: una persona per bene. Non possiamo dire che abbiamo un esercito di torturatori». Era troppo facile, comunque, aspettarsi che tutto filasse liscio davanti a un caso del genere, con complicazioni intercontinentali e per di più alle prese con uno Stato che s'è liquefatto. Un solo esempio: i testimoni somali non vogliono venire in Italia per senso di sradicamento, i commissari non possono andare a Mogadiscio per problemi di sicurezza. «Noi eravamo pure pronti, a rischio delle nostre vite, a fare un blitz. E considerate che siamo dei volontari non pagati. Ma il governo ce l'ha vietato espressamente», dice Gallo. La commissione d'inchiesta aveva pensato a un incontro a metà strada, nella nostra ambasciata a Nairobi. Ma a questo punto s'è opposto il governo keniota, chiedendo che i «nostri» testimoni abbiano un passaporto e un visto, e che siano scortati dalla loro polizia sia all'andata che al ritomo. Questa semplice richiesta, apparentemente di buon senso, diventa insormontabile considerato che a Mogadiscio non c'è un ministe¬ ro degli Esteri che può rilasciare i passaporti. Secondo la Farnesina, ci vorranno tre mesi per venirne a capo. «A noi - dice ancora Gallo hanno detto di pazientare fino al 15 settembre. Come minimo. Se poi il governo volesse subito i risultati della nostra inchiesta, noi saremmo anche pronti. Ma con la premessa che i lavori sono stati parziali. E all'estero potrebbero dire: "Bravi, ve la cantate e ve la suonate da soli". Non so se è il caso». Insomma, l'imbarazzo è grande. Come dice anche Tullia Zevi, un altro partecipante alla commissione: «Noi siamo stati svelti. Ma ci sono i limiti della serietà. Che è un dovere». Fin qui, l'inchiesta dei cinque saggi nominati da Palazzo Chigi. Procedono parallelamente, intanto, altre tre inchieste. L'indagine amministrativa del generale Vannucchi: ha novanta giorni di tempo, le sue conclusioni sono attese a fine estate. L'inchiesta della procura militare di Roma, condotta dal pm Antonino Intelisano, che però si trova di fronte al pasticcio tra reati militari e reati ordinari. Ogni volta che Intelisano scopre un reato, è costretto a spogliarsi degli atti e gli rimangono le briciole della «violata consegna». Infine l'inchiesta penale della procura di Livorno. L'enorme clamore della vicenda ha partorito imputazioni assolutamente minori. Il maresciallo Valerio Ercole, l'uomo degli elettrodi, è indagato per lesioni aggravate e tentata violenza privata. Due reati quasi da pretura. Ercole rischia ben poco anche se le accuse venissero provate. Francesco Grignetti Il maresciallo Valerio Ercole inquisito per le sevizie presidente della commissione di inchiesta Ettore Gallo
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