Berlusconi: Di Pietro è una tigre di carta di Alberto Rapisarda

I/Osservatore Prodi soddisfatto: mi avevano chiesto un'opinione, e io ho suggerito questa soluzione Berlusconi; Di Pietro è una tigre di carta Maccanico: sono troppi a voler rafforzare il centro dell'Ulivo ROMA. Passato il primo momento di sconcerto, il mondo politico comincia a riflettere sui possibili effetti dell'elezione di Di Pietro a senatore dell'Ulivo. E si scopre che i meno preoccupati sono Silvio Berlusconi e i suoi alleati centristi (Casini e Buttigliene), mentre Gianfranco Fini tenta di inghiottire il rospo nel modo più naturale possibile. I veri problemi per D'Alema (il regista dell'operazione Di Pietro) arrivano dal suo partito (dove ci sono molti perplessi) e dagli alleati del centro-sinistra. Soddisfatto, invece, Romano Prodi: «Mi è stata chiesta una precisa opinione su questo, e io 1' ho data come poi è avvenuto», ha detto il premier da Innsbruck, senza peraltro precisare se 1'«opinione» gli fosse stata chiesta da D'Alema o da Di Pietro. E' illuminante l'intervista rilasciata da Silvio Berlusconi a Panorama. Il presidente di Forza Italia indirizza le sue polemiche contro Di Pietro («è una tigre di carta») ma bada a tener fuori Massimo D'Alema. Berlusconi ripete che fu Borrelli («stimolato da Scalfaro») a non fare accettare a Di Pietro il ministero che il governo del Polo gli offriva. «Qualcuno gli aveva fatto pensare che il mio governo avrebbe avuto vita breve e che se lui avesse contribuito, i suoi meriti sarebbero stati apprezzati...». «Di Pietro - aggiunge Gianni Pilo, aspirava al posto di Berlusconi e già prima di due anni fa aveva dato vita a una campagna con l'intento di diventare leader del Polo». E' evidente che, con questi sospetti, Berlusconi non può che essere contento di essersi sbarazzato politicamente del «concorrente». Domenico Mennitti, già consigliere di Berlusconi e ora direttore del bimestrale del Polo, Ideazione, conferma e spiega i motivi del sollievo di Forza Italia. «Le uniche potenzialità di leadership Di Pietro le aveva a destra, dove ha aspettato invano per tre anni per sostituirsi a Berlusconi, senza riuscirci. Ora D'Alema lo ha sradicato come una pianta che viene tolta dal suo terreno per essere inserita in un altro, dove non potrà mai dare alcun frutto...». Inoltre, D'Alema riesce anche a «disinnescare la pericolosità del fronte del no alla Bicamerale. Senza Di Pietro, quel fronte non potrà costituire alcun pericolo per l'accordo raggiunto in commissione. Anche in questo D'Alema ha indiret¬ tamente favorito Berlusconi e Fini». Conclusione: «si avvantaggeranno tutti». Casini e Buttiglione, gli alleati centristi di Berlusconi, ostentano anche loro sollievo e sorrisi. Perché vedono che Di Pietro, allontanandosi, va a creare scompiglio nel campo avverso. Specie tra i centristi dell'Ulivo. I quali si dividono tra coloro che fanno buon viso al gioco di D'Alema (Marini e Dini) e quelli che non riescono a nascondere 0 loro disappunto (Maccanico, La Malfa). Il repubblicano La Malfa, addirittura, grida che considera «sciolto l'Ulivo e non vincolanti in nulla le posizioni che verranno prese». Più diplomaticamente, il ministro Antonio Maccanico dice che, secondo lui, ora «sono in troppi a volere rafforzare il centro dell'Ulivo». I popolari sviluppano un ragionamento politico simile a quello di Minnitti, dal quale deducono, di fatto, che il presidenzialista Di Pietro avrà le unghie spuntante schierandosi con l'Ulivo. «La sua scelta toghe la freccia più prestigiosa dalla faretta di quanti, dopo i risultati della Bicamerale, non hanno smesso di coltivare voghe plebiscitarie» riflette Giovanni Bianchi, del partito popolare. Le riforme non ci andranno di mezzo, conferma Franco Marini, segretario del ppi. Le forze che hanno avuto un ruolo decisivo in Bicamerale «non saranno condizionate minimamente, Forza Italia compresa». D'altra parte, D'Alema deve aver ben calcolato la sua mossa, perché non è da credere che abbia voluto mettere a rischio il lavoro della commissione da lui presieduta. Di fatto, si scopre che la candidatura di Di Pietro in un collegio senatoriale dell'Ulivo, non impressiona affatto i capipartito che hanno concluso l'accordo per le riforme (che, anzi, sembrano ringraziare D'Alema per la sua scaltrezza). Quelli che se la prendono sono gli oppositori interni del pds e i partiti rimasti fuori dall'accordo perle riforme: Rifondazione comunista e i Verdi (ma non tutti). La candidatura, per Cossutta, «è una decisione politicamente indecente». Verdi e Rifondazione sono al lavoro per cercare una candidatura di sinistra da contrapporre a Di Pietro. Alberto Rapisarda Contrasti nel pds Marini e Dini fanno buon viso all'operazione Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini A lato, il costruttore Antonio D'Adamo q pcamerale, non hanno smesso di coltivare voghe plebiscitarie» riflette Giovanni Bianchi, del partito popolare. Le riforme non ci andranno di mezzo, conferma Franco MÌCI P gpsua scaltrezza). Quelli che se la prendono sono gli oppositori interni del pds e i partiti rimasti fuori dall'accordo perle riforme: Rifondazione comunista e i Verdi (ma non tutti). La candidatura, per Cossutta, «è una decisione politicamente indecente». Verdi e Rifondazione sono al lavoro per cercare una candidatura di sinistra da contrapporre a Di Pietro. Alberto Rapisarda 9- Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini A lato, il costruttore Antonio D'Adamo

Luoghi citati: Innsbruck, Roma